giovedì 31 dicembre 2020
martedì 29 dicembre 2020
Tonara, Canta, canta continu, o patria de Larent'e de Cappeddu; .... Peppino Mereu.
Canta, canta continu,
o patria de Larent'e de Cappeddu;
de musas ses giardinu,
cara ses a Tomas'e Bacchiseddu;
t'allegrat Aostinu,
ca possidit bernescu su faeddu,
cun sa musa brullana
si mustrat dignu fiz' 'e Pepp'Egiana.
In s'attonzu s 'anzone
si partit volunter'a terr'istranza;
su ent' 'e santu Simone -
chi tenet fama timid'e metanza -
nd'iscudet s'ischissone:
sa gioventude, collinde castanza
in sa ricca foresta
tesset cantos de gioi'e de festa.
Sunt boghes de cuntentu,
trillos de puzoneddu innamoradu;
liricas de Larentu
chi consolant su coro angustiadu.
Eolo turbolentu
non si mustrat piùs, ma, incantadu,
si faghet volunteri
de gentiles profumos dispenseri.
o patria de Larent'e de Cappeddu;
de musas ses giardinu,
cara ses a Tomas'e Bacchiseddu;
t'allegrat Aostinu,
ca possidit bernescu su faeddu,
cun sa musa brullana
si mustrat dignu fiz' 'e Pepp'Egiana.
In s'attonzu s 'anzone
si partit volunter'a terr'istranza;
su ent' 'e santu Simone -
chi tenet fama timid'e metanza -
nd'iscudet s'ischissone:
sa gioventude, collinde castanza
in sa ricca foresta
tesset cantos de gioi'e de festa.
Sunt boghes de cuntentu,
trillos de puzoneddu innamoradu;
liricas de Larentu
chi consolant su coro angustiadu.
Eolo turbolentu
non si mustrat piùs, ma, incantadu,
si faghet volunteri
de gentiles profumos dispenseri.
mercoledì 26 agosto 2020
PEPPINO MEREU E I “SUOI FRATELLI”: LA VALENZA STORICO ANTROPOLOGICA DELLA POESIA TONARESE DI GRAZIANO ANTONIO MANCA -TOTTUS IN PARI
Tra Sorgono e Tiana, subito dopo il valico di S’isca e’sa mela (posto incantato ideale per i miei déjeuner sur l’herbe di ragazzino) si trova la svolta per Tonara, villaggio montano tra i più caratteristici e attraenti del centro Sardegna. Conosco i paesaggi profondamente suggestivi e le campagne lussureggianti del paese e mi capita spesso di ripensare ad essi quando rileggo le poesie di Peppino Mereu. Non che Mereu sia stato l’unico a esercitare il proprio straordinario estro poetico parlando di questi luoghi. Mereu non ha rappresentato, per i paesi che si trovano ai piedi del Gennargentu, una eccezione poetico letteraria: non dimentichiamo che il territorio della Barbagia Mandrolisai ha espresso altre grandi personalità della cultura poetica isolana come Antioco Casula, alias Montanaru, che era di Desulo, e il leggendario bandito poeta Bachis Sulis, che era di Aritzo. Desulo e Aritzo si trovano entrambi a un tiro di schioppo da Tonara. Tuttavia è Tonara ad aver espresso la non comune personalità di Peppino Mereu, a mio avviso il più grande dei poeti in lingua sarda di tutti i tempi, mentre per altri versi, nel corso degli anni, ha saputo manifestare, con i suoi numerosi cantori, una particolarissima predilezione per il verseggiare in limba, espressione artistica che non è azzardato, oggi, definire fuori moda. La poesia sarda, oggi più che mai, non è per tutti. Viceversa, si ha l’impressione che nell’odierna tale forma d’arte trovi la sua ottimale collocazione all’interno di fasce di predilezione che in linea di massima afferiscono non certo alle preferenze culturali dei giovani ma a quelle di persone molto avanti con gli anni, o comunque di una certa età, che sarebbero dunque le sole ad apprezzarne modalità e contenuti perché culturalmente e/o sentimentalmente più vicine alla tradizione non solo poetica “dei padri”. Ciò avviene nello stesso momento in cui continua a registrarsi, da parte delle ultime generazioni – soprattutto, viene da pensare, di quelle che vivono nei contesti urbani – un non trascurabile disinteresse per tutto ciò che ha a che fare con la lingua sarda parlata e scritta. Fin qui niente di nuovo, sembra, mentre anche il dibattito sull’attuazione del bilinguismo perfetto in Sardegna appare quanto meno stagnante o inconcludente sul fronte dei risultati concreti. Ennesimo deleterio effetto delle dinamiche globali che determinano gli interessi culturali dei giovani isolani (che poco hanno a che fare con la lingua sarda), si dirà. Eppure la scaturigine dell’immaginazione poetica dell’uomo sardo (homo poeticus, come quello tonarese, per eccellenza) risiede in qualcosa che interessa tutti, giovani e meno giovani, e particolarmente nella più profonda dimestichezza del sardo stesso con la natura circostante, con il ricordo della vita rustica condotta dagli avi e quindi con il mettere a nudo le proprie radici culturali, il desiderio di osservare e, in ultima analisi, il desiderio di descrivere le cose semplici di tutti i giorni che ognuno di noi sperimenta o vorrebbe, anche in questi tempi cambiati, continuare a sperimentare quotidianamente. Non a caso gli argomenti che generalmente contraddistinguono, in tutta la Sardegna, il poetare in limba, sono l’amore sconfinato per la propria terra, il lavoro nei campi, le bellezze e le ricchezze naturali del paese natio, la nostalgia per i tempi andati, l’amicizia e i sentimenti in tutte le loro possibili forme, l’amore, la morte. I temi del poetare possono altresì essere legati al contingente e riferire avvenimenti storici più o meno lontani nel tempo oppure raccontare episodi autobiografici e di vita paesana accaduti nel recente oppure nel passato più lontano, vicende divenute ormai leggendarie, e così via. Le poesie scritte dai nostri poeti sono spesso contraddistinte da una straordinaria semplicità di struttura e di linguaggio. In esse, tuttavia, non sono certo assenti raffinatezze linguistiche e, sul fronte delle tematiche trattate, i temi dell’impegno civile o politico e quelli che di volta in volta vengono dettati al poeta dalla propria coscienza universale o locale. Queste osservazioni preliminari valgano a introdurre tutti gli appassionati di poesia sarda alla poesia tonarese. Quella del paese montagnino è lirica che nel corso del tempo ha espresso nomi come quelli di Nino Demurtas (1933-2004), Giovanni Mameli (1891-1978), Gesuino Peddes (1926-2016), Sidore Poddie (1915-1962), Peppantoni Sau (1921-1983) e ancora Pera Sulis, Antonietta Zedde e Raffaele Casula, oltre, naturalmente, a quello di Peppino Mereu (1872-1901). Tonara, insomma, è comunità dove la poesia rappresenta una delle cose di cui non è possibile fare a meno e scorre come l’acqua, lievita come il pane, è pura e rarefatta come l’aria che è possibile respirare tra i boschi del paese. Si potrebbe ricavare, dalla lettura dei suoi poeti, una vera e propria antropologia. Uno dei poeti che si sono appena citati, Nino Demurtas, ha espresso bene l’attitudine poetica dei suoi compaesani: “Soe cuntentu chi sos tonaresos/sian tottus poetas de talentu;/bos giuro, de abberu so cuntentu/ca bos isco a sos versos bene avesos.//Chie connoschet misuras e pesos/ponet sos versos bonos in fermentu/e nde cantat, nde cantat, nde cantat pius de chentu/versos garbados ma’ in vid’intesos.//Su poetare est cosa chi sa natura/at chelfidu donare in zusta parte/a sos naschidos in terra ‘e Tonara.//Custa est cosa bella, cosa rara/ca isfiorat cudda chi est arte,/chi pro sos tonaresos est pastura.// Tra i poeti di Tonara non abbiamo riscontrato uniformità nel linguaggio dialettale utilizzato. Essi, in via generale (e talvolta, forse, in modo non del tutto rigoroso ma piuttosto rispettando la lingua parlata in paese quotidianamente), si servono del tonarese, del nuorese e di una variante dialettale che rimanda al logudorese. Per quanto attiene alle tematiche affrontate dai tonaresi: agli argomenti che generalmente formano l’oggetto della poesia sarda si è già fatto riferimento; più nello specifico, la poesia del paese del Mandrolisai, pur aderendo ai canoni e alle tematiche universalmente osservate dagli aedi sardi, si caratterizza per la peculiare enfasi con la quale vengono trattati argomenti che celebrano la grande bellezza e le tante ricchezze del villaggio e altri che attengono all’ambiente naturale ad esso circostante, allo scorrere del tempo e all’alternarsi delle stagioni, alle vicende sociali della comunità, alla vita nelle campagne, ai mestieri tradizionali che si svolgono a Tonara. Il poetare tonarese, poi, appare imbevuto di intensi sentimenti amorosi (per esempio, per la persona amata) e di profonda religiosità. Particolarmente numerose appaiono le composizioni dedicate ad amici, genitori, figli e parenti, a personaggi della cultura di particolare distinzione (innumerevoli, per esempio, le poesie dedicate al vate tonarese e sardo per eccellenza, Peppino Mereu). All’interno del microcosmo poetico letterario di Tonara, per altri versi, non mancano le opere dedicate ad argomenti di più stringente attualità (quelli che sono tali rispetto al contesto storico in cui il poeta si trova a scrivere): emozionanti vicende di guerra, le condizioni dell’emigrato, l’attentato al Papa, e così via, sono tra gli argomenti oggetto delle poesie degli autori esaminati. Eccoli, dunque, i nostri poeti; di ciascuno di essi proponiamo alcuni versi significativi.
