lunedì 7 febbraio 2022

Il frate francescano (padre Michele Todde) confessore della scrittrice Liala.

IL FRATE FRANCESCANO CONFESSORE DI LIALA di LUISA NEGRI - 28/04/2012


Ricorre in questo mese l’anniversario della scomparsa della scrittrice Liala. Nata a Carate Lario il 31 marzo 1897 Amaliana Negretti Odescalchi (della stessa famiglia Odescalchi cui appartenne un Benedetto, divenuto Papa Innocenzo XI), si spense a Varese, sua città d’adozione, il 15 aprile 1995. Accanto agli ottanta e più romanzi usciti dalle sue mani, il libro che meglio ne rivela la complessa, sensibile personalità, è senza dubbio Diario vagabondo, racconto autobiografico pubblicato da Sonzogno nel 1964, e ripubblicato più volte. La scrittura di Liala, voce nitida, impeccabile e colta, a dispetto delle distanze prese da certi critici, introduce questa volta il lettore nel suo mondo e nella sua vita, che fu equamente accompagnata, com’è per ciascuno, dalla buona e dalla cattiva sorte. Il viaggio autobiografico parte dalle sponde dell’amato Lago di Como. Qui era nata, da un papà farmacista morto quando lei era ancora bambina e da una madre insegnante, impegnata a lavorare anche per provvedere alle necessità della figlia. Il ricordo di Como e del lago è sempre vivo nel racconto della vita di Liala, e ci riporta alle escursioni in acqua della gioventù, ai tempi del liceo, con la barca Mia. Non le sarà altrettanto lieve la memoria del mare, il mare di Moneglia, dove andò sposa giovanissima al marchese Pompeo Cambiasi, un maturo ufficiale di marina, come lei di aristocratiche ascendenze, e dove visse per alcuni anni, non proprio felicemente, prima di stabilirsi definitivamente a Varese. La famiglia Cambiasi era nota anche in Varese, un avo del marchese fu tra i principali fondatori e sostenitori del Teatro Sociale. Il teatro, struttura elegante e attività operistica eccellente, da far quasi invidia alla Scala, fu sbrigativamente abbattuto nel ‘53, come registra la storia locale, per far posto a un anonimo palazzo. Nella famiglia Cambiasi c’era un’autentica passione per la lirica. Una passione supportata anche dalle doti di alcuni suoi componenti. Tra gli altri il famoso librettista Felice Romani (sue le parole de l’Elisir d’amore di Donizetti). La stessa figlia di Liala, Primavera, bella voce di contralto, studiò canto per diversi anni.

Tra le note salienti del racconto autobiografico di Diario Vagabondo è l’incontro fondamentale nella vita di Liala con due personaggi: l’editore Arnoldo Mondadori, scopritore di talenti letterari, e il poeta Gabriele d’Annunzio. L’aspirante scrittrice si presentò al primo con alcune pagine di un suo manoscritto (quello di Signorsì). Gli disse, un po’ sfrontata: “Se le piace lo termino”. Lui lo pubblicò nel ’31, e fu un successo. Al secondo si presentò in compagnia di Mondadori. Fu l’estro del Vate a imporle il nom de plume, trasformando il soprannome Liana, diminutivo di Amaliana, in Liala. Autografandole così una sua foto, d’Annunzio volle donarle per sempre quelle ali che l’avevano fatta volare in compagnia del grande amore della sua vita, il pilota marchese Vittorio Centurione Scotto. Quell’amore non sarebbe durato nel tempo. La passione per il giovane pilota finì troppo presto, per la tragica morte di Vittorio, inabissatosi nel 1926 nel Lago di Varese in occasione di una prova della Coppa Schneider.

