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martedì 5 febbraio 2013

Carnevale di madre terra «Non è rito dionisiaco, chi studia sul campo lo sa» l'ultimo libro di Joyce Mattu (tratto da un articolo di Roberto Tangianu pubblicato nell'Unione Sarda)


Carnevale di madre terra

«Non è rito dionisiaco, chi studia sul campo lo sa»




Un filo che lega i sentieri della tradizione orale. Un viaggio nel tempo per ridefinire i contorni di un sapere capace di restituire informazioni sui miti e i riti che hanno tracciato il percorso. Una raccolta di appunti che spazia nei vari argomenti che hanno il colore della Sardegna e in altri che invece rivelano aspetti di luoghi lontani. L'analisi condotta da Joyce Mattu, antropologa e ricercatrice di Ovodda, attraversa il suo ultimo libro che ha per titolo “Diosa, Bundu, Carrassegare”, un saggio storico - antropologico sulle maschere, sul ballo e altri riti della Sardegna e del mondo edito da Alfa Editrice. Joyce Mattu, cresciuta in Barbagia e a stretto contatto con i portatori di cultura, guarda al mondo delle tradizioni popolari con la forza naturale di chi le rappresenta:
SUL CAMPO «Il vissuto è la chiave che apre le porte della conoscenza e della comprensione. Cosa può saperne uno studioso di quanto sacra è la danza per un ballerino che la esegue, di quanto è viscerale il cantare per su tenore o dello stato di ebbrezza che vive un ragazzo quando indossa la maschera?». L'autrice individua i limiti di una ricerca basata sulla storia delle idee e delle citazioni acritiche senza verifiche che pretendono “spiegare” riti e credenze con teorie spesso bizzarre e studi cosiddetti scientifici: «Sono convinta che un antropologo debba fare ricerca sul campo, immergendosi nella “verità” del racconto, vivere lo stretto rapporto soggetto-oggetto studiato. Io ho scelto di immergermi nel vissuto, di vivere la cultura praticata». La ricercatrice ovoddese passa in rassegna gli argomenti del “sempre” con uno spirito nuovo poiché filtrato da un diretto coinvolgimento di partecipazione.
LE FONDAMENTA «La tradizione continua a riemergere e a raccontarci la storia - spiega Joyce Mattu - dimostrandoci quali sono state le stratificazioni culturali che si sono succedute nel tempo. Gli elementi che la sorreggono continuano ad avere i pilastri fondamentali legati alla madre terra e non ai riti ricollegabili a Dioniso». I temi riguardanti le maschere del carnevale barbaricino, s'accabbadora, le cure della medicina popolare, le janas, la figura e la simbologia della dea madre, il don Conte del mercoledì delle ceneri, trovano linee inedite di valutazione che rimandano all'analisi che si nutre di un'infanzia che ha suggerito, di fonti bibliografiche e iconografiche che hanno descritto e di testimonianze dirette che ancora possono far vivere la memoria. Un viaggio che si apre ai confini del mondo: «Ovunque rivolgo il mio sguardo - conclude Joyce Mattu - come ad esempio in Africa, nei Balcani, in Kurdistan, in Bretagna, mi trovo sempre a casa».
Roberto Tangianu

domenica 3 giugno 2012

S'ANTIGU CUILE DE COSTANTINO CASULA


S'antigu cuileRomanzo

Pag. 165 - Formato 14,8 x 21 - € 20,00

La non comune sensibilità e il grande amore per la sua terra natale, la Sardegna, con tutte le componenti che caratterizzano la popolazione, la vita sociale, la cultura, il folclore e l’economia, nonché quelle legate fortemente all’ambiente, hanno portato Costantino Casula a scrivere questo particolare e interessante romanzo. Il libro, dal titolo “S’antigu cuile”, l'antico ovile in lingua sarda dell’entroterra, ci proietta dentro il cuore dell’antica isola e nell’articolato mondo del pastore e del suo ovile. Un mondo per la sopravvivenza, non facile, rimasto quasi immutato per millenni, ed ha la sue origini ancor prima dei nuraghi e delle tombe dei giganti. Costantino ci evidenzia, che il mondo agropastorale penetra fortemente nello spirito dei sardi, e che infine diventa, graniticamente, parte integrante dell’anima.