Raffaele Casula
“Adiosu civiltade”: Tot’est isfasciadu/De totu su civile movimentu/ch’esistiat in brazzos de sa zente/e faghiat brincare su criadu/de cuntentesa, pro s’accisu/chi daiat cuss’opera superba,/oe pagu b’hat restadu.//Solu rizzolos/chi non rattan ne alvures ne crastos/murmuran senza briu/in sa foresta de sa civiltade.//Sas fontana perennes cun sos rios/chi sulcain s’umanu desertu/e s’abba trazaian fin’a mare/han lassadu s’ammentu in sa delusione pius pura/chi turmentat sos omines de oe.//
Casula canta accoratamente il tempo cambiato incomprensibile e senza attrattive e il sentimento di rimpianto per i tempi andati. La sua opera è spesso permeata dal ricordo e da un pessimismo che sembra trovare lenimento solo attraverso la rievocazione di un passato e di una giovinezza trascorse con serenità. Una umanità ripiegata su se stessa, la devastazione dei costumi, il venir meno dell’amore e della pace che riescono a incrinare il rapporto tra l’uomo e la natura stanno alla base di molti dei suoi versi.
Nino Demurtas
Da: “Corpu ‘e balla”: […] Unu ribigheddu e sambene/s’hat fattu caminu/in sa terra sanghinada/finas a s’istradone./Mama, fizos, babbos/si hazes galu lacrimas/pranghie sa morte/de un’ateru frade./Diaulos de omines che angelo/a mente fritta/ no hazes/a cambiare mai./[…] Sa zente est pessande/a su chi hat a morrere cras/pro su mortu de oje.[…]//
Vendetta, lavoro, sradicamento vissuto con l’emigrazione, ricordi di infanzia e di giovinezza, la poetica di Demurtas, avvolta nelle raffinatezze del suo linguaggio poetico, ha saputo accogliere suggestioni diverse. Essa appare il più delle volte supportata da quella serenità di fondo tipica non solo di molte persone avanti con gli anni, ma, in genere, anche di coloro che vivono guidati dai sani principi morali che hanno appreso dai propri avi e che si sentono ricchi per aver affrontato positivamente le esperienze, talvolta dure ma sicuramente tempranti, presentatesi ad essi nei vari periodi della loro esistenza.
Giovanni Mameli
Dal canto in ottave: “Pro Peppinu Mereu”: Pro cantare no apo forte bratzu/saludo solamente afetuosu, sento chi so frundidu che un’istratzu/dae nanti torrente impetuosu./E cando canto servo de imbaratzu/so a sos iscurtantes noiosu,/prite meritos no apo de atendere/mancu sa boghe mia pot’intendere.//Proit’ap’a cantare in poesia?/Tantu pro tantu non n’agat’in gradu;/non soe mancu su tantu chi fia/oe m’agato demoralizzadu,/e vivo solu sentza cumpagnia/ca so de ogni frade abbandonadu;/passo sa vida mia noiosa/che cando morta m’esseret isposa.//[…]
Leggendario frequentatore sia dell’oralità che della poesia scritta “a taulinu”, Giovanni Mameli è stato tra i più prolifici poeti tonaresi, anche se la sua opera ci è giunta solo in parte. Conciatore di pelli, barbiere, poeta autodidatta, la parabola artistica di “Mameleddu” è un crescendo fino ai primi anni Sessanta: in occasione delle gare si affianca a cantori di grande valore come Cucca, Tuconi, Moretti, Sotgiu, Mura e Demuru di Meana Sardo. Numerosi gli aneddoti che ne mettono in luce la bonomia e la modestia. Racconta Giovanna Devigus che “Una orta at passadu unu poberu, cun d’una bertula, at bussau, issu s’est incarau e d’at nau: “Tiu Mameli” e issu “ite oles”, “calecunu soddu”. Tiu Mameli tanno di pedidi “una bertul’in prusu portaisi?”, e su poberu: “e poite?”. Ca annaus a pedire parisi”, arresponne Tiu Mameli!”
Gesuino Peddes
Dal poema in ottave di: “Nanna ninna fracula e brasa dae sa linna de pizzirimasa” : […]Est torrada sa libertade bella:/sa chi de tottus fiat disigiada;/libera est torrada in is carrellas,/a s’intennere torra serenada;/e non poneus prusu sentinella,/timenno a sa ronda, infuriada,/ca chi agattànta gente, me in giru,/ddos faianta ponnere in ritiru…[…]//
Riporta Gesuino Peddes, carrettoneri e turronarzu tonarese ma anche poeta sopraffino particolarmente esperto della peculiare forma artistica del canto “a mutos” – che è insieme poetica e canora – che in passato raramente si passava una domenica senza che si rimanesse ore e ore a cantare al bar o nelle feste del paese o in quelle dei paesi del circondario. Peddes, nel suo genere, è stato in questa zona della Sardegna uno dei maestri incontrastati. Ha scritto “Mutos” e “Tertzinas”, “Anninnias” e “Cantos po pippios”; soprattutto è autore di un lungo poema scritto in tonarese “fiorito”, dedicato alla donna amata.