Ma è di altro che vogliamo scrivere qui. Proprio in Diario Vagabondo Liala racconta di aver suscitato curiosità in più d’una lettrice per la presenza nei suoi romanzi rosa (un’etichetta che peraltro non amava) di alcune figure di sacerdoti. Nessuna invenzione, precisa Liala a chi le richiede informazioni, ma pura realtà. Una realtà, cui Liala teneva moltissimo, e che le aveva permesso di confrontarsi con magnifiche figure di sacerdoti. Ne ricorda innanzitutto uno, Don Giuseppe, presentato nel romanzo Settecorna. Era davvero cappellano all’aeroporto di Orbetello. “Amico di tutti i piloti, fratello, padre, consigliere, qualche volta innocente crapulone con loro, viveva la loro vita”. Nel 1930 partirono da Orbetello i ventiquattro trasvolatori dell’atlantico. A Bolama si incendiò l’apparecchio del capitano Boer e di Danilo Barbicinti; morì tutto l’equipaggio. Il cane di Boer attese a lungo il suo padrone a Orbetello. Si disperava e non mangiava più. Don Giuseppe un giorno gli parlò: “Togo, attendo anch’io il tuo padrone. Ma so che qui non arriverà più. È andato su, Togo, se lo vuoi cercare guarda in alto. E se vuoi me per padrone ti invito nella mia casa (…). Da allora si vide il malinconico lupo sempre dietro la sottana di Don Giuseppe”. Ai colleghi di Boer, stupiti per la scelta del cane, il don disse: “Non sapeva chi scegliere fra voi. Ha scelto me. Ma vuole bene a tutti”.

Don Egidio, de L’ora placida, fu invece compagno di liceo di Liala. Ostacolato dai genitori, appena poté entrò in seminario, fu poi sacerdote e monsignore al Duomo di Como. Il cognome era Nessi.

E poi Michele Todde, frate francescano, suo amico carissimo e padre spirituale per trentacinque anni. Padre Todde, e apriamo una bella parentesi di un cupo periodo storico, è noto anche per avere contribuito a salvare molte vite di perseguitati ebrei tra il ‘43 e il ‘44, contribuendo a nasconderne almeno trecento nel convento francescano, come testimoniato anche al Museo della Memoria di Assisi, inaugurato lo scorso anno.

Curiosità vuole che Diario Vagabondo si chiuda proprio con l’immagine benedicente di padre Michele. Liala era andata a trovarlo ad Assisi, e fu l’ultima di tante visite che le avevano permesso di apprezzare al meglio la Basilica. “Nulla mi era ignoto, anche perché Padre Michele mi aveva tutto spiegato, tutto detto, tutto decantato. Con la grande cultura, la sua erudizione, aveva portato la mia mente a conoscere ciò che di stupendo sta nella Basilica e riguarda il grande Santo. “Anche quella volta le fece preparare un caffè dalle Suore della Carità, le romite della Santa Croce, poi l’introdusse nella sala con la scritta “Clausura” e si accinse ad ascoltarla.

“Padre Michele aveva il breviario sotto l’ascella, e come sempre era lindo, oso dire elegante, aiutato anche dalla alta, sottile figura e da quel berretto basco che portava sempre buttato indietro, con una certa spavalderia che rivelava a tratti l’ufficiale che lui era stato durante la prima Guerra Mondiale. Non gli domandai mai perché fosse diventato Frate Conventuale Minore: non accennò mai al suo passato, mi parlò sovente della sua Sardegna. L’adorava e aveva là nipoti affezionati. Parlammo di tante cose in quel pomeriggio di prima estate: l’ultimo pomeriggio che passai con Padre Michele”.

