giovedì 30 giugno 2011

“Nanneddu meu”, di Peppino Mereu - di Riccardo Uccheddu


 fonte:http://riccardo-uccheddu.blogspot.com/2011/04/nanneddu-meu-di-peppino-mereu.html


“Nanneddu meu”, di Peppino Mereu


Nella poesia Nanneddu meu Mereu si rivolge al suo grande amico, il dott. Nanni Sulis (Nanneddu significa Giannino, Giovannino ecc.); essa consta di 33 strofe, ognuna composta di 4 versi.
Di Nanneddu esistono varie versioni musicali: una è quella che fu eseguita a suo tempo dai Tazenda del grande e purtroppo scomparso Andrea Parodi; ne esistono comunque molte altre: molto bella anche quella del Coro Su Nugoresu (il nuorese) e quella del Coro di Neoneli, col quale ha collaborato anche Elio delle storie tese.
La 1/a strofa inizia coi versi che concludono il brano: “Nanneddu meu,/ su mundu est gai,/ a sicut erat/ non torrat mai”, Giovannino mio, così va il mondo, com’era un tempo non torna più1.
A quale tempo allude Mereu? Ad uno forse felice o che almeno, fu migliore dell’attuale; un tempo mitico? Chissà.
Intanto, possiamo notare l’ironia del latino sicut erat che a sua volta potrebbe rimandare al “latino da chiesa” di cui parlava Rimbaud nellaStagione all’inferno2.
Non sappiamo se Mereu, che era un autodidatta abbia mai letto Rimbaud e quali siano state, in generale, le sue letture; tuttavia gli si ascrive una “conoscenza del latino e della mitologia classica.”3
Il sicut di Peppinu ricorda il sicut in caelo et in terra (Matteo, 6,10), come in cielo così in terra che segue il fiat voluntas tua del Padre nostro. Ma se in quella preghiera si chiede che sia fatta la volontà del Padre, come vedremo Mereu dice come quella volontà (non certo per colpa del Padrenon si compia.
Quel sicut chiede infatti che ci sia dato il “pane quotidiano” (Mt., 6,11). Ma qual era la situazione che sperimentavano sia Mereu che tanti suoi contemporanei?
Como sos popolos/ cascant che cane,/ gridende forte:/ Cherimus pane, ora i popoli sbadigliano come cani affamati, gridando a gran voce: vogliamo pane. Ma noi: “Affamati, mangiamo pane di castagne, terra con ghiande.”4
Si verifica così un’evidente ed inquietante regressione sul piano morale ed umano se Mereu aggiunge: “Siamo assetati, alle fontane, lottando per l’acqua, sembriamo rane”5 ed ancora: “Avvocatucci, laureati, a tasche vuote e spiantati nelle campagne mangiano more, come capre magre lungo le siepi.”6
Ripeto: la regressione investe qui la stessa sfera umana e morale, si fa vera e propria involuzione; la fame conduce a negare in sé stessi l’umanità. Del resto, a proposito del pane Gramsci studiava con doloroso stupore l’atteggiamento dei suoi compagni di detenzione ed anche in lui si trova un’analisi del Pater noster e del pane quotidiano.7
La fame, il non potersi procurare il necessario per vivere neanche dopo lunghi e faticosi anni di studio8, la miseria che da fatto economico conduce ad una dimensione animalesca, non-umana, in Mereu sembra evocare un’autentica danse macabre. Una danza macabra ed insieme, folle.
Ma qui, a differenza dei celebri dipinti (tra gli altri) di Bosch, gli invitati al ballo non sono scheletri né figure comunque stregonesche bensì povera gente che cerca solo di sbarcare il lunario. E certo, questa condizione ricorda parecchio quella “generale tensione degli spiriti vitali” di cui parlava Gramsci nella lettera citata.9