SA PROMITENTZIA DE COSTANTINO CASULA - ORTUERI - MUTOS

Casula Costantino è nato a Ortueri, dipendente dell’ A.S.L n.3 di Nuoro, lavora all’ospedale di Sorgono. Fin da ragazzo ha avuto una forte passione per la poesia sarda in generale, ma, preferendo con la maturazione soprattutto i mutos. Ottenendo considerevoli consensi in numerose piazze del centro Sardegna (Barbagia, Mandrolisai, Barigadu, ecc.) utilizzando la forma poetica estemporanea più arcaica e in passato più diffusa: su mutu frorìu. Ha partecipato come relatore a diversi convegni di poesia sarda. Ha scritto diversi articoli per il giornale L’Unione Sarda.

mercoledì 9 maggio 2012

POESIAS - Sidore Poddie - Tonara

POESIAS - Sidore Poddie - Tonara

CONDAGHES ED. - Autore/i Sidore Poddie A cura di Renato Poddie - Anno di edizione 2012
ISBN 978-88-7356-192-7 - Collana Arcale- Pagine 336 Formato Dim. 120x210 mm - Supporto Libro
Prezzo € 15,00 Acquistalo nel mercato ellettronico ED. CONDAGHES

Isidoro ´Sidore´ Poddie è nato a Tonara (NU) il 22 febbraio 1915 ed è morto il 12 marzo 1962 all´età di quarantasette anni.
Non scrisse tantissimo, la sua produzione consta di sessanta poesie, ma è riuscito con felice ispirazione a parlare d´amore, a raccontare la guerra, la malattia, la religiosità, ma anche la bellezza, a evocare la nostalgia e indignarsi per le ingiustizie della società, in una varietà di temi e di toni che ne rivelano la sensibilità e la capacità espressiva.
A cinquant´anni dalla sua morte, i figli hanno deciso di dare alle stampe le sue poesie per farle conoscere al pubblico, in particolare alle persone che l´hanno conosciuto e agli amanti della poesia sarda.
L´opera viene pubblicata con testi bilingui a fronte - sardo e italiano - per favorirne la lettura presso un pubblico più ampio di lettori.


domenica 6 maggio 2012

La mia campagna di Russia di Riccardo Monni






La mia campagna di Russia. Grafica del Parteolla - Riccardo Monni.


Il volumetto - appena 83 pagine - rievoca la partecipazione degli italiani alla guerra contro l'Unione Sovietica, durante la seconda guerra mondiale. Lo scenario è sempre osservato dall'angolo visuale dell'autore, che svela al lettore le sue personali esperienze. Tuttavia, il racconto ricostruisce anche il quadro generale delle ostilità: combattimenti di estrema durezza, disagi a nonjìnire e temperature bassissime. Toccanti gli episodi che dimostrano il sacrificio e il valore dei nostri soldati in quel lontanissimo fronte. Ma le pagine più drammatiche sono quelle che illustrano, anche con l'apporto di fotografie, la ritirata dei sopravvissuti 

Alla vigilia del novantesimo compleanno, ha pubblicato il suo pri­mo libro. Un'opera largamente auto­biografica, che merita di essere letta per svariate ragioni. 
Il grande tema di questo diario è an­nunciato dal titolo, che suona "La mia campagna di Russia (1941-1943) - Ricor­di e verità" (Edizioni Grafica del Parteol-la). Ed è anche documentato dalle molte fotografie in bianco e nero, che visualiz­zano scenari e personaggi di cui si parla. 