Sidore Poddie
“Adiosu a sa Catalogna”: Dae su mare finas a s’artura/est un’incantu custa Catalogna/est tottu bella e-i su coro sogna(t)/a bi restare in mesu a sa bellura.//S’apo fortuna e non b’at iscarogna/de ti torrare a bier pogno cura/e in custa incarnada zona pura/t’apo po totu vida santa mogna.//Da Barcellona fines a sa Frantza/totu sa costa cun donnia tretu/s’incantu sa persone paralizat,//nessun’atera bella t’assimizat/e custu coro postu t’at afetu/chi pro eternu nde restat sa mantza.//
Poeta praticamente autodidatta (interrompe prestissimo gli studi elementari), fanciullezza divisa tra il lavoro nelle campagne e gli impegni del mestiere di segantino, congedo dal servizio militare a 21 anni: poche coordinate varrebbero a definire l’esistenza terrena apparentemente comune di Sidore Poddie (scompare prematuramente a 47 anni nel 1962). Tuttavia, alla apparente aridità dei dati biografici appena forniti occorre aggiungere che alcuni mesi dopo essere stato congedato, nel 1936, egli viene chiamato a combattere in Spagna. L’esperienza si rivelerà fondamentale e influenzerà non solo i suoi anni a venire ma anche la sua poetica. Testimonianza di ciò, quel gruppo di splendide composizioni che raccontano diversi aspetti (il sentimento nostalgico per la terra natia, la recisa condanna della guerra, il grande affetto provato dal poeta per le genti iberiche) del tempo trascorso in Spagna.
Peppantoni Sau
Da: “S’Umanidade”: O mundu ingratu prite ses asie,/ in parte traitore e assassinu,/ pro viver malamente notte e die,// pro no leare su bonu camminu/ su male has preferidu pro pandera,/ semenende de velenu su terrinu.// Infettende sun fintzas in s’aera/ chin sos ordignos prus micidiales/ distruidores de sa ratza vera.// Lea su bene, abbandona su male,/ prite a su nessi nde podes godire/ un’istima sincera fraternale.// Pro cantu in mundu si podet vivire/ est menzus a vivire santamente/ solu gai finimus su suffrire.// […]
Torronaio itinerante, mestiere tipicamente tonarese, e poeta sublime: era questo Peppantoni Sau, autore di mutos, terzine, quartine e sonetti. Fece esperienze di guerra e di emigrazione che ne forgiarono personalità e arte. Interessanti le sfumature, per cosi dire “politiche”, di alcune delle sue composizioni (SARDOS ARDIDOS, SARDIGNA MIA, DISUNIDOS, e anche altre tratte dalla raccolta “Poesias”, edita nel 2017): in esse, da una parte il poeta punta il dito contro la disunità dei sardi, mantenuti “a sedda e a frenu” dai padroni, trattati peggio che gli animali da “sos istranzos” e divisi in tanti partiti; dall’altra esorta gli stessi sardi a liberarsi pacificamente da chi amministra la Sardegna. Un forte sentimento religioso promana da molte delle composizioni del poeta.
Pera Sulis
“Disoccupadu” : Est benzende s’ierru a passos mannos,/sa punta ‘e s’altu monte est già niada…!/comente has a passare s’ierrada/poberu, senza pane e senza pannos!//Ses in mesu de penas e affannos/senza tenner manc’una zorronada;/muzere tua est trista e desolada/ sos fizos allevende in duros annos.//Pensamentosu cun sa fronte oscura/cando in carrera benis a passare/mustras totu su coro in amargura…//Non pedis e non pensas a furare,/chircas solu tribagliu in sorte dura/ma… s’ierru comente has a passare.//
“Su pastore de Barbagia” : Accapotadu e a mazzocca in manu/ e in coro pienu de amarguras;/lassas cun su masone sas alturas/ cand’est pro ‘enner s’ierru tiranu.//Su ‘etzu, in domo e su chi est pagu sanu/ lassas cun sa muzere e criaturas/ e pane e penas a issos procuras,/ senza cunfortos, in su Campidanu.//Cando intendes anzones beulare/ t’hat a parrer de intender su lamentu/ de fizos tuos a tie giamare.//E in nottes d’astrau, abba e bentu/ a sos tuos de certu has a pensare/credendelos che tue in patimentu.//
Angelo Dettori cantò così la grande perdita subita da Tonara con la scomparsa di Pera Sulis: “Tonara ses in luttu. Su cantore ch’haias istimadu sende reu,/s’ammiradore ‘e Peppinu Mereu/ com’est transidu a monte pius altu, inue sos poetas han risaltu/in eternu doradu risplendore.// Pera (Pietro) Sulis fu in vita abile artigiano costruttore di campanacci. Un mestiere prezioso, il suo, per un paese votato alla pastorizia come la sua Tonara. Fu anche poeta tra i più grandi, dato che l’eco dei suoi versi ha dilagato per tutta la Sardegna. I suoi versi, scritti utilizzando un logudorese raffinato e il dialetto nuorese, si susseguono assecondando rime e ritmi perfetti disegnando, come di essi ebbe a scrivere Peppantoni Sau, quadri di ogni genere, di amore, di pena, di tristezza, di sentimenti che tormentano l’animo della gente. Raccontano si dell’interazione tra l’uomo e la natura e d’amore, i versi di Sulis, ma certo, nella sua poetica, non mancano i riferimenti alla morte, lo sguardo alla vita del pastore e agli argomenti di carattere intimistico ed esistenziale. Peppino Mereu fu per Sulis tra i più saldi punti di riferimento stilistici e le sue opere sono spesso permeate di malinconia.
Antonietta Zedde
Da: “Sa die ‘e su matrimoniu”: A tie caru tesoro/fin’a morte t’hap’amare/ca mi nd’has fattu padrona/custu megnanu in sa missa,/ e in sa nostra cresia/happo fattu giuramentu/de t’amare fedelmente./Chi siat su nostru amore/senza manza, senza neu/cun s’anima casta e pura/candida e immaculada/prena de felicidade.//[…]
Da: “Intrigos de Comune”: […]Tonara, troppu tardu s’est accorta/in s’eligire, zertos conchi cruos:/ch’aumentan sos pagamentos suos/e ne finin pro finas calch’iscorta.[…]//
Antonietta Zedde è la poetessa del sentimento amoroso, di un intenso sentire religioso, delle cose comuni dell’attualità paesana, dei fatti di cronaca che scuotono la nazione italiana (“Attentadu a Paulu II”), delle numerose dediche di versi a parenti, amici e amiche, autorità ecclesiastiche e a personaggi importanti della cultura. L’utilizzo della variante dialettale che è tipica della sua gente, l’impiego di parole e immagini semplici che vanno dritte alla sostanza dei fatti riferiti, una vena poetica che predilige l’uso della satira e di un certo umorismo figurano tra le caratteristiche della sua indole artistica.
La disamina dei poeti si conclude con il più sublime di tutti i cantori isolani, Peppino Mereu, aedo supremo e visionario non solo per Tonara ma, per aver egli nobilitato l’arte poetica in lingua sarda, per tutte le genti di Sardegna. Al fine di inquadrare nella giusta dimensione la poesia di Mereu diremo subito che pur non andando molto oltre i particolarismi letterari e le specificità formali che sono proprie dell’espressione poetica dialettale sarda, l’opera del tonarese andrebbe apprezzata per i suoi contenuti universali ancora validissimi (essi, peraltro, ricalcano alcuni lineamenti della storia della nostra isola nel periodo in cui egli scrisse) e non soltanto per la capacità intrinseca delle composizioni poetiche di rappresentare gli aspetti sociali ed economici della Sardegna e della Barbagia del tempo in cui furono scritte. Peppino Mereu era particolarmente legato a Tonara. Il suo rapporto con il paese era viscerale e simbiotico, espressione di un amore totalizzante per i luoghi e le ricchezze naturali di cui è dotato il piccolo centro montano. In una delle sue poesie più conosciute, quella, appunto, intitolata al suo borgo natio, Mereu, dopo aver definito Tonara cara, santa e benedetta dalle muse, descrive così il paesaggio che è tipico dei luoghi che lo hanno visto venire al mondo: ‘Majestosas muntagnas/fizas de su canudu Gennargentu,/ch’in sas virdes campagnas/sas nucciolas bos faghent ornamentu;/seculares castagnas/chi supervas alzades a su bentu/virdes ramos umbrosos,/dulche nidu de cantos pibiosos://semper bos sogno, vanu/però est custu sognu, it’amalgura!’
