martedì 10 ottobre 2017

L'avvocato Vincenzo CABRAS, tratto da "GIACOBINI ,RIVOLUZIONARI e MODERATI “ di V. del Piano

L’avvocato Cabras era nato a Tonara nel 1732. Si trasferì nel capoluogo a 15 anni dove completò gli studi e vi si stabilì definitivamente . Sposò Maria Caterina Ronqui della Marina; dal loro matrimonio nacquero Antonio, che diventerà sacer­dote, ed Anna che sposerà l'avvocato Fran­cesco Carboni Borras. Rimasto vedovo si risposò nel 1769 con Anna Tiragallo , sorella di Luigi, giudice della Reale Udienza, dalla quale avrà dal 1770 al 1790 13 figli, 9 femmine e 4 maschi. Con lui vissero oltre i nipoti Tomaso e Francesco anche i generi Carboni Borras ed Efisio Luigi Pintor che abitavano in due appartamenti del suo palazzo costituendo così quella "po­tenza" politica chiamata dall'autore della Storia dei torbidi e da altri "la casa Cabras" ed il "partito del Dottor Cabras". Intorno al 1800 un'altra figlia. Maria Raimonda Barbara sposerà l'avvocato Emanuele Massa Eschirru, il cui nome era presente nell'elenco dei secolari agenti dell'anar­chia trovato in casa del marchese della Planargia. Divenne membro dello Stamento reale, procuratore delle città di Sassari e di Castelsardo, assessore della Curia arcivesco­vile di Cagliari e della regia Vicaria, sinda­co capo di Stampace. Divenne maestro di Efisio Luigi Pintor e del notaio Vincenzo Sulis. Fu arresta­to ,con l'avvocato Bernardo Pintor, fratello di Efisio Luigi e marito della figlia Maria Josepha , il 28 aprile 1794, poiché il viceré Balbiano aveva saputo che la sommossa, che avrebbe dovuto in un primo tempo scoppiare il 4 maggio era stata anticipata, perché scoperta, alla notte del 28. L'insurrezione, della quale il Cabras era reputato il princi­pale fomentatore, era stata organizzata dopo l'arrivo a Cagliari della risposta del re, pressoché negativa, alle cinque domande dei sardi, ed aveva per scopo l'espulsione dei funzionari pubblici venu­ti da Torino. Balbiano decide di arrestare l'avvocato Cabras ed il genero Efisio Luigi Pintor , che però riesce a fuggire e informa dell'accaduto il popolo che accor­re in armi in difesa degli arrestati. "L'avvocato figlio dell'arrestato Cabras- è scritto nella Storia de’torbidi -, correva anch'egli come un forsennato per le contrade, con cuffia bianca in testa e fucile in spalla, animando il popolo a far partito contro il governo, a compiere in quel punto ciò che doveva eseguirsi nella sera a norma del combina­to piano, e dell'unione generale che doveva farsi nel campo del convento del Carmi­ne". Gli insorti arrivavano sotto il Castello e reclamavano la liberazione dei due, che vengono mostrati dal bastione di San Remy fra l'arcivescovo Melano che invoca la pace e i marchesi di Laconi e di Neoneli. Subito dopo gli insorti bruciavano la Porta Cagliari, all'ingresso del Castello, disarmavano la truppa e arrivavano davanti al palazzo viceregio. Un tentativo di pacifi­cazione tentato dal giudice Giuseppe Valentino e dal canonico Salvatore Mameli non ebbe alcun esito: la lotta si riaccese, le guardie reagirono, ma si arresero dopo la morte del loro comandante svizzero.
Il potere