Ma chi è l'autore? Si chiama Riccardo Monni ed è nato a Ilbono nel 1920. Fre­quentato il liceo classico, ha lavorato come costruttore edile in Sardegna e so­prattutto a Cagliari. Solo in tarda età ha rievocato in prima persona l'evento più drammatico della sua vita: la partecipa­zione alla seconda guerra mondiale. Su uno dei fronti, che ha registrato il mag­gior numero di caduti tra i soldati ita­liani. 


Prima di lui altri reduci da quel ver­sante del conflitto hanno raccontato in prosa o in versi la loro esperienza. Tra gli autori sardi che hanno testimoniato, al loro rientro nell'isola, la catastrofica disfatta del corpo di spedizione italiana 

in Russia, vanno citati gli scrittori Fran­cesco Masala e Michele Columbu. Mon­ni non è un letterato di professione e, pertanto, il suo racconto vale principal­mente come testimonianza. Ma non mancano elementi di originalità dovuti ai fatti che l'autore ha visto con i propri occhi. 

«Gl'esperienza sia comunque utile.» 

Quando gli arrivò la cartolina di pre­gno, Monni era convinto di partire per i servizio militare in una bella città del • aieto come Verona. Un modo per usci-r dal suo piccolo paese e allargare gli «izzonti culturali e geografici. La guerra jer l'Italia era iniziata da qualche mese. *-on immaginava minimamente di esse-ostinato a un fronte così lontano. Sperava di restare nel reparto cui era «uro assegnato. Vi si respirava un'atmo-sera festosa («Spesso con amici e com-rilitoni feci delle belle gite in tutte le cit-vicine, in Veneto, Lombardia, Pie-•onte e anche in Emilia, con qualche puntatma a Genova, dove avevo amici di simiglia. Cercavamo inoltre emigrati o anche residenti di origine sarda, con i quali si facevano delle riunioni in alle­gria per parlare e cantare nella nostra lingua»). 

Questa vita spensierata non dura molto. Nel giugno del 1941, dopo l'incon­tro al Brennero tra Hitler e Mussolini, a decise l'invio in Russia del 187° auto­reparto pesante di cui faceva parte an­che Monni. La partenza avvenne il 27 agosto, da Verona; poi, attraverso l'Au­stria e l'Ungheria, su una tradotta sco­moda e stracarica, che si fermò in nume­rose stazioni intermedie. Alla frontiera tra Ungheria e Romania dalla tradotta vennero scaricate le auto e si proseguì con questi mezzi pesanti, senza l'aiuto e la collaborazione degli alleati tedeschi. Il 2 settembre arrivo a Burdueni, una piccola località della Romania, che non sembrava risentire gli effetti della guer­ra («Uscivamo in compagnia di belle donne che gentilmente si premuravano di farci visitare le bellezze della zona e accompagnarci nei negozi dove si pote­va acquistare a prezzi vantaggiosi»). L'avanzata prosegue alla volta della Mol-davia e dell'Ucraina, senza combatti­menti con le truppe russe. Iniziano a farsi sentire (siamo a ottobre) il freddo e le difficoltà dei rifornimenti. Il mese successivo comincia lentamente a profi­larsi l'inferno. Il maltempo era il mag­giore alleato delle armate sovietiche. 

Il ricordo della campagna napoleoni­ca in Russia tornava alla mente dei sol­dati e degli ufficiali. Si stava preparan­do una disfatta analoga, man mano che ìi avanzava su strade coperte di neve con temperature molto rigide (anche venti e più gradi sotto zero). Per fare una qua­rantina di chilometri, tra avarie ai mo­tori e tamponamenti, si impiegavano anche due giorni. I rapporti con le po­polazioni dei villaggi erano sempre buo- 


ni, improntati a simpatia reciproca e ad una solidarietà insolita tra un esercito invasore e la gente comune. 