Con inusitata capacità di sintesi, venati dall’amara malinconia dell’uomo che per un motivo o per un altro è costretto a stare lontano dal proprio villaggio, i versi rappresentano gli aspetti più immediatamente percepibili, quelli naturalistico – ambientali, di un paese e di un territorio intero che mai, nemmeno in tempi più vicini a noi, hanno goduto di grandi fortune turistiche nonostante siano, la circostanza è ben conosciuta dai sardi, tra i più ameni e caratteristici dell’isola di Sardegna. Se nell’ambito dell’opera di Mereu Tonara fa spesso da sfondo, tuttavia il poetare di Peppino non si limita alla celebrazione in versi del tanto amato borgo natio. L’opera di Mereu, infatti, è molto più complessa di quanto possa sembrare a un primo superficiale approccio. Vale la pena dilungarsi sugli elementi biografici, storici, letterari e contenutistici che hanno permeato di sé l’opera del tonarese. Essi hanno contribuito a determinare l’alto spessore della scrittura di questa singolare figura di poeta cantastorie a quasi 150 anni dalla nascita.
La tormentata vicenda esistenziale di Peppino Mereu è in larga parte leggendaria e avvolta nel mistero. Sono pochissime le notizie certe e incontrovertibili che riguardano la vita e la morte dello sfortunato poeta. I dati di sicura veridicità, tutti desunti da archivi pubblici, concernono le date di nascita e di morte del poeta, la composizione della sua famiglia, il servizio prestato presso l’Arma dei carabinieri reali e quello, piuttosto breve, prestato presso il Municipio di Tonara. Quarto di sette fratelli (i loro nomi sono Edoardo, Manfredi, Elvira, quello di mezzo Peppino, appunto, Matilde, Rinaldo ed Emilia) Giuseppe (Peppino), Ilario, Efisio, Antonio, Sebastiano Mereu venne alla luce a Tonara nel primo giorno di Gennaio del 1872. Perde entrambi i genitori prematuramente: la madre Angiolina Zedda muore a Cagliari nel 1887, il padre Giuseppe, medico del paese, nel 1889, per aver ingerito erroneamente una sostanza letale scambiata per liquore. Alla morte del padre Peppino ha diciassette anni. Si ipotizza una sua frequentazione scolastica fino alla terza elementare; essendo Tonara villaggio sfornito di scuole in quei primi lustri postunitari, si propende generalmente per la tesi della formazione del tutto autodidattica del poeta. Molte delle informazioni biografiche su Mereu sono state attinte da ricerche curate dal Collettivo Peppino Mereu, organismo che ha avuto meriti indiscutibili per aver svolto, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta del Novecento una amorevole e paziente opera di ricerca storico-biografica, oltrechè di raccolta delle poesie di Mereu. Il lavoro del collettivo ha portato alla pubblicazione dell’opera omnia del poeta di Tonara.
Che il poeta disponesse comunque di una formazione lo possiamo desumere dalla lettura dei suoi versi. Nello specifico, leggere l’opera poetica di Mereu porta ad avvicinarsi confidenzialmente al suo raffinato verseggiare, alle riflessioni in certo qual modo ‘filosofiche’ a cui il poeta si lascia andare quando affronta argomenti di portata universale come le sofferenze che fanno parte dell’umana esistenza e la morte e la giustizia, alla ricchezza descrittiva con la quale egli, con ricercato linguaggio, raffigura gesti e circostanze, comportamenti e particolari aspetti della quotidianità delle persone che abitano l’amato paese. Che dovesse aver letto molto e non solo in lingua sarda è inoltre dimostrato da alcune influenze letterarie che Mereu, uomo dei suoi tempi, sembra aver trasfuso nei suoi versi. Ciò è accaduto soprattutto nelle composizioni poetiche in cui il tonarese affronta argomenti di interesse più generale, in quelle più ‘contestatarie’, per esempio, in quelle, poi, che documentano l’approccio particolarmente commosso e critico del poeta nei confronti delle difficoltà esistenziali dei meno fortunati, del potere costituito e di una giustizia che gli appare sempre poco giusta. Scrive Mereu in ‘A Nanni Sulis II’: ‘Deo no isco, sos carabineris/in logu nostru prit’est chi bi sune,/e no arrestant sos bangarrutteris./Bi cheret una furca e una fune,/e impiccar’impiccare continu,/finas a si purgare sa Comune.’
Queste influenze per cosi dire ‘esterne’, vengono ricondotte agli scritti dei poeti della scapigliatura, alle poesie di Olindo Guerrini (pseudonimo di Lorenzo Stecchetti) e, per altri versi, a Giuseppe Giusti, poeta satirico toscano vissuto tra il 1809 e il 1850, il cui stile può essere facilmente rinvenuto in alcune delle poesie meno intime di Peppino, in quelle più irriverenti, pungenti e goliardiche nei confronti della politica e del potere. Il debito per così dire ‘stilistico’ nei confronti del Guerrini risulta particolarmente evidente nella poesia “Dae una losa ismentigada” (Da una tomba dimenticata): Non sias ingrata, no, para sos passos,/o giovana ch’ in vid’ happ’istimadu./Lassa sas allegrias e ispassos/e pensa chi so inoghe sepultadu./Vermes ischivos si sunt fattos rassos/de cuddos ojos chi tantu has miradu./Para, par’un’istante, e tene cura/de cust’ ismentigada sepoltura.// A ti nd’ammentas, cando chi vivia/passaimis ridend’oras interas?/Como happ’ una trista cumpagnia/de ossos e de testas cadaveras,/fin’ a mortu mi faghent pauria/su tremendu silenziu ‘e sas osseras./E tue non ti dignas un’istante/de pensare ch’ inog’ has un amante!
Il movimento degli scapigliati costituisce un fenomeno letterario che si inserisce in un mondo, in una Italia in rapido divenire sotto i diversi profili politico, sociale, di costume, culturale. Il movimento nasce sulla scia delle tendenze letterarie realistiche e simbolistiche molto diffuse in Francia e accoglie intellettuali come Arrigo e Camillo Boito, Carlo Doni ed Emilio Praga tra gli altri. Gli scapigliati vengono presentati dallo scrittore milanese Cletto Arrighi (alias Carlo Righetti), vissuto tra il 1828 e il 1906, come il vero pandemonio del secolo e ‘pronti al bene quanto al male; irrequieti, travagliati, turbolenti’. Ritroviamo in Mereu la stessa indole ribelle e fortemente polemica che aveva caratterizzato il pensiero degli scapigliati, i cui obiettivi consistevano principalmente in una critica feroce al sistema borghese, al piatto andamento della normalità delle cose, al positivismo. La poesia di Mereu, in definitiva, si configura quale espressione dell’intima assimilazione, da parte dello stesso, di espressioni culturali che hanno carattere nazionale sapientemente mescolate alla cultura contadina e pastorale del piccolo paese sardo. L’estro poetico letterario di Peppinu Mereu assorbe dunque non solo l’urlo poetico esistenziale individuale dello stesso poeta ma comprende altresì istanze sociali e politiche manifestate dalla comunità tonarese e da tutte le genti dell’isola.