Ed il ditirambo di Mereu colpisce con tutta la violenza che è concessa a chi con la sua arte si fa voce di chi, storicamente, non ne ha mai avuto.
Del resto egli: “Figlio di medico proprietario, si ribellò alla famiglia ed alla sua condizione piccolo-borghese” e dopo aver attraversato una profonda crisi esistenziale, diventò “su cantadore malaittu”, che “ripudiato dai ricchi parenti borghesi, viene assunto dalla comunità popolare tonarese a coscienza critica dell’ingiustizia sociale e dell’egoismo di classe.”10
Ancora, in Nanneddu si parla della filossera (Mereu morì nel 1901) e di impostas, tasse che nos distruint/ campos e binzas, ci distruggono i campi e le vigne.
Addirittura: “Terra c’a fangu/ torrat su poveru, la terra trasforma il povero in fango.11 Quella stessa terra che dovrebbe sostenere l’uomo diventa la sua maledizione; anzi, se prima alcuni regredivano allo stadio animale, ora eccoli perdere perfino la dimensione senziente, eccoli inghiottiti dalla materia inanimata.
Il furore del Nostro non risparmia neanche la Chiesa perché: “S’intulzu apostolu/ de su Segnore/ si finghet santu,/ ite impostore!”,l’avvoltoio del Signore si mostra santo, che impostore!12 E mentre Mereu attacca gli sgherri dell’avvoltoio, afferma con amarezza che tutti noi ci combattiamo l’un l’altro “Pro pagas dies/ de vida in terra, per pochi giorni di vita.13
Così non ci uniamo per cambiare alla radice questa situazione e coltiviamo solo la discordia, se non la classica guerra tra poveri,… sì che alla miseria si aggiunge la lacerazione del tessuto umano e sociale.
Tutto ciò perché “Semus in tempus/ de tirannias/ infamidades/ e carestias, viviamo in tempi di tirannia, soprusi e carestia: Mereu aveva infatti una chiara visione dei problemi storico-sociali della Sardegna e forse, non solo di quella.14
Certo, sia in Nanneddu che in altre poesie Mereu ha spesso un tono violento, in apparenza volgare, plebeo. Ma qui bisogna distinguere: il Gramsci del periodo “torinese” opererà appunto una fondamentale distinzione tra essere volgari plebei.
Per Gramsci è volgare l’esibizione di un buon cuore che non si possiede, il che conduce spesso ad elargire doni tanto sfavillanti quanto inutili, espressione quindi un “filantropismo spagnolesco che irrita, non benefica.”15
E’ plebeo invece chi polemizza anche aspramente ma con finalità etico-sociali e mai per porsi in luce con alcuno, né per “una bassa ragione di risentimento personale.”16 Mereu è plebeo in questo senso: lo stesso che rivendicava per sé Gramsci.
Inoltre Peppino esclama: ”Scellerati, affamati, ladri, creiamo disordine e non si opponga nessuno.”17
Io penso che questo sia solo uno scherzo amaro, fatto per aggiungere nuovi “attori” a quella danza macabra che era iniziata con esseri umani che sbadigliano come cani affamati, mangiano terra con ghiande, uomini mutati in fango, altri assimilabili a capre o a rane e che si aggirano per la campagna… braccati da corvi ed avvoltoi “umani.”
Peraltro, le relazioni parlamentari del tempo, evidentemente non tenute alla presentazione di immagini di una poesia diciamo visionaria, non sono lontanissime dai versi di Mereu.