Poi, dopo la visita alla cripta, il congedo. “Baciai la mano di Padre Michele e insieme ci avviammo: la mia macchina aspettava, con altre. Ancora un saluto e me ne andai. Ma prima di lasciare la piazza, prima di uscire dal loggiato, mi volsi: era là, padre Michele, sul portale: le braccia aperte in croce, nel saluto caro a San Francesco. Così lo rivedo: le braccia spalancate, la figura alta, sottile, chiusa nell’abito nero dei frati conventuali minori, la breve mantella ricadente come contorno di ala a riposo: così lo vedo e lo vedrò sempre. Riposa nella sua Assisi, si spense lentamente, tranquillamente, pensando che presto il suo venerato Santo avrebbe accolto lui con quelle braccia spalancate nella benedizione e nella accettazione”. Quell’ultima immagine rimasta nella memoria di Liala è anche l’ultima del diario della scrittrice. Lei stessa spiega il significato di quella scelta ai suoi lettori, convinta di sorprenderli “(…)con un ricordo che forse non vi aspettate. Saluto da qui il mio Padre Michele Todde. Mi pare che chiudendo con lui questi miei ricordi possiate tutti avere quella pace e quel bene che Padre Michele voleva per ogni creatura”.

E così termina Liala, congedandosi da quelle sue pagine di vita “in cui passano infanzia, adolescenza, giovinezza e amore”: “ (…) ho certamente dimenticato qualche cosa di bello o meno bello: non so se farò in tempo a scrivere un altro diario: ora c’è questo, che vi porta qua e là con me e si chiude con l’atto puro e altissimo di un Frate vissuto felicemente in umiltà”

sabato 22 gennaio 2022

Papa Francesco, Graziella Viterbi e gli ebrei rifugiati che la Chiesa salvo' ad Assisi. Padre Michele Todde.

Grazie per quello che la Chiesa ha fatto per noi”. Graziella Viterbi lo ha voluto dire personalmente a Papa Francesco. Graziella Viterbi è l’ultima sopravvissuta dei 200 ebrei che furono salvati dalle persecuzioni razziali. Lì, nella Sala della Spoliazione dove ha potuto salutare il Papa per due volte, all’entrata e all’uscita, la Chiesa di Assisi aveva raccolto i rifugiati ebrei. Graziella Viterbi, ultima superstite di quel gruppo di ebrei, non poteva non essere presente nel giorno in cui Papa Francesco, primo Papa in 800 anni, come ha ricordato il vescovo Sorrentino, faceva tappa nella Sala della Spoliazione.

“Shalom”. “Shalom”. Il primo saluto tra Papa Francesco e Graziella Viterbi è il saluto di pace. Si incrociano quando Francesco fa il suo ingresso nella Sala della Spoliazione. Graziella Viterbi non vive più ad Assisi. Ma lì si sente a casa. Vi ha trascorso gli anni dell’adolescenza e della giovinezza. Si è trasferita a Roma negli Anni Settanta, ma è sempre tornata ad Assisi nei periodi di festa e per le vacanze estive.

Abitava in piazza Santa Chiara, al numero 11. Il padre, Emilio Viterbi, era un accademico dell’università di Padova, molto stimato. Ma a 52 anni le leggi razziali lo avevano spogliato di tutto: perse la cattedra universitaria, gli amici, e infine anche la città dove viveva, Padova. Aveva deciso di andare ad Assisi, verso la linea del fronte, verso la “liberazione”. Era il 1943.

Arrivarono in migliaia, ad Assisi, tra il 1943 e il 1944. Tra loromolti ebrei, che fecero la vita degli altri sfollati. In pochissimi sapevano della loro presenza, quasi nessuno.

La storia degli ebrei di Assisi inizia molto prima della liberazione del 17 giugno 1944, quando il suo Vescovo Monsignor Giuseppe Placido Nicolini, con il giovane segretario Padre Aldo Brunacci, con Padre Rufino Nicacci, guardiano di San Damiano e il santuarista del Sacro Convento Michele Todde, costituiscono una rete di assistenza clandestina per salvarli dai nazisti.

I religiosi arrivano ad avere contatti anche a Firenze e a Genova. Forse Gino Bartali, da poco proclamato “Giusto tra le nazioni” faceva la staffetta proprio per questa rete. E queste rete salva oltre 300 ebrei, nascondendoli tra le centinaia di sfollati e travestendoli da frati e suore nei conventi e nei monasteri, soprattutto quelli femminili di clausura, come quello delle Clarisse. Prima di allora Assisi non aveva mai avuto una comunità ebraica.