Il Cabras, liberato, si presentò, con Efisio Luigi , al viceré e” gli si mostravano sottomessi, e stranieri alle ragioni dell'avvenuta catastrofe", che attribuiro­no all'insofferenza del popolo nei con­fronti dei piemontesi. E al popolo e solo a lui, nel Manifesto giustificativo preparato dal figlio Antonio, era attribuita l'iniziativa della rivolta, al popolo che padrone ormai della situazione inneggiava al re e alla nazione sarda e innalzava vicino alla bandiera reale la bandiera sarda. Avuta notizia dell'insurrezione, il re, mentre era disposto a concedere un generale perdono, volle però, senza esito, che si procedesse secondo le leggi contro i due maggiori indiziati. Il Cabras era favorevole, col visconte di Piumini, al mantenimento in servizio delle compagnie miliziane, che assicuravano l'ordine in città dopo la parten­za dei piemontesi, e dei cacciatori, fra i quali facevano servizio persone che avevano avuto a che fare con la giustizia. Frequentava col genero Efisio Luigi la casa di don Giovanni Maria Angioy ed il club giacobino che vi aveva sede, nel quale si riunivano i democratici che si opponevano alle idee moderate di Pitzolo ed a quelle reazionarie del marchese della Planargia, e nelle assemblee stamentarie i due, col canonico Sisternes e l'abate Simon, facevano prevalere i propri pareri, con la loro oratoria travolgente. Nelle carte sequestrate il 6 luglio 1795 in casa del generale delle armi, Cabras era indicato fra i capi dell'emozione del­l'aprile del 1794 che hanno molti seguaci nel Magistrato e fuori di esso "per sostenere e promuovere l'anarchia". Caldeggiava la candi­datura del democratico avvocato Salvato­re Cadeddu alla carica di primo consiglie­re civico, in sostituzione del dottor Lepori, deposto in seguito al tumulto popolare del 31 marzo del 1795. Con E.L. Pintor e col notaio Vincenzo Sulis si presenta al viceré Vivalda il 30 giugno per esaminare la situazio­ne creatasi in città dopo l'arrivo del di­spaccio reale che impone la registrazione delle patenti dei sassaresi Andrea Flores, Antonio Sircana e Giuseppe Maria Fonta­na, nominati giudici della Sala civile della R.U.; tali nomine disattendevano le speranze anche del Cabras e del Guirisi, proposti dal reggente Cavino Cocco come giudici. Si temeva una rivolta popolare ed il Paliaccio chiedeva di poter arrestare, secondo il me­moriale del canonico Sisternes, una trenti­na di persone pericolose, tra le quale An­gioy, Cabras, Musso ed Andrea Delorenzo. Il viceré si lamentava con Cabras ed i colleghi perché da Torino gli si era detto di punire quelli che eventualmente volesse­ro opporsi alle nomine e di comunicare al generale delle armi questa reale determi­nazione; egli attribuiva al conte Galli, e non al sovrano, tale ordine. L'afflusso di truppe in Castello, la preparazione della sua dife­sa, la notizia dell'esistenza degli elenchi delle persone da arrestare insospettivano il popolo ed i democratici, che negli Stamenti, chiedevano l'arresto del Pitzolo e del Paliaccio. Secondo la Storia, Cabras era uno dei con­giurati che decisero l'uccisione del Pitzolo e del generale perché questi ultimi si opponevano al loro progetto di costituire in Sardegna una repubblica sotto la protezione della Francia. Cabras si adoperava, con Sulis e con il canonico Sisternes, perché venisse salvaguardata l'incolumità degli avvocati e di altri, arrestati dopo l’uccisione del Pitzolo, mentre alcuni reazionari, tra i quali il giudice Giuseppe Valentino, fuggivano da Ca­gliari. Amico dell'avvocato Mundula, democratico e repubblicano di Sassari, era favorevole alla nomina nella Reale Governazione dei due assessori Solis e Sotgia Mundula che appoggiavano il partito predominante a Cagliari e con Pintor chiamava nel capoluogo il Mundula, assieme al quale veniva deciso il piano per domare i baro­ni del Capo di Sopra e ristabilire la pace nel regno. Era convocato con i fratelli Simon, Sisternes e Pintor dall'arcivescovo di Cagliari Vittorio Filippo Melano di Portula, delegato dagli Stamenti per perorare le richieste dei sardi dopo la vittoria sui francesi presso il rè Vittorio Amedeo III; il Melano chiedeva la loro collaborazione per la pacificazione del regno, per poter parla­re al sovrano del ravvedimento dei sardi dopo quanto accaduto. Cabras promise che avrebbe fatto il possibile per far cessa­re le ribellioni sempre latenti. Si allontanò, con i nuovi moderati, dalle posizioni dell’Angioy, specie dopo l'occupazione di Sassari da parte di Mundula e Ciocco. Eletto nella giunta stamentaria istituita in agosto su proposta del canoni­co Sisternes fin dalla sua costituzione, rieletto il 21 dicembre 1795, e riconfermato dopo due mesi, ebbe largo seguito negli Stamenti con Pintor ed altri. Essi pensa­vano di ringraziare il re, che col rescritto del 30 marzo 1796 rispose sibillinamente alle domande dei sardi, invece di reclamare a gran voce quanto in precedenza richiesto. Interessato alla buona riuscita della missione dell'arcivescovo, con Pintor indusse, il 27 gennaio 1796, l'arcivescovo di Sassari Della Torre a scrivere allo zio monsignor Melano una lettera, in cui confessava i suoi errori e fece voti affinché venissero concessi ai sardi i privi­legi richiesti che avrebbero riportato la pace nel regno. Architettava col genero e con Si­sternes l'allontanamento da Ca­gliari di Angioy, dandogli l'impegnativo incarico di Alternos, con l'autorità politica, giudiziaria e militare del viceré e della Reale Udienza; riuscito nell'intento, lo mise in cattiva luce negli ambienti sassa­resi e nel marzo del 1796 sostenne aperta­mente il governatore di Alghero Carroz, che aveva vietato l'ingresso in città agli inviati di Angioy. Intorno a lui si rafforzava sempre più il partito dei "ravveduti" che ora com­batteva apertamente Angioy ed i suoi fedeli che, come Delorenzo ed il canonico Simon, furono costretti a lasciare Cagliari. A Sassari fu scoperta una congiura contro l'Alternos, nella quale probabilmente presero parte Cabras e Pintor, avvocati dei feudatari, il canonico Leda e Diego Cugia, le cui famiglie vivono a Sassari. L'8 giugno sottoscrisse con Litterio Cugia e con sei membri stamentari una istanza al viceré per destituire l'Alternos, ed ancora, col Cugia e con molti ex amici di Angioy, la "nota delle persone che questo pubblico ha per sospette", compilata dal Consiglio municipale di Cagliari trasmessa al viceré il 13