Risulta infatti da un’inchiesta condotta dal deputato Pais Serra su incarico di Crispi (con decreto ministeriale del 12 dic. 1894) che in vaste aeree della Sardegna si era ormai creato un intreccio davveroperverso comprendente criminalità comune, corruzione ed intrighi spesso orditi da funzionari ed amministratori pubblici, nascita illecita di grandi patrimoni ecc.18
E già tra il 1880 e l’82 l’avv. Salaris parla di chi “ è costretto a vagare di campo in campo in traccia di cardi selvatici, o di altre erbe per sfamare la sua famiglia”19; il viaggiatore francese Gaston Vuillier vede dei contadini che si sfamano con un “pane di ghiande, d’orzo e d’argilla.”20
Così, la ribellione cui Mereu pare inviti i sardi del suo tempo non parrebbe troppo irrazionale. Inoltre, la Sardegna fu spesso terreno di scontro armato tra dominatori prima spagnoli e poi sabaudi da una parte e popolo e nobiltà sarda dall’altra; il che abbracciò (benché con qualche stasi) il periodo compreso tra l’inizio del ‘600 e buona parte dell’’800. 21
Si può così parlare di “autentici corpi di guerriglieri che battono la montagna dopo aver rotto tutti i legami con la società civile.”22
Lo stesso Garibaldi denunciò come già dopo il 1860 un sistema economico-sociale iniquo avesse prodotto “nella parte meridionale della penisola, l’anarchia, il brigantaggio e la miseria”23.
La tesi di Garibaldi sarà riproposta ed ampliata, certo con maggior rigore argomentativo dal Gramsci che nella Questione meridionaleparlerà (ma senza assolvere le locali camarille) de: “La borghesia settentrionale” che “ha soggiogato l’Italia meridionale e le isole e le ha ridotte a colonie di sfruttamento.”24
Naturalmente, come diceva Socrate “un poeta, per essere veramente tale, deve scrivere per immagini e non per deduzioni logiche”25; così, Mereu non era tenuto alla formulazione d’analisi di tipo storico, economico-sociale ecc. Eppure dal suo cuore di poeta e di uomo geniale, tormentato e generoso fuoriusciva comunque tutto lo sdegno per uno stato di cose ormai insostenibile… ed egli sapeva individuare e centrare i bersagli giusti.
Quando poi dice a Nanni: “Adiosu, Nanni/ tenedi contu,/ faghe su surdu,/ ettad’a tontu, arrivederci, Nanni, rifletti su questo, fai il sordo e fingi di non capire26, è come se lo invitasse ad indossare unamaschera di bonomia. E’ come se dicesse: noi non la beviamo, conosciamo i rapporti di forza, sappiamo chi dove siano i nemici ma per ora, fingiamo d’essere stupidi.
Questo è un atteggiamento che spesso gruppi e classi subalterne hanno dovuto assumere quando si trovavano nell’impossibilità di cambiare le cose: anche a costo di confermare nei loro dominatori l’idea di un’inferiorità sul piano morale, intellettuale ecc.27
Ma benché Mereu auspichi un radicale cambiamento28, egli non appoggiò mai il banditismo o fenomeni simili. Io penso che non avrebbe considerato, alla Satta, i banditi “belli, feroci e prodi”29 ma anzi, avrebbe condiviso il tagliente giudizio di Dessì.
In ogni caso, per Mereu lo scopo ed il senso dell’esistenza umana consiste nel superamento di tutte quelle ingiustizie e sofferenze che ci opprimono; per lui bisogna essere liberos, rispettados e uguales.30
Ed in questo spirito faccio a tutti voi i miei migliori auguri di buona Pasqua e di buona festa della Liberazione!