Sulla formazione del Mereu si segnala quanto sostenuto dallo storico Manlio Brigaglia (è chiaro che studi da autodidatta o regolari che fossero Mereu ne aveva fatti: lo dimostra il taglio della sua poesia, i riferimenti letterari che vi si colgono, il sistema di idee che vi circola, perfino l’uso e quotidiano che vi si fa talvolta dello stesso periodo espressivo, costruito secondo i modi della poesia di paese più consueta e meno alfabetizzata, insomma più .) e dallo scrittore e poeta Francesco Masala (A pensarci bene, la crisi di Peppinu Mereu è la stessa crisi della piccola borghesia nuorese, altalenante tra l’ironia e la follia alcolica de sos iscopiles, puntualmente espressa dal gruppo dei poeti de su connottu, positivisti, anticonformisti, scapigliati e maledetti.).
Quella di Peppino Mereu per la poesia in limba fu scelta di vita e d’amore voluta consapevolmente e appassionatamente. I tratti caratteriali dell’uomo sono quelli di una persona a cui fin da giovane vengono a mancare i genitori. Il poeta di Tonara vive in solitudine e malfermo di salute; testardamente avverso a qualsiasi tipo di imposizione e a ogni forma di potere, mostra di essere sensibile e sinceramente angustiato dalle ingiustizie sociali. Fu il servizio prestato come carabiniere dal 1891 al 1895 in quel di Codrongianos e altrove che fece conoscere a Peppino e toccare con mano le asperità che la vita, in ogni parte della Sardegna, riserva ai diseredati, alla gente comune, al pastore, al contadino. Insofferente nei confronti della disciplina militare e profondamente deluso dalle piccole e grandi ingiustizie che aveva avuto modo di rilevare e anche di subire durante il servizio prestato nell’Arma, il poeta si avvicina agli ideali propugnati dal movimento socialista, che proprio in quegli anni di fine secolo andava sviluppandosi. Con le sue opere interpreterà i vari aspetti di una crisi sociale ed economica che colpirà diffusamente non solo la Sardegna ma l’intera nazione italiana. E’ una crisi, peraltro, che per Mereu avrà amari risvolti personali. Infatti, sostiene Francesco Masala, “Di questa crisi il poeta Peppinu Mereu è pregnante testimonianza: figlio di medico proprietario, si ribellò alla famiglia e alla sua condizione piccolo-borghese, naufragò in una dimensione esistenziale, disordinata ma ancorata ai valori e alla cultura comunitaria del suo villaggio; la gente di Tonara protesse, onorò e nutrì il suo poeta maledetto”. Dopo il congedo, per gravi motivi di salute, dalla vita militare, inizia per Mereu, che in quel momento ha venticinque anni, la discesa della sua parabola esistenziale. Ci pare di vederlo, nei terribili inverni di Tonara, accanto al camino, coperto dall’orbace e sofferente, ravvivare il fuoco con carte sulle quali ha scritto dei versi. Raccontano che proprio in questo modo siano andate perdute molte delle opere del poeta. E’ una delle leggende che circolano sul tonarese che viene riportata nel risvolto di copertina di una delle più recenti edizioni delle sue opere: si dice che Mereu utilizzasse i fogli su cui aveva scritto qualche poesia per difendersi dalle rigidissime temperature degli inverni barbaricini. Vive spesso con mezzi di fortuna, con l’aiuto di pochi amici, in condizioni di progressivo isolamento, braccato dalla malattia e da un male di vivere di cui non riuscì mai a liberarsi. Si impiegò come scrivano presso il Comune di Tonara tra l’Ottobre del 1898 e la fine del 1900. Muore il primo giorno di Marzo del 1901, di diabete dicono alcuni, o di tisi, secondo altri. Nella biografia di Mereu la tubercolosi dovette effettivamente essere, da un certo momento in poi, un dato costante e concreto. A sostegno di tale ipotesi, sostiene Brigaglia, vi sarebbero la cupa malinconia del poetare di Peppino e la sua morte precoce. Difficile l’inserimento dell’opera del tonarese nell’ampio panorama poetico e letterario dell’Italia di fine Ottocento – inizio Novecento, dal momento che tra l’altro, sostiene Giancarlo Porcu, “La stessa presenza di italianismi nella lingua della tradizione poetica sarda – energica infatti in Mereu – ci parla di una assimilazione a distanza, decentrata, riguardosa, e non invece di un commercio diretto e intenso con la tradizione e la lingua ‘nazionali’.” e che le caratteristiche della poesia di Mereu derivano da scelte che lo stesso poeta tonarese compie a monte, “entro il sistema poetico in sardo, perché, periferia tra le periferie rispetto ai centri egemonici da cui pure è politicamente dipesa, la Sardegna, quella rustica in special modo, dovette sviluppare – metabolizzando di continuo apporti ‘altri-alti’ – una tradizione poetica con un proprio sistema di generi e di livelli interni, inventandosi fra l’altro una speciale lingua letteraria, con domini geografici soprattutto centro-settentrionali (il cosidetto logudorese illustre), e una singolare civiltà metrica.”. Purtuttavia l’opera di Mereu va inserita, quanto a contenuti, in un contesto postunitario culturale generale in cui in tutta Europa vanno crescendo e sviluppandosi la società di massa e, a essa collegate, le istanze partecipative delle genti e gli effetti della modernità, in un grande calderone in ebollizione in cui la Sardegna versa in condizioni di arretratezza veramente drammatiche. Il malessere e l’insoddisfazione della popolazione per un livello di tassazione impossibile da sostenere imposto dal governo unitario, la mancanza di strutture viarie che consentano agevoli collegamenti tra i vari centri dell’isola, l’insufficienza della rete dei trasporti, che è tale da non riuscire ad assicurare un sistema decente di collegamenti esterni all’isola stessa, vanno aumentando. Oltre a ciò, sempre nel contesto di un disagio che ha caratteri generali europei, sono da mettere in rilievo le particolari disastrose condizioni economiche della Sardegna aggravate dalla inadeguatezza della pastorizia e dell’agricoltura sarde a stare sui mercati e dalla sensibile diminuzione dei traffici commerciali d’oltremare conseguente all’adozione, da parte della Francia, di severe politiche protezionistiche. Al quadro d’insieme sinteticamente delineato vanno aggiunti da una parte il fenomeno del banditismo e le correlate severe misure di repressione adottate dal governo, dall’altra lo svilupparsi un po’ dappertutto, all’interno della classe lavoratrice, della consapevolezza dei propri diritti, delle prime lotte di classe, degli scioperi, del movimento politico socialista. Il quadro storico politico che si è sinteticamente delineato è quello in cui attivamente si inserisce la vicenda artistico esistenziale di Mereu. Ecco perché siamo convinti che alla poesia del mai abbastanza rimpianto vate tonarese debba essere attribuito per intero il rilievo che le compete e che merita. Nelle sue poesie Mereu dimostra di essere uomo perfettamente calato nell’attualità delle questioni dei tempi in cui, sia pure per pochi anni, ha vissuto. Sui tempi cambiati, ad esempio, e sul mutamento delle condizioni economiche, si leggano le poesie ‘Lamentos de unu nobile’: ‘1.Funesta rughe/chi giust’a pala/per omnia saecula/ba’in ora mala./ 2. In diebus illis/m’has fatt’ onore,/ma oe ses simbulu/de disonore./3. Oe unu nobile/chi no hat pane,/senz’ arte, faghet/vida ‘e cane./4. Senz’impiegu/su cavalieri,/est unu mulu/postu in sumbreri./5. A pancia buida,/senza sienda,/papat, che ainu, paza in proenda./6. Deo faeddo/cun cognizione,/ca isco it’ este/s’ispiantaggione./[…]11.Ah caros tempos/c’happo connottu!/sezis mudados/in d’unu bottu!…’
e ‘A Nanni Sulis II’: ‘Unu die sa povera Sardigna/si naiat de Roma su granariu;/como de tale fama no nd’est digna./Su jardinu, su campu, s’olivariu/d’unu tempus antigu, s’est mudadu/ind’unu trist’ispinosu calvariu.’.