In una intervista a Terrasanta.net, Graziella Viterbi ha descritto il vescovo Nicolini come “l’incarnazione dell’innocenza. Conservava lui le carte di identità autentiche di tutti noi (ebrei nascosti ad Assisi). Le teneva in una nicchia nel muro sopra la sua scrivania, al riparo d’una tendina”.

Oltre a Nicolini, Brunacci e Rufini, sapevano anche i tipografi Luigi e Trento Brizi, comunisti, incaricati di stampare i documenti falsi. E sapeva della presenza degli ebrei anche il podestà Arnaldo Fortini, che prese alla famiglia Viterbi tutti gli oggetti religiosi che li potevano identificare e li nascose nel suo giardino. Aveva forse capito anche il colonnello tedesco Valentin Mueller. Che però non fece ulteriori indagini, lasciò andare la questione. Ad Assisi è ricordato ancora con affetto, come un personaggio positivissimo.

La storia del salvataggio degli ebrei ad Assisi è stata ricordata anche dal vescovo Sorrentino, nell’indirizzo di saluto a Papa Francesco. “Questo vescovado – ha detto Sorrentino – sulle tracce di una “vocazione” suscitata dello Spirito, non solo “accolse” Francesco attraverso il vescovo Guido. Un altro vescovo, Mons. Giuseppe Placido Nicolini , accolse e salvò qui molti ebrei braccati dalla folle ideologia della razza”.

Graziella Viterbi era lì a ricordarlo. Per due volte i suoi occhi si sono incrociati con quelli di Papa Francesco. E al suo grazie, Papa Francesco ha risposto: “Grazie a lei. Preghi per me

Padre Michele Todde. Il museo della memoria. Assisi.

Assisi 1943 - 1944. Il Museo della Memoria. 

Coloro che aiutarono a salvare quanti più ebrei fu loro possibile, sino al punto di mettere le loro vite in pericolo mortale, non devono essere dimenticati."(Giovanni Paolo II)

E' stato inaugurato ad Assisi il Museo della Memoria per non dimenticare quello che Assisi fece per salvare gli ebrei dalle deportazioni naziste negli anni tra il 1943 e il '44.
Il museo nasce per iniziativa dell'Opera Casa Papa Giovanni in collaborazione con il Comune di Assisi, la Regione dell'Umbria e la Provincia di Perugia, il patrocinio dell'Isuc, dell'Associazione Italia-Israele (sezione di Perugia) e del Franciscan Pilgrimage Programs.
Il Museo della Memoria raccoglie scritti, documenti inediti, foto e testi relativi a quel periodo storico e soprattutto ai personaggi che si prodigarono in prima persona per salvare circa 300 ebrei. La mostra parla di , già fondatore dell'Opera Casa Giovanni che negli anni ha mantenuto viva la memoria, dell'allora vescovo monsignor Giuseppe Placido Nicolini che tirò le fila dell'organizzazione clandestina che, spontaneamente, si era venuta a creare, di padre Rufino Niccacci, padre guardiano del convento di San Damiano, del podestà di Assisi Arnaldo Fortini, del colonnello tedesco MUller, degli ordini religiosi, del frate minore conventuale padre Michele Todde e tutti gli altri che si prodigarono per salvare la vita a tante persone, destinate altrimenti alla deportazione.
Uno spazio è dedicato anche a Luigi e Trento Brizi, i tipografici assisani che stamparono i documenti falsi per gli ebrei ed insieme ad immagini e riconoscimenti sarà esposta anche l'antica macchina tipografica con cassettiere, taglierina e timbri

Padre Michele Todde. la societa' delle mandorle. Come Assisi salvo' i suoi ebrei. Paolo Mirti.