Note

1) Peppinu Mereu, Poesias, a c. del collettivo di ricerca « Peppinu Mereu », Sassari, 1978, pp.88 e 93.
2) Arthur Rimbaud, Una stagione all’inferno, Ten, Roma, 1995, p.57.
3) Nota biografica a c. del collettivo di ricerca “P. Mereu”, in P. Mereu, op. cit., p.16; egli inoltre, lesse i libri della “biblioteca paterna”; ibid. Il padre di Mereu era un medico.
4) P. Mereu, op. cit., pp. 88 e 93.
5) Ibid., p.94.
6) Ibid., p.94.
7) A. Gramsci, Lettere dal carcere, a c. di R. Uccheddu, D. Z. Editore, Cagliari, 2008, p.52.
8) Riferimento all’avvocazia, la classe degli avvocati; cfr. P. Mereu,op. cit., p.91.
9) A. Gramsci, op. cit., p. 51.
10) F. Masala, Un poeta, a Tonara, in P. Mereu, op. cit., pp. 10, 13. Senza nulla togliere ai maudits francesi, Masala traduce “cantadore malaittu” con “poeta maledetto.”
11) Ibid., pp. 88, 93.
12) Ibid., pp. 92, 94.
13) Ibid., pp. 92, 94.
14) Cfr. A Genesio Lamberti, in Ibid., p. 69 sgg.
15) A. Gramsci, Sotto la Mole (1916-1920), Einaudi, Torino, 1960, p.20.
16) A. Gramsci, op. cit., pp.38-39.
17) P. Mereu, op. cit., p. 95.
18) Manlio Brigaglia, Storia e miti del banditismo sardo, La biblioteca della Nuova Sardegna, Sassari, 2009, pp. 86-90.
19) M. Brigaglia, op. cit., p. 83. I corsivi sono miei.
20) Ibid., p. 84.
21) Ibid., pp. 47-60.
22) Ibid., p. 49.
23) G. Garibaldi, Clelia: il governo dei preti, a c. di R. Uccheddu, D. Z. Editore, Cagliari, 2008, p. 136.
24) A. Gramsci, La questione meridionale, Editori Riuniti, Roma, 1969, p. 132.
25) Platone, Fedone, Garzanti, Milano, 1980, IV, p. 77.
26) P. Mereu, op. cit., pp. 93, 95.
27) Nel caso dei Neri d’America abbiamo la deliberata autocaricatura che si trovava in spettacoli comico-musicali come la negro-minstrely, vicina nello spirito all’umorismo yiddish, quello ebraico-orientale; su questo cfr. F. Valentini, Sulle strade del blues, Gammalibri, Milano, 1984, pp. 81-85. Vi è poi un legame tra il parlare con “infinite sottigliezze”: F. Valentini, op. cit., p. 103 e le parole del siciliano principe di Salina sullo “spaccare i capelli in quattro”; cfr. Tomasi di Lampedusa, Il gattopardo, Feltrinelli, Milano, 158/a ed.,p.161.
28) Mereu “manifesta idee che si ispirano al nascente movimento socialista”; cfr. Nota biografica, cit., pp. 17-18.
29) G. Dessì, Un pezzo di luna, Edizioni della torre, Cagliari, 1987, p. 86. Per Dessì i banditi “di oggi” sono “volgari ladri di strada, bastardi criminali”; G. Dessì, op. cit., p. 87. Ma con quel “di oggi”, in fondo neanche Dessì sembra del tutto immune dal fascino (?) degli antichi banditi.
30) Nota biografica, cit., p. 18.

Le labbra bianche nella Russia del '42 - LARIBIANCOS

tratto da
    Nel film di Piero Livi i giorni di guerra di un gruppo sardo Le labbra bianche nella Russia del '42
Nel film di Piero Livi i giorni di guerra di un gruppo sardo - WWW.LA REPUBLICA.IT
Le labbra bianche
nella Russia del '42
di ROBERTO NEPOTI
NEL 1942 gli uomini del villaggio sardo di Arasole partono per la guerra, destinazione Russia. Appostati nel gelido Caposaldo 3 attendono gli eventi: allora, anche la vita miserabile che conducevano al paese diventa materia di rimpianto e di sogno. Prima che i pochi superstiti siano avviati ai campi di prigionia, Sos laribiancosI dimenticati di Piero Livi ci mostra i soldati in sequenze alternate di guerra e di vita sarda, aprendo una serie di flashback complicati da una cornice ambientata ai nostri giorni, in cui una reporter intervista un vecchio scampato alla carneficina.

Libero adattamento del romanzo di Francesco Masala "Quelli dalle labbra bianche" (l'espressione designa la povera gente dell'Isola), il film aggiorna alla seconda guerra mondiale l'interpretazione di classe che, della prima, dava "Uomini contro" di Francesco Rosi, tratto dal romanzo di Emilio Lussu "Un anno sull'altopiano": la guerra è affare di poveri e proletari, sfruttati e angariati sul fronte quanto lo sono nella vita civile.

Ma quello di Livi è un film molto più sardo, nel senso che gran parte dell'azione è ambientata in Sardegna e che quasi tutti i ruoli sono affidati ad attori sardi, inclusi alcuni (bravi) non professionisti di Olbia.
Tra i caratteri, molto tipizzati, emergono quelli di Mammuttone (Sandro Ghiani), considerato il "cornuto" del paese ma innamoratissimo della prostituta che ha sposato; Tric Trac (Sergio Aru), il cocomeraio che ha lasciato a casa moglie e figlio; il saggio Culobianco (Lucio Salis); il signorotto Don Orvenza (Alex Partexano), lui davvero cornificato dalla bella consorte con lo stalliere, che si trova a condividere gli orrori della guerra con gli sfruttati.

Più debole nella cornice narrativa, il film prende quota nelle scene della vita di paese e culmina in una sequenza bellica realizzata con efficacia.