La valenza culturale e sociale insieme ai risvolti storico politici della sua opera per certi versi si spinge oltre gli angusti confini di una terra, la Sardegna, allora più che mai relegata ai confini del mondo.
sabato 27 giugno 2020
Andrea Carboni, cintura nera per la difesa del Cagliari.
Andrea Carboni, una cintura nera per la difesa del Cagliari
Approfondimento sul giovane talento del Cagliari Primavera
EMANUELE GIACOMETTI 25.04.2020 12:38 0
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La Primavera del Cagliari è composta da giovani di belle speranze. Ragazzi che assieme creano un gruppo, una vera squadra. Non a caso i risultati si sono visti. Un Cagliari che con l'Atalanta ha dominato il Primavera 1, campionato di grande livello con la presenza di compagini organizzate e di blasone. Un secondo posto quello dei sardi, a -3 dalla fortissima Atalanta, che ha visto i baby rossoblù battagliare e ricevere applausi in ogni campo. I numeri lo testimoniano: sei vittorie, tre pari e due sconfitte in casa, otto vittorie e una sconfitta in trasferta, quarto miglior attacco (37 reti) e seconda miglior difesa con appena (20 gol) incassati. Insomma una difesa chiusa a doppia mandata, ma anche un attacco molto prolifico. E a proposito di difesa, Andrea Carboni centrale classe 2001 è tra gli elementi che più si sono messi in evidenza.
LA STORIA-Carboni inizia piccolissimo nella scuola calcio del Tonara. Precisamente all'età di cinque anni e qualche anno dopo, il suo talento viene scoperto dagli addetti ai lavori. A Cagliari disputa quindi tutte le categorie regionali e nazionali. La Primavera e la prima squadra con la quale si allena in pianta stabile, è storia dei giorni nostri. Fin qui ha vissuto una stagione importante con 20 presenze e 2 gol (entrambi al Chievo).
MAGIC MOMENT- I suoi momenti più belli sono stati la convocazione in Under 19, con la manciata di minuti giocati in casa del Portogallo (ottobre 2019), ma anche le chiamate in prima squadra il 6 gennaio all'Allianz Stadium contro la Juve o quella più recente alla Sardegna Arena con la Roma. A gennaio ha firmato il suo primo contratto da professionista che lo lega al club di Giulini fino al 2022.
A CHI SI ISPIRA – Carboni si ispira a uno dei centrali più forti del panorama mondiale: Van Dijk del Liverpool. Al Cagliari ha un buon rapporto con tutti, ma i suoi punti di riferimento sono Luca Ceppitelli e Fabio Pisacane, sempre prodighi di consigli nei suoi confronti.
CARATTERISTICHE- Andrea è un mancino di difesa ben strutturato e molto bravo non solo nel difendere ma anche nell'impostazione del gioco. Proprio per questa capacità nell'impostare da dietro, può far pensare allo juventino Bonucci.
CURIOSITA'- Il talento sardo fin da bambino non praticava solo il calcio. Non tutti sanno infatti, che alternava anche il Ju-Jitsu, disciplina nella quale a dodici anni è diventato cintura nera.
venerdì 5 giugno 2020
sabato 16 maggio 2020
venerdì 15 maggio 2020
Poeti Tonaresi: Lorenzo Zucca di Nino Mura
Lorenzo Zucca
Il vice parroco tonarese Domenico Martini, incaricato di censire la popolazione del rione di Toneri per l’anno 1829, così ci rappresenta la situazione familiare di Lorenzo Zucca della contrada di Catzolaghedu:
Antonio Zuca, marito, di anni 57
Rosa Carneri, moglie, di anni 49
Angela Zuca, figlia, di anni 16
Sebastiano Zuca, figlio, di anni 14
Lorenzo Zuca, figlio, di anni 11
Raimondo Zuca, figlio, di anni 4
Nel 1845 Lorenzo Zucca è censito nella frazione di Ilalà. Questa la composizione familiare:
Lorenzo Zucca, marito, di anni 26
Francesca Cabras Carta, moglie, di anni 20
Antonio Zucca, figlio, anni 1
Francesca Rosa Carta, suocera (vedova), di anni 50.
Dallo status animarum di Ilalà dell’anno 1856 rileviamo questa nuova situazione:
Lorenzo Zucca, marito, di anni 35
Francesca Cabras Carta, moglie, di anni 35 (sic) (Età un po’ ballerina!)
Antonio Zucca, figlio, anni 6 (sic) (Età sin troppo ballerina!)
Rosa Zucca, figlia, di anni 1
Non so in quale anno sia avvenuto il decesso di Lorenzo Zucca, al riguardo bisognerebbe attivare le ricerche presso gli archivi della parrocchia e del Comune di Tonara, ma reputo improbabile un legame di amicizia tra lo Zucca ed il Mereu. Ricordiamo che Peppino M., nascendo nel 1872, potrà essere in grado di esprimere il suo pensiero poetico non prima del compimento dei 15 anni. A tale data, Lorenzo Zucca, ammessa la sua sopravvivenza, avrebbe un età avanzata, intorno ai 70 anni.
P.S. E’ bene sapere, ai fini di ulteriori indagini, che i registri parrocchiali dei decessi relativi al periodo 1848-1874 non rispondono all’appello degli studiosi. Le ricerche sono infruttuose tanto a Tonara quanto nell’archivio storico diocesano di Oristano.
Nei registri dei defunti datati 1874-1879 non è segnalato il decesso del cantore di Ilalà. Bisognerebbe controllare le registrazioni dei periodi successivi e, in caso di insuccesso, tentare per altre vie non escluse quelle che indirizzano ad uno studio più attento dei Quinque libri.
A NANNI SULIS (Nanneddu Meu) di Peppino Mereu
A NANNI SULIS
1.
NANNEDDU meu,
su mund’est gai,
a sicut erat
non torrat mai.
2.
Semus in tempos
de tirannias,
infamidades
e carestias.
3.
Como sos populos
cascant che cane,
gridende forte
«Cherimus pane».
4.
Famidos, nois
semus pappande
pane e castanza,
terra cun lande.
5.
Terra c’a fangu
Torrat su poveru
senz’alimentu,
senza ricoveru.
6.
B’est sa fillossera,
impostas, tinzas,
chi non distruint
campos e binzas
7. .
Undas chi falant
in Campidanu
trazan tesoros
a s’oceanu.
8.
Cixerr’in Uda,
Sumasu, Assemene,
domos e binzas
torrant a tremene.
9.
E non est semper
ch’in iras malas
intrat in cheja
Dionis’Iscalas.
10.
Terra si pappat,
pro cumpanaticu
bi sunt sas ratas
de su focaticu.
11.
Cuddas banderas
numeru trinta,
de binu onu,
mudad’hant tinta.