Malgrado questo clima disteso (non privo di festicciole e approcci con le ra­gazze), nel dicembre del 1942 le armate russe sferrano un attacco contro le divi­sioni italiane. È l'inizio della fine. I sovie­tici sono meglio equipaggiati e dispon­gono di armi più potenti (tra cui i canno­ni anti-carro e i lancia razzi katiuscia). 

Al riguardo Monni aggiunge, sfatan­do un luogo comune: «Anche il generale Guderian aveva avvertito che i soldati tedeschi erano malvestiti e malnutriti contro le truppe sibcriane ben equipag­giate e meglio armate. Ma Hitler, imbe- 

vuto dal mito della superiorità del sol­dato tedesco, restava sordo al giudizio dei suoi generali. Così si andava incon­tro all'immane tragica sconfitta.» 

Non va dimenticato però che a forni­re molte armi ai russi furono gli inglesi e gli americani. Secondo le dichiarazio­ni di Churchill il Regno Unito concesse ai sovietici 5031 carri armati, 6678 aerei e un quantitativo di armi e munizioni per un importo di 39 milioni di sterline. Gli Stati Uniti, invece, sino al gennaio 1944, fornirono 3700 carri armati, 7400 aerei, 160000 automezzi, 20000 autovei­coli speciali, oltre un ingente quantitati­vo di materiale. 

La ritirata delle truppe italiane iniziò nel gennaio 1943. E fu una vera e propria tragedia. Panico e disperazione si impa­dronirono dei soldati e degli ufficiali. Monni ce ne da una testimonianza di­retta, quando scrive: «I feriti e i conge­lati imploravano di non essere abbando­nati. Chi piangeva invocando la mamma 
e Dio, chi urlava e strepitava, chi piega­va o bestemmiava, altri se la prendeva­no con Hitler e Mussolini e addirittura con Dio che permetteva simili tragedie.» 

Mancavano ordini, c'era una disorga­nizzazione completa. Le radio erano mute, per via delle batterie scariche a causa del gelo. Il tutto accompagnato dal rombo dei cannoni nemici. 

Alcune foto, nel libro, documentano questi momenti, con i soldati che avan­zano in fila sul terreno coperto dalla neve e i cadaveri dei caduti stremati per l'im­mane fatica. Sono immagini drammati­che che si commentano da sole. 

Col passare dei giorni la situazione peggiorava. Agli italiani si aggiunsero migliaia di soldati di altre nazionalità. 

Nel terribile scenario si vedevano slit­te con feriti a bordo, macchine distrut­te, armi pesanti fuori uso, ma soprattut­to morti e tracce di recenti scontri. Cir­colavano le voci più disparate. 

Per sopravvivere bisognava resistere alla fame, alla sete, al sonno che intorpi­diva le membra, alla paura e al pessimi­smo. Per non parlare dei pidocchi. Qual­che volta si veniva accolti nelle case dei contadini, dove si trovava da mangiare e persine un po' di vodka. 

Oltre la paura e la stanchezza, tra i soldati era diffusa la dissenteria, che co­stringeva a camminare con i calzoni im­bottiti di foglie: per il gelo non si pote­vano fare i bisogni all'aperto. 

C'era anche chi andava fuori di testa sparando all'impazzata per entrare in un'isbà o avere una slitta. Altri uscivano di senno o si suicidavano. Quelli che resistevano procedevano inebetiti come automi, con la speranza di farcela. 

Di sé l'autore del libro racconta: «A Rossosh per Natale pesavo 70 kg, qui a Gomel invece 59, quindi ero dimagrito di 11 kg. Da più di una settimana non riuscivo a lavarmi. Feci fatica a toglier­mi di dosso i vestiti tanto le croste, il sudore e la sporcizia me li avevano in­collati sulla pelle.» 