SOS LARIBIANCOS
Regia di Piero Livi
con Lucio Salis, Sandro Ghiani, Vanni Fois, Alex Partexano

(28 gennaio 2001)

sabato 25 giugno 2011

ALLA STAZIONE DI BELVI' DI PAOLO FRESU

di Paolo Fresu
fonte: http://www.50fresu.it/il-calendario-di-50.htm

La serata di oggi a Belvì ha dell’incredibile. Non solo perché abbiamo deciso di tenere il concerto in duo con Daniele Di Bonaventura in mezzo ai binari della vecchia stazione ferroviaria, ma anche perché li la gente è straordinaria. Il nostro team è arrivato in tarda mattina e mentre io sono ancora ad Oristano mi telefona Luca Devito comunicandomi che hanno avuto una idea delle loro. All’origine il coraggioso Sindaco Rinaldo Arangino voleva fare il concerto in un anfiteatro ma poi con Luca Nieddu, che ha fatto tutti i sopralluoghi, si sono accordati per farlo nella vecchia stazione ferroviaria dove ancora, un giorno a settimana, passa il Trenino Verde della Sardegna gestito dall’Arst. Non solo passa ma lì si ferma a lungo.  Spesso una intera giornata e il Capostazione Anna Maria Fenu, che vive ancora nell’appartamentino della stazione con i mobili d’epoca, porta la gente in giro per Belvì, che seppure sia un piccolo centro, dà il nome a questa parte delle Barbagie. Il vagone ferroviario era stato spostato all’inizio della stazione ma a noi serviva come scena per il concerto. Nessun problema… Sebastiano Casula chiamato da tutti “Boste” sale sulla carrozza e sposta il vagone in un attimo. Vagone che è stato messo appositamente a disposizione dal responsabile dell’Arst Giovanni Caria che mi chiedono di ringraziare. E’ davanti a questo che suoneremo in duo con trombe e bandoneón. Ma chi ci accoglie al nostro arrivo è Bachisio Cadau detto “Bachis”.  È li da presto, perché questo concerto era il suo sogno da sempre. Da quando, appassionato della mia musica, ebbe un incidente di macchina a Chiaramonti mentre ascoltava il mio “Inner Voices”. Mi racconta che scese dal mezzo incidentato e si avviò in paese per chiedere aiuto con il viso sanguinante e che dopo essere stato medicato il suo cruccio era quello di recuperare il mio cd, non la sua macchina! Lo racconto la sera al concerto e la gente ride. Bachis ha un piccolo hotel e un bar. Gli chiedo come si chiama e mentre scrivo “Caffè L’Edera” lui mi dice che è un cafè con un effe. Più precisamente un “Cafè letterario” perché lui li dà da bere e da mangiare, ma organizza anche concerti e reading con musicisti e attori. «Sono passati Gavino Murgia e tanti altri mi dice -. Spero che a breve possa venire anche Rossella Faa che ci piace molto e che fa ridere anche gli anziani... Chissà se stasera la gente verrà, perché altrimenti con il Sindaco faccio una brutta figura!». Gli dico che secondo noi arriveranno diverse centinaia di persone e gli offro un nuragus della nostra vigna che era in frigo nel camper di Gianni Melis. Intanto arrivano tante persone del posto e tutti salutano come se ci conoscessimo da sempre. Arriva anche un giovane ragazzo con un bimbo in carrozzina e due anziane signore che si siedono nell’unica panchina della stazione.  Sembra messa li apposta perché dà proprio davanti alle nostre due postazioni. Arriva anche Antonio Leggeri con le nuove t-shirt appena arrivate da Mantova. Gli chiedo come sta andando la vendita e mi risponde che la gente le compra volentieri perché ai concerti non c’è biglietto e perché io lo annuncio tutte le sere dal palco. Andiamo a cena da Bachis al Cafè letterario. Lui non sta nella pelle ed è elettrizzato. La mia musica nel locale va a manetta e gli chiedo quali cd ha. Risponde che di cd ne ha pochi e che lui la musica la scarica perché i soldi non sono molti ed io gli rispondo che se è così fa bene a farlo.  «Mistico Mediterraneo però l’ho comprato» mi dice. Anche la vendita dei cd che Antonio ha nel gazebo del merchandising va bene. In fondo costano solo 10 euro ed Antonio è riuscito a trovare più o meno tutta la mia produzione discografica di questi trent'anni oltre agli ultimi titoli e ai dischi della mia etichetta Tuk Music. La cena è a base di antipasti, prosciutto, ricotta morbida e salata, formaggi, salsiccia e carne arrosto di maiale e di vitello. Il vino è scuro e forte. Vino di montagna e perfetto per quei sapori. Gli chiedo da dove viene il prosciutto e mi dice che tutto quello che stiamo mangiando è prodotto in paese. Più Kilometri Zero di così!  