12.
Appenas mortas
cussas banderas
non piùs s’osservant
imbreagheras.
13.
Amig’ a tottus
fit su Milesu,
como lu timent,
che passant tesu.
14.
Santulussurzu
cun Solarussa
non sunt amigos
piùs de sa bussa.
15.
Semus sididos
in sas funtanas,
pretende sabba
parimus ranas.
16.
Peus su famene
chi, forte, sonat
sa janna a tottus
e non perdonat.
17.
Avvocadeddos,
laureados,
bussacas buidas,
ispiantados
18.
in sas campagnas
pappana mura,
che crabas lanzas
in sa cresura.
19.
Cand’est famida
s’avvocazia,
cheres chi penset
in Beccaria?
20.
Mancu pro sognu,
su quisitu
est de cumbincher
tant’appetitu.
21.
Poi, abolidu
pabillu e lapis
intrat in ballu
su rapio rapis.
22.
Mudant sas tintas
de su quadru,
s’omin’ onestu
diventat ladru.
23.
Sos tristos corvos
a chie los lassas?
Pienos de tirrias
e malas trassas.
24.
Canaglia infame
piena de braga,
cherent s’iscettru
cherent sa daga!
25.
Ma non bi torrant
a sos antigos
tempos de infamias
e de intrigos
26.
Pretant a Roma
Mannu est s’ostaculu ;
Ferru est s’ispada
Linna est su baculu
27.
S’intulzu apostolu
De su segnore
Si finghet santu
Ite impostore!
28.
Sos corvos suos
Tristos, molestos
Sunt sa discordia
De sos onestos
29.
E gai chi tottus
Faghimus gherra
Pro pagas dies
De vida in terra
30.
Dae sinistra
Oltad’a destra,
e semper bides
una minestra.
31.
Maccos, famidos,
ladros, baccanu
faghimus, nemos
halzet sa manu
32.
Adiosu, Vanni,
tenedi contu,
faghe su surdu,
ettad’a tontu.
33.
A tantu, l’ides,
su mund’est gai
a sicut erat
non torrat mai
domenica 3 maggio 2020
Sa pratza 'e Sinti Cocco (alias Vincenzo Cocco) Toneri - Tonara
UNA CONTRADA: IL VICINATO DENOMINATO PRATZA 'E SINTI COCCO
La piazza denominata " Pratza ' e Sinti Cocco" rappresentava verosimilmente un vicinato che era intitolato a Vincenzo Cocco che vi ha abitato con la sua famiglia nella seconda metà del 1700.
Tanto si deduce dai censimenti parrocchiali del 1829 depositati dal prof. Giovanni Mura presso la biblioteca di Tonara. Il documento originale, di cui il Prof. Mura ne ha curato la trascrizione è consultabile nell' Archivio diocesano.
Dal documento risulta inequivocabilmente che quella che comunemente si riteneva una piazza in realtà era un agglomerato urbano, ovvero un vicinato del rione di Toneri .
Nel 1829 il vicinato si componeva di 6 nuclei familiari:
1) Francesco Melis e Maria Dessi (coniugi)Sofia e Gioista Mameli anni (figli)
2) Sebastiano Pruneddu e Francesca Piras (Coniugi) Pietro e Giovanna (Figli)
4) Antioco Mura e Sebastiana Defigus (Coniugi) Luigi, Basilio,Anna Rosa, Pietro (Figli)
5)Giovanni Battista Mameli e Maria Mameli (coniugi) Giovanni e Antioco (Figli)
6) Francesco Defigus e Maria Zuca (coniugi)
Nel 1829 la famiglia Cocco non compare più nel vicinato perchè come si può evincere dai censimenti parrocchiali gli eredi di Vincent Cocco si sono sistemati in altre parti del rione di Toneri.
CHI ERA VINCENZO COCCO
Il nucleo familiare di Vincente Cocco appare al n. 50 dei nuclei familiari presenti nel rione di Toneri nell'anno 1775.
A confermarlo sono i censimenti parrocchiali dell'Archivio diocesano redatti in castigliano.
Il gruppo familiare era costituito, oltre al capofamiglia Vincent, dalla moglie Ana Cayany (muger) e dai figli (hijos) Pasqual di anni 21, Antiogo di anni 18, Mauro di anni 17, Joseph di anni 16.
Da questo dato in via orientativa si può desumere la nascita di Vincent intorno al 1715-1720.
Sull'attività di Vincent sappiamo poco ma il solo fatto che a lui sia intitolato un vicinato testimonia la sua influenza sociale nella comunità tonarese.
Si tratta evidentemente di un nucleo un pò anomalo nel quadro delle famiglie presenti nella seconda metà del 1700 nel rione di Toneri che nel 1775 conta 663 residenti.
Si osserva in particolare che, mentre il cognome Cocco è presente in numerosi nuclei familiari del rione, il cognome Cayany giunge a Tonara con tutta probabilità da altri comuni della Sardegna, essendo presente solo nel nucleo familiare della moglie di Vincent.
Nei censimenti parrocchiali relativi al 1798, al 1811 è indicato il percorso del nucleo Cocco- Cayany.
Nel suo evolversi la famiglia si sposta progressivamente dalla originaria localizzazione per allocarsi in altre parti del rione Toneri e con tutta probabilità negli altri rioni di Tonara.
nel 1829 come si evince dal relativo censimento, il nucleo familiare Cocco non è tuttavia più presente nel vicinato che aveva preso nome dal capostipite Vincent.
Lo si può osservare meglio dalla la vicenda familiare dei figli figli di Vincent.
Mauro, nato nel 1748, nel 1798 risulta già unito in matrimonio con Juana (Giovanna) Zucca, dalla quale ha avuto i figli Pasquala e Vincenti, quest'ultimo con il nome del nonno, come nella tradizione familiare.
Nel 1811 nel suo nucleo sono indicati anche i figli Maria Antonia di anni 14 e Antonio Maria di anni 8 ma lui non risulta più inserito perchè nel frattempo deceduto. Juanna Zucca è indicata come Viuda (vedova).
Nel censimento parrocchiale del 1829 si può osservare che Maria Antonia figlia di Mauro è domiciliata nel vicinato di Maria Prà, Antonio Maria in Pratza Manna, Vincenti (Giovanni Vincenzo) in Barigau, Pasquala non compare.
Antiogo Cocco, pronipote di Vincente risulta domiciliato in vicinato Craccalasi Cazolaghedu.