Finalmente, 20 marzo 1943, il ritorno in Italia. Prima a Tarvisio e poi a Gori-zia, dove si presentarono madri, padri e figli per sapere dei loro parenti. I po­chi superstiti davano notizie consolato­rie, informazioni vaghe. Infine, Monni potè tornare in Sardegna, nel suo paese. Per l'emozione il padre, dopo averlo abbracciato, rimase bloccato per un quarto d'ora, senza riuscire a parlare. Era la fine di un incubo, la conclusione di un'esperienza che nemmeno uno scrit­tore dell'orrore avrebbe immaginato.



giovedì 22 marzo 2012

INTRARE IN SONU di Pier Luigi La Croce - Tonara



INTRARE IN SONU

sabato 31 marzo 2012 
alle ore 18,30 presso il
Teatro Comunale di Tonara
 in Viale della Regione.


INTERVENGONO
Il Sindaco di Tonara Pierpaolo Sau
Franca Piras
<Intrare in sonu>: immagini e suggestioni
Giovanna Demurtas
Sonorità e musicalità della lingua sarda
Renato Poddie
Su foeddare in suspu
Gianni Garau
Lingua popolare e poesia: ritmi e armonie in limba
Massimiliano Rosa
Caratteristiche del dialetto di Tonara
Maria Marongiu Alfa Editrice
Scritti su Tonara e scelte editoriali
Pier Luigi La Croce







INTRARE IN SONU




l’ultima fatica letteraria di Pier 



Luigi La Croce, è un libro, nato 



dall’esigenza di documentare 

con delle tavole semantiche 

l’uso ed il significato di molte 

parole del sardo. Perciò è stato 

arricchito con delle immagini 

che cercano di raccontare 

meglio al lettore le suggestioni 

della lingua sarda anche 

attraverso i colori delle nostre 

campagne, la fatica del lavoro 

nelle comunità rurali, i rituali 

della famiglia e della 

quotidianità, il mutare del 

tempo e delle stagioni. In 

Intrare in Sonu ci sono molte 

pagine fatte di quei colori e di 

quei rumori che hanno 

popolato un vissuto non tanto 

lontano nel tempo; pagine che 

cercano di raccontare una 

lingua, quella sarda, che, aldilà 

delle indiscutibili differenze tra 

le diverse varianti, può essere 

considerata come una lingua 

comunque unica. La novità del 

libro sono le 100 tavole 

sinottiche che costituiscono il 

tentativo di creare un legame 

tra il lessico e le regole della 

lingua, oltre che documentare 

visivamente alcuni termini 

messi insieme secondo criteri di 

coerenza logica e semantica. 

Con le centinaia di illustrazioni 

l’Autore ha cercato di creare un 

nesso accattivante tra le parola 

e l’immagine inducendo una 

lettura sincronica di colori e 

parole, di immagini e suoni, 

come in un’estensione della 

teoria degli impulsi subliminali 

applicata all’apprendimento del 

sardo ed al suo insegnamento 

nelle scuole.


venerdì 24 febbraio 2012

INTERVISTA A MARIA - CLARA GALLINI - TONARA 1979

INTERVISTA A MARIA DI CLARA GALLINI















Titolo: Intervista a Maria
Autore: Gallini Clara
Introduzione/Prefazione: Madau Bastiana
Editore: Ilisso Edizioni
Data di pubblicazione: 2003
Luogo di pubblicazione: Nuoro
Collana: Scrittori di Sardegna
Tipologia: monografie - saggi
Argomento: Letteratura
Lingua: italiano
Abstract: La Sardegna è storicamente un luogo di molteplici suggestioni per chi la osserva dall'esterno, e le sue terres de l'intérieur (come da una felice definizione dello scrittore Edouard Vincent) sono un luogo classico dell'osservazione antropologica: per le loro caratteristiche geografiche esse sono state per secoli precluse al confronto con altre culture. L'inaccessibilità ha senz'altro consentito una maggiore conservazione di modalità originali di vita e dunque delle cosiddette "tradizioni culturali". Gli studi e le ricerche di Clara Gallini hanno il loro considerevole peso nella bibliografia riguardante l'etno-antropologia della Sardegna […]. (dalla nota introduttiva di Bastiana Madau)