Alle nove e trenta ci sono una cinquantina di persone. Sono quelli che sono venuti da presto per cercare i posti migliori. Il camerino è allestito nella sala ad’attesa della stazione e una signora ha portato un cesto di ciliegie perché Belvì è famosa per le ciliegie e poi per le “caschettes” che è un dolce buonissimo che ci ha offerto Bachis alla fine della cena. Pasta di nocciola con miele e una sfoglia sottilissima lavorata finemente. Il piacere della vista e del gusto. Raffinatissimo.  Alle nove e quarantacinque il piazzale è gremito di gente. Non sappiamo quanta. Forse 800/1000 e non si sa come hanno fatto ad arrivare tutti assieme. Sono seduti sul marciapiede della stazione, che è lungo 70 metri e poi si sono posizionati in ogni luogo possibile. Io entro nel vagone da dietro e mi apposto al lato di una saracinesca. Luca mi porta la tromba e la custodia vicino alla sedia visto che poggiamo i piedi sulla terra e sulle pietre. Il capostazione Anna Maria è vestita di tutto punto con cappello e fischietto. Arriva dal lato e dopo due fischi entra nel treno. Questo si illumina di rosso e di azzurro e Daniele attacca con un bordone. La saracinesca si apre ed io mi unisco a lui prima in acustico e poi con il suono amplificato per suonare “Liberata” di Jean-Claude Acquaviva, il direttore del coro corso A Filetta. C’è una emozione palpabile e non vola una mosca. Neanche i ragazzini che sono in giro parlano o giocano perché tutti sono assorti non solo dalla musica ma anche da quel luogo insolito che è magia. Suoniamo successivamente brani come “Non ti scordar di me”, “My one and only love”, “E va la murga” e poi attacchiamo una nostra versione di “No Potho reposare” che Daniele suona forse per la prima volta. Vuole essere un omaggio a quella gente e a quel luogo e vuole essere una dedica anche per quelli che ci seguono da lontano sul computer. Ci stanno anche due brani di Daniele che eseguiamo nel progetto “Mistico Mediterraneo” e che sono “Corale” e “Sanctus” e chiudiamo il concerto con un bis che è tratto da “Meditate” dove, nella versione originale il testo di Primo Levi recita “Meditate gente che questo è stato”. Una bella fine per una giornata straordinaria. Salutiamo anche quelli che ci seguono in streaming. Oggi la qualità della linea non è ottima ma forse Luca ha trovato un posto preciso con una tacca in più visto che la trasmissione avviene con una semplice chiavetta.  Iniziano ad arrivare i messaggi degli internauti. Uno oggi anche da Monaco di Baviera. Alla fine del concerto Anna Maria ci invita a bere un bicchiere nell’appartamento e li la tavola è imbandita con “Frue”, un caglio acido, caschettes, ciliegie e torrone di Tonara. Chiedo se è meglio quello di Tonara o quello di Aritzo. Giustamente non rispondono. “E’ un bel vivere qui” dico. “Si, però…” risponde qualcuno. Il viaggio di rientro con Roberto sarà non troppo lungo ma la strada è tortuosa. Andando via passiamo a salutare Bachis e gli regalo la maglietta che porto. È l’unica cosa che posso dargli per sdebitarmi minimamente di ciò che ha fatto per noi. Mi saluta dicendomi grazie e io lo guardo stupito. Grazie di che? Siamo noi che dobbiamo ringraziare!  Claudia Annunziata con il suo compagno si propongono di farci strada con la loro moto fino a Simaxis. Vengono dal continente e vivono in una azienda con trenta ettari a Sorgono perché il loro sogno è quello di fare di questo luogo un centro di valorizzazione de prodotto locale e luogo di incontro. Chiedo come mai hanno scelto proprio quel luogo e mi rispondono che lì sono capitati e lì si sono fermati. Come dargli torto. Case sparse a Coa Sa Mandara è il loro indirizzo e mentre li seguiamo tra le curve con la nostra macchina penso che oggi le cose da raccontare sono state veramente tante e che, per fortuna, ancora c’è un mondo fatto di gente straordinaria. Stasera a Belvì abbiamo avuto l’impressione di essere al centro del mondo. Ci vuole poco del resto, basta crederci davvero