Franesco Cocco altro nipote di Vincent (figlio di Pasquale Cocco e Birgita Manca) risulta domiciliato in vicinato Maria Prà.
venerdì 1 maggio 2020
La chiesa di Sant'Anastasia di Tonara - Una ipotesi - di Giovanni Mura - Tratto da " Notizie storiche sulla chiesa di Sant'Anastasia" Memorie Tonaresi anno 2009
versione n.1 plastico struttura |
versione n. 3 plastico struttura |
versione n. 2 plastico struttura |
piantina con arcate a crociera raggruppate |
piantina con arcate a crociera in successione |
volta a crociera con archi perimetrali e diagonali semicircolari |
volta a crociera con archi perimetrali a sesto acuto ed archi diagonali a tutto sesto |
martedì 21 aprile 2020
domenica 19 aprile 2020
Vincenzo Cabras di Ennio Porceddu
L’insurrezione esplose nel momento in cui i piemontesi arrestarono l’avvocato Vincenzo Cabras e il fratello bernardo al posto di Efisio Pintor, che era riuscito a scappare. Ma già iniziò un anno prima, nel 1793 quando i cagliaritani respinsero con grande determinazione le armate navali francesi. Sa die de sa Sardigna è la ricorrenza popolare che rievoca i cosiddetti “Vespri Sardi”, cioè l’insurrezione popolare del esplosa il giorno 28 aprile 1794 con il quale cacciarono da Cagliari i Piemontesi e il viceré Balbiano, in seguito al diniego del governo di Torino di esaudire le richieste che venivano dall’isola, titolare del Regno di Sardegna.In effetti, cosa chiedevano i sardi? Che fossero loro riservata una parte degli impieghi civili e militari e una maggiore indipendenza rispetto alle risoluzioni della classe dirigente locale. Al rifiuto del governo piemontese di accogliere qualsiasi petizione, la borghesia cagliaritana sorretta da tutta la popolazione, s’infiammò facendo nascere il moto insurrezionale. Le prime scintille della ribellione popolare iniziarono già negli anni Ottanta del Settecento ed erano continuate negli anni novanta, interessando poi tutta l’isola.Le ragioni del malcontento, erano di ordine politico ed economico insieme, da riallacciare al 1793, quando l’isola era stata implicata nella guerra della Francia rivoluzionaria contro stati europei e contro e il Piemonte. Così quando si parla di storia sarda, dobbiamo tener conto del biennio 1793/ 1794. I francesi, dopo aver, occuparono Nizza e Savoia, decisero di conquistare la Sardegna, convinti che conquistare l’isola fosse un’impresa facilissima. C’é da rammentare che la Sardegna in quel periodo era nel caos con gli isolani scontenti con un governo piemontese incapace di difendersi. Invece, accadde l’impensabile che i francesi non si aspettavano. Quando nel febbraio del 1793, la flotta, capeggiata dall’ammiraglio Truguet, si affacciò nella rada di Cagliari e iniziarono il cannoneggiamento, trovarono un’eroica opposizione dei Sardi, in difesa della loro terra. Con tale opposizione si manifestava un sentimento nazionale, che portò a scriverla nella sua autobiografia Vincenzo Sulis. Dopo aver evitato il pericolo dei francesi, I nobili sardi che avevano sollevato il popolo contro i francesi, giustamente, dai Piemontesi, si aspettavano una riconoscenza e una giusta gratificazione per la fedeltà manifestata alla corona. Le cose però andarono diversamente: tutte le richieste furono bocciate. “Mostrandosi il Ministro Granirei, contrario alle domande presentategli – scrive Pietro Meloni Satta – in nome degli Stamenti dai Deputati a ciò delegati, e accentuandosi sempre più la tracotanza, il contegno poco corretto, le satire e le insolenze continue dei Piemontesi contro gli Isolani, il malcontento assume proporzioni gravissime in tutta l’Isola, e specialmente nella capitale”. La fiamma che fece perdere il controllo ai cagliaritani fu (28 aprile 1794), l’arresto disposto dal viceré di due capi del partito patriottico, gli avvocati cagliaritani: Vincenzo Cabras ed Efisio Pintor.
In breve i fatti: Intorno all’una di pomeriggio di quel giorno, una Compagnia di granatieri del reggimento svizzero Schmidt, scende dalla Porta Reale, a Cagliari, avviandosi verso il quartiere di Stampace. I soldati sono in uniforme di parata: la gente che passa pensa di essere di fronte ad un’esercitazione. Poi con passo veloce, una parte dei soldati si schiera accerchiando l’abitazione dell’avvocato Vincenzo Cabras. Si predispone l’arresto del Cabras e del genero, Efisio Pintor, anche lui avvocato, considerati dalle Autorità Piemontesi due pericolosi rivoluzionari ma quest’ultimo riesce a scappare. Allora è arrestato il fratello Bernardo.“A questo punto – scrive Pietro Meloni Satta – “scoppia l’insurrezione nel sobborgo di Stampace. Si corre in folla forzando e bruciando una porta della Marina, e occupansi in pochi istanti le altre porte, e le batterie che guardano il mare. Nasce un vivissimo fuoco colle truppe con morti e feriti da ambo le parti. Il più duro conflitto avviene alla porta del Castello, chiusa e ben munita, di dentro, dalle truppe. Quivi si riversa la popolazione chiedendo, con grida furibonde, la liberazione dei due arrestati. Si da fuoco alla porta e si scala la muraglia. Penetrati in Castello si sostiene, per un’ora, un fuoco vivissimo colla truppa, che occupava le diverse imboccature delle strade, e ciò malgrado le rimostranze del marchese di Laconi e del Colonnello Schmidt: il primo dei quali, colle lacrime agli occhi, esortava il Viceré a far deporre le armi per risparmiare il sangue cittadino”. La popolazione furibonda, decise di cacciare dalla città il viceré Balbiano e tutti i Piemontesi.Incoraggiati dalle vicende cagliaritane, gli abitanti di Alghero e Sassari fanno altrettanto.
Per dovere di cronaca storica, occorre segnalare che furono i macellai, nei loro costumi tipici, i primi a sollevarsi contro i Piemontesi, con Ciccio Leccis in testa, il capo popolo che arringò la folla facendo scoppiare la rivolta. Gli insorti, conquistato il Castello, sfondano le porte e occupano palazzo Viceregio. Per prima cosa, allegoricamente, nel ricordare la molla che ha scatenato la sollevazione popolare e ad attestare un beffardo e tollerante spirito che sempre ha contraddistinto i cagliaritani, nel palazzo del vicerè è banchettato un ricco pasto di tutte le pietanze trovate nelle dispense, lasciate dai piemontesi.“Fuori i Piemontesi!” urlano i popolani per le strade di Castello, gli insorti. Subito dopo Don Francesco Asquer, visconte di Flumini a capo di oltre cento persone, fa arrestare i Piemontesi presenti in Castello per imbarcarli verso Torino. In attesa del giorno dell’imbarco, previsto per il 7 maggio, i Piemontesi sono alloggiati e protetti per evitare possibili tafferugli. Il giorno stabilito, i Piemontesi, con le loro masserizie, sono accompagnati al porto e imbarcati. Al quel punto i cagliaritani incominciano a chiedersi, perchè lasciare a loro, tutti i beni rapinati ai Sardi? Allora, è suggerita l’ipotesi di chiedere un risarcimento immediato ma interviene il macellaio Ciccio Leccis: “Lasciateli andare, che noi sardi benché poveri non abbiamo bisogno della merda dei piemontesi”. “Procurad’ ‘e moderare,/ Barones, sa tirannia, /chi si no, pro vida mia, /torrade a pe’ in terra!” (Cercate di moderare / baroni, la tirannia, / ché se no, per la mia vita!, / tornate a piedi a terra! Recitano alcuni versi de Su patriottu sardu a sos Feudatarios (Il patriota sardo ai Feudatari).Fu un episodio sicuramente considerevole per l’isola, per quei moti antifeudali, anche se certuni non approvano la lettura dei fatti, che lo animarono. Rientrata la rivolta, alcune richieste saranno accolte nel 1796.Nel 1993, il Consiglio Regionale sardo, con la legge n.44, ha istituito “Sa die de Sa Sardigna” come festa regionale, il 28 aprile di ogni anno, in ricordo di quell’avvenimento del 1794. Il”Giorno della Sardegna” è raccontato con manifestazioni culturali e una “rappresentazione scenica” degli scontri del 1794 nei luoghi reali, dove ebbero luogo gli avvenimenti. Molti i sardi e i turisti che si riversarono nel quartiere di Castello, l’elefante”, siamo tra quei sardi che non si perdono quest’occasione.
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