LA "SOCIETÀ DELLE MANDORLE" (ASSISI)
Come Assisi salvò i suoi ebrei


La società delle mandorle. Come Assisi salvò i suoi ebrei raccolta di testimonianze sul salvataggio degli ebrei ad Assisi. Segnalato dall'autore Paolo Mirti, febbraio 2007

“Noi Ebrei rifugiati in Assisi non ci dimenticheremo mai di ciò che è stato fatto per la nostra salvezza. Perché in una persecuzione che annientò sei milioni di Ebrei, ad Assisi nessuno di noi è stato toccato”.
Così Il Prof. Emilio Viterbi, docente all’Università di Padova, raccontò la sua esperienza di rifugiato ebreo in Assisi. Assieme a lui molti furono, a partire dall’autunno 1943, gli ebrei che cercarono rifugio ad Assisi, tentando di confondersi con le centinaia di sfollati che arrivarono nella città di San Francesco. Nacque così in città una vera e propria organizzazione clandestina di soccorso agli ebrei, coordinata dal Vescovo Monsignor Giuseppe Placido Nicolini e dal giovane Sacerdote Don Aldo Brunacci, nella quale erano attivi anche Padre Rufino Niccacci, guardiano di S. Damiano, il Santuarista del Sacro Convento p. Michele Todde ed il tipografo assisano Luigi Brizi insieme a suo figlio Trento. I nascondigli preferiti, in quanto più sicuri, furono i monasteri femminili di clausura: quelli delle Clarisse, delle Suore Cappuccine Tedesche, delle Stimmatine, delle Benedettine di S. Apollinare,delle Collettive, delle Benedettine di S. Apollinare. 

Il salvataggio degli ebrei ad Assisi è raccontato da Paolo Mirti nel libro La Società delle Mandorle. Come Assisi salvò i suoi ebrei, sulla base di testimonianze e documenti inediti, tra cui quella del canonico Don Aldo Brunacci, che ha ricevuto dal Presidente Ciampi l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce per l’opera prestata in favore dei rifugiati ebrei in Assisi, opera che gli ha valso il titolo di "Giusto tra le Nazioni", assegnato dallo Yad Vashem di Gerusalemme. Anche gli altri partecipanti all'attività di soccorso sopracitati hanno ricevuto il titolo di "Giusto tra le Nazioni".

Il titolo del volume, La società delle mandorle, si ricollega a quella “ societas amandolarum” documentata ad Assisi nel ‘300 ed operante in Piazza Del Comune, gestita in società da un ebreo e da un cattolico. Proprio questa società viene assunta a simbolo della felice convivenza tra le due comunità che caratterizzò la storia assisana in una determinata fase storica. L’autore, di professione dirigente pubblico, è giornalista ed autore di testi teatrali e collabora a diversi quotidiani e periodici. 

Il salvataggio degli ebrei ad Assisi è una vicenda ancora poco nota al grande pubblico in Italia, mentre è ben conosciuta nella comunità ebraica degli Stati Uniti, grazie al romanzo di Alexander Ramati: Assisi Underground e al film ad esso ispirato prodotto negli anni ’80 ed interpretato, tra gli altri, da Ben Cross e James Mason

venerdì 21 gennaio 2022

Tore Cabras Antonio Raimondo (Mons.)

Tore Cabras Antonio Raimondo
Luogo di nascita
Tonara

CARRIERE STUDENTE: 1

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Facoltà
Teologia
Anno accademico di licenza
1799-1800
Titolo tesi licenza
De divinis Ieremiae et Ezechielis operibus
Segnatura archivistica della tesi di licenza
BUCa, F. A. 2446
Anno accademico di laurea
1801-1802
Titolo tesi di laurea
De charitate eiusque actibus exterioribus
Segnatura archivistica della tesi di laurea
BUCa, F. A. 1390
Carriera
Conseguì il baccellierato il 1799-04-29, la licenza il 1800-07-31 e la laurea il 1801-11-12.