sabato 11 giugno 2011

SANT'ANTONIO E' IL PATRONO DEI TORRONAI

LA NUOVA SARDEGNA DEL 19 GIUGNO DEL 1987

S'OTTADA 'E SANT'ANTONI DE TONARA DE SU 1987

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Ottadas de augurios a Gesu Liori pro sa dispedida dae su tribagliu


Ottadas de augurios a Gesu Liori
pro sa dispedida dae su tribagliu



Bos cherzo saludare amiga zente
in custu nostru attobiu pro Gesuinu
ch’est bessida sa festa divertente
e finas bundante s’ispuntinu;
su pastu saboridu e bonu binu
nos at pienu s’istogomo e mente.
C’apo notadu oe in custu situ
chi fimis totus de bonu apetitu.

E deo puru fato atteretantu
pro custa rara e bella occasione
ca nde balet sa pena e i su tantu
ca si c’andat Liori in pensione;
po cussu li tessimus dogni vantu
mancari esserat troppu girellone.
Grazias a issu e a chi est presente
dispiaghet pro chie  ch’est assente.

Deo cumprendo issu at seberadu
nende po como adiu a su traballu,
dae crasa  s’agatat pensionadu
no ischit galu si apat fattu isballu;
ma si fit abarradu arruoladu
podiat esser como marisciallu.
Ma su bidellu at fattu cun trassa
però sa pensione est pius bassa.

Deo bos la racconto differente
de su chi naro totu lu consola
ca ses giòvanu ancora e potente
devias galu servire a s’iscola.
Ma no  as pensadu pro niente
de lassare a nois a sa sola?
Collegas, insegnantes e pippios
lis sun falande lagrimas a rios.

Ripito pro trint’annos e piusu
apo dadu a s’Istadu anima e coro
dae crasa mi ponzo bentre a susu
pro mi godire totu su chi adoro
turrone bendo in Cabu’e Susu
mi leo iscalpeddu a punta ‘e oro.
E mi pigo a Simone in coa puru
e li canto unu bellu duru-duru.

Si fis restadu pro calch’ater’ annu
podias dare contributu ancora
prite fis tribagliande sena affannu
e che ses in sa menzus aurora;
pensa chi lassas unu boidu mannu
e disizare t’amus a a dogn’ora.
Ca po poder computer manizzare
no b’at nisciunu a ti rimpiazzare

Mi paret chi est s’ora e la finire
prima chi si che fettat troppu tardu
su chi t’auguro deo des ischire
no ti det parrer nemancu un azzardu;
dae crasa ti potas arricchire
finas a fagher calchi miliardu
cun su turrone o cun s’iscalpeddu
pro fizos , pro muzere e nebodeddu.

E tando la finimos a cumone
prima ch’innoghe si fetat iscuru,
ultres de fagher calchi milione
l’auguro a Gesu in su futuru
chi connoscat su fizu’e Simone
de lu pigare in coa a issu puru.
Sezzid’in sa cadrea a pipa azzesa
godindesi in salude sa ‘ezzesa.

Crabiele Casula
Bostianu Barracca
Tonara su 10 de lampadas de su 2011

Cantu ortas currendi


Cantu ortas currendi...

Cantu ortas currendi
a rischiu de s’alluppai
a segau sa ia
po enni a s’agatai.

S’assichidu est mannu
candu appena incrarau
mi  zerriada:”Maria Grazia,
is oras ma contau”?