ID: 681
ISBN: 88-87825-62-9 - vai alla scheda OPAC
Link risorsa: http://www.sardegnadigitallibrary.it/index.php?xsl=626&id=681



PEPPINO MEREU - POSIAS - ILLISSO EDIZIONI

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Titolo: Poesias
Autore: Mereu Peppino
A cura di: Maulu Marco
Introduzione/Prefazione: Maulu Marco
Editore: Ilisso Edizioni
Data di pubblicazione: 2004
Luogo di pubblicazione: Nuoro
Tipologia: monografie - saggi
Lingua: italiano, sardo
Abstract: Peppino Mereu registra il malessere da poeta che si fa interprete di un ruolo sociale ben preciso, con versi taglienti, a volte ingenui per foga, ma lucidi e quasi corali in quanto vox populi, quello stesso popolo che egli ritrae nell'atto di "lingher / s'ispada tinta de sambene tou" (A Genesio Lamberti, vv. 69-70), mentre di sé stesso scrive, orgogliosamente: "Mai lintu / happo s'ispada tinta 'e samben meu" (A Signor Tanu, vv. 71-72). A tal proposito risulta importante richiamare ancora una volta il concetto di dialettalità applicabile a un'isola nella quale non si scelse il sardo in opposizione al toscano quale "lingua della poesia", ma si continuò semplicemente ad utilizzare l'unico codice espressivo a tutti noto, il sardo appunto, pur ampiamente differenziato rispetto al parlato, che si accompagna ai modelli nazionali. (dalla prefazione di Marco Maulu).

ID: 827
ISBN: 88-89188-19-7 - vai alla scheda OPAC

PEPPINU MEREU POESIE COMPLETE EDIZIONI IL MAESTRALE

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Titolo: Poesie complete
Autore: Mereu Peppino
Alias: Mereu Peppinu
A cura di: Porcu Giancarlo
Traduzione: Dettori GiovanniFois MarcelloMasala Alberto
Postfazione: Porcu Giancarlo
Editore: Edizioni Il Maestrale
Data di pubblicazione: 2004
Luogo di pubblicazione: Nuoro
Tipologia: poesie
Argomento: Letteratura
Lingua: italianosardo
Abstract: Morto a soli 29 anni all'alba del nuovo secolo lasciando un piccolo libro di poesie, Peppinu Mereu (Tonara 1872-1901) ha compiuto – e tuttora prosegue – un cammino letterario senza soste né cedimenti, entrando nell'immaginario collettivo di una Sardegna che continua a leggerlo e a cantarlo. La poesia di Mereu, erede di una plurisecolare tradizione in lingua sarda e al contempo proiettata nelle inquietudini espressive e ideologiche novecentesche, si colloca fra spigliatezza comunicativa e meditate turbolenze linguistiche; coniuga il taglio deciso del verso popolare agli avvolgimenti verbali di una personalità inquieta. Questo volume raccoglie, per la prima volta, l'intera produzione di Mereu, restituendola filologicamente all'autenticità delle edizioni ottocentesche, radunando l'opera dispersa e ridando al lettore altri testi originali sommersi, mai riproposti fino ad ora, compresi alcuni inediti in lingua italiana. L'edizione, curata da Giancarlo Porcu, è corredata di una nota biografica, una bibliografia completa, una storia del testo mereiano, apparati critici e un'abbondante postfazione. La traduzione a fronte in italiano, che insegue la rima e la metrica degli originali, è ad opera di tre scrittori-poeti: Giovanni Dettori, Marcello Fois e Alberto Masala.
Note: Grafica e impaginazione a cura di Nino Mele

Le contrade di Toneri nel 1866 di Nino Mura

alusac eleirbag