Sulis Cabras Giovanni (Nanneddu)

Sulis Cabras Giovanni
Luogo di nascita
Tonara

CARRIERE STUDENTE: 1

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Facoltà
Medicina e Chirurgia
Anno accademico di immatricolazione
1892-1893
Anno accademico di laurea
1897-1898
Titolo tesi di laurea
Vantaggi del forcipe traente nell'asse, nelle viziature pelviche di 1° grado, sul forcipe comune-classico, in base ai risultati clinici
Valutazione laurea
101/110
Segnatura archivistica della tesi di laurea
ASUCa, USCa, RUSCa, Sezione II, Serie omogenee (1848-1900), s. 10.20, b. 203, n. 395
Carriera
Conseguì la laurea il 1898-07-06.

Gessa Antonio

Gessa Antonio
Data di nascita
1892-09-26
Luogo di nascita
Tonara
MadreSulis
Maria
PadreGessa
Carlo

CARRIERE STUDENTE: 1

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Facoltà
Giurisprudenza
Anno accademico di immatricolazione
1912-1913
Carriera
Trasferito nel 1912-1913 presso l'

Mereu Todde Giuseppe

Carriera studente
Facoltà
Scuola di Chirurgia
Anno accademico di immatricolazione
1852-1853
Anno accademico di licenza
1855-1856
Anno accademico di laurea
1856-1857
Titolo tesi di laurea
Rhus toxicodendron linn
Valutazione laurea
Approvato con tutti i voti favorevoli
Segnatura archivistica della tesi di laurea
BUCa, Salone 9191
Carriera
Conseguì il baccellierato il 1854-09-30, la licenza il 1856-07-17 e la laurea il 1857-08-18.

sabato 15 gennaio 2022

14 gennaio 1872, nasce Peppino Mereu. di Maurizio Pretta - Nemesis.

150 anni fa nasceva a Tonara il poeta Peppino Mereu
Di Maurizio Pretta 15 Gennaio 2022. 
Tonara, civico 18 della contrada detta di San Giuseppe a Funtana ‘e Idda, parte bassa del rione di Arasulè, 1872. Sono le 4 antimeridiane del 14 gennaio quando la cagliaritana Angiolina Zedda, allora trentatreenne moglie del medico condotto del paese Giuseppe Mereu, mette al mondo il suo sesto figlio al quale viene dato il nome di Giuseppe Ilario, Efisio, Antonio, Sebastiano. Si racconta che nel frattempo, il sofferente latrato di un cane si mischiasse al sibilo di un vento freddo e desolante, mesta profezia della dolorosa sinfonia che sarebbe spesso risuonata durante la breve vita terrena di quel bambino appena nato, ma che i suoi versi poetici, molti anni dopo, avrebbero consegnato all’immortalità e alla leggenda.

Nel paese dei deliziosi torroni e dei campanacci in questi giorni c’è fermento. Le associazioni culturali e la comunità tonarese si stanno preparando per celebrare solennemente la storica ricorrenza con una serie di eventi che verranno programmati nel corso dell’anno. Continua così a rinnovarsi quanto Nanni Sulis, fraterno amico al quale il poeta dedicò i suoi versi più popolari, auspicò: attraverso diverse generazioni i tonaresi hanno fatto tanto al fine di raccogliere, conservare, pubblicare e divulgare l’opera del Mereu. Se la sua nobile figura di uomo e poeta è stata preservata ed elevata oltre i cieli barbaricini, per diffondersi in tutta l’isola e nel mondo, lo si deve a questi volenterosi compaesani e a coloro che, a partire dal secondo dopoguerra, hanno riproposto in musica i suoi versi, trasformandoli in arcinoti canti popolari.