Ma su tempus est tirannu
e is oras de contai
das ad’a contai fustei
po nos ammacchiai

Ma deu piada ‘e su traballu
intenta a controllai
di nau:” signor Liori
est or ‘e sind’andai”.

Ma issu sorridenti
e a brenti manna manna
mi nara lassa stai
ca crasi torru puru a t’agatai.

Ci essidi de s’ufficiu
a pass’e bersaglieri
penzendi non d’accudu
ne pastas ne paperi.

Appena conzolau
torridi a partiri
narendi prusu a tradu
torro ca ti ollu biri.

Ma candu cè bessiu
su soli s’est cuau
e a cumenzau a proi
e a finzè landireddau.

Torrid’a traballai
totu disisperau
penzendi i nui ia postu
su stracciu ch’ia comprau.


Sa scova s’est fuia
su bastoi s’est cuau
pobora Letizia
totu chi nc’à passau

Ma senza de dispresgeri
penzendi a inui app’andai
deu puru sorridendi
Tonara app’a lassai.

Sa genti e cabu e susu est nominada
Po s’accoglienzia e s’ospitalidadi
Po cussu in s’ierru una niada
Callentada coment'in s'istadi

Caru signor Liori S’affettu de is collegas
no est u minestroni
chi comprada  in nuscedda
e bendidi in turroi.

Ita nai poi su Dirigenti
omini fini e beni chistionau
mi ciccada sa cartella ‘e su docenti
mi furriu e giai si nde bannau

E candu mi ndi enidi in pressi in pressi
mi narada “Signora butti giù queste due righe”
mi pongiu lestra lestra
ma deu non ci dda fazzu a ddu sighiri.


Su segretariu omini scrupolosu
es cuntentu ca non cè prus Genuinu
e po no si vai pigai de su nevrosu
si conzollada cu d’una tassa ‘e binu


Paola femina manna e intelligenti
cantu ortas giai si dda impromintiu
ca ci di faidi ingurtiri finza i dentisi
lassendeddu sa lingua po solittu

Ma candu Sebastiana dad’a biri
spuntend’e s’atra parti de sa strada
dad’a nai torrassia a fuiri
ca tottu sa provenda est ispacciada

E Antonietta c’ad’a sopraggiungi
nendiddi Gesuinu lassa stai
in custa scola non ci fais pru nudda
est arribada s’ora de si lassai

Ma Bonaria cun Bastianu ispiendiddu
Anti biu call’esti s’intenzioi
Faet unu furriu e nosu zerriendiddu
E no at ispacciau ne varecchina ne saboi

Ma signor Liori
deu puru mindi deppu andai
a Gergei sa dimora mia
fustei ad’accabbau de traballai
non seghi prus sa conca e crocchisia.

Non penzi chi sa vida est accabbada
sa penzioi s’iscidi est unu cuntenteddu
po podi sopravvivi a pagu a pagu
senz’e pensai de sind’adai a Casteddu

Sa penzioi s’iscidi non balli nudda
acchistadidda e portididda bei
chi non bollidi accabbai a pai e cibudda
pinnighindidda e dongiadidda a mei

Ogni dia benid a segai
cun custu “ Pre 96”
manch’issu iscidi ita olli nai
e Alessandra ci dda mandau a iguddei

E  Franca ca adi arrosciu de du biri
Mi narat deu tengu una visioni
Artzia sa cona e lassat puru escriri
Ponendiddi su nasu po carroi

Custu no esti u sonnu
ma esti sa realtadi
non neridi a sa mulleri
seu andendi a traballari

Deu m’app’arregordai
de custa bella storia
po is annus chi anta a benni
chi m’abbarrada sa memoria.



Omini de aici no s’isperdidi
Est innoi fendi mostra de sei
Amengiau pigat su biberoi
E amerie una punte de pei

Pobere Agnese de dda cumprendu
Spizzulendiddu fintza fustei
Tra cent’annus est’ancora innoi
Pidendisia su prennovantasei

E cantu passienzia adi comprau
Po abarrai a fiancu de  gesuinu
S’oru est fintzes aumentau
Ma issu balle prus de unu brillantinu

Ma ollu acciungi una cosa
e non pozzu lassai stai
a totus is presentisi
depu ringraziai.


Maria Grazia Aresu
Tonara 10 06 2011