Su tutti spicca il Collettivo Peppino Mereu. Nato nel1977, si assunse l’incarico di ripubblicare il volume ‘Poesias’ nel 1978 e nel 1982, e di celebrare il poeta per la ricorrenza del centenario della morte nel 2001, con un convegno-concerto e con ‘Nanneddu Meu’, un libro al quale venne allegato un compact disc dove le liriche del Mereu vengono interpretate da diversi musicisti sardi.
Attraverso il loro prezioso lavoro, quello di tenores, cuncordos, cori e musicisti vari che ripropongono puntualmente i suoi versi, e tramite lo studio di tanti storici, musicologi, ricercatori e appassionati che ancora scrivono e discutono sullo “scapigliato di Barbagia”, possiamo tutt’oggi godere di una vasta produzione letteraria in merito. L’augurio è che questo importante cento-cinquantenario non sia soltanto un punto di arrivo e un’occasione per tirare le somme su questo lodevole lavoro di conservazione e divulgazione, ma anche quello di una nuova partenza per stimolare ancora studi e ricerche al fine di valorizzare anche la produzione meno nota e alcuni aspetti poco indagati della vita di Peppino Mereu e della Sardegna della sua epoca. Ne gioverebbero l’intera storia e cultura isolane, ma anche l’animo di quei sardi che hanno a cuore le loro radici e che partendo da queste, hanno imparato a volare.

Deo t’invoco cale russignolu:
ben’a cantar’a sa Patria mia,
ispalghelas sas alas a su olu.
Milli cosas contare ti cheria,
e cheria godire ness’un’ora
su consol’ ’e sa tua cumpagnia.
Ismentigadu non t’ai’ancora,
ti nde fatto solenne juramentu,
sa limba mia non est impostora.

Per chi volesse scoprire, approfondire e conoscere meglio l’opera e la figura di Peppino Mereu consigliamo:

‘Peppino Mereu – Poesie Complete’ a cura di Giancarlo Porcu – Il Maestrale 2004

‘Peppino Mereu – Poesias’ a cura di Marco Maulu – Ilisso 2004

‘Nanneddu Meu – Poesias de Peppinu Mereu’ a cura del Collettivo Peppino Mereu – Condaghes 2001

‘Peppino Mereu – Opera Omnia’ a cura di Gianfranco Tore – Il Maestrale 2017

venerdì 14 gennaio 2022

!4 Gennaio 1872 nasce Peppino Mereu.


Fonte: Familysearch.org tribunale di Cagliari atti dello stato civile 1866-1929.
  
Atto n. 3 - Alle ore Dieci del giorno  Sedici Gennaio Milleottocentosettantadue, nell'ufficio dello Stato civile di Tonara, nanti me Bachisio Sulis, Assessore municipale effettivo e per impedimento del Sindaco Ufficiale dello Stato Civile di questo COmune, è comparso il signor Mereu medico chirurgo Dott.  Giuseppe fu Sebastiano di anni quarantaquattro, qui nato e residente, presentandomi un bimbo di sesso mascolino, cui intende imporre i nomi di Giuseppe, Ilario, Efisio (Sebastiano - cancellazione) Antonio Sebastiano che asserisce essere nato dalla propria moglie Zedda Angiolina di anni trentatrè, figlia del vivente Antonio, nato a Cagliari e qui domiciliata, alle ore  quattro antimeridiane del giorno  quattordici corrente mese ed anno, nella casa di propria abitazione sita in Tonara rione di Ispasulè e nella contrada San Giuseppe sotto il numero diciotto. Dichiarazione questa che mi viene fatta alla continua presenza dei testimoni Dessi Giovanni fu Giuseppe, sarto, e Bande Battista fu Giuseppe, Segretaro comunale; per cui ne levo il presente doppio atto, che, lettura premessa, viene notificato e confermato, e meco sottoscritto dal dichiarante e dai testimoni.
firmato: Giuseppe Mereu, Giovanni Dessì, Battista Bande, Bachisio Sulis

PADRE MICHELE TODDE: SU BALLU SARDU E SA GARA POETICA






alusac eleirbag


PADRE MICHELE TODDE: PER LA TRADIZIONE DEL CANTO SACRO POPOLARE IN SARDEGNA

alusac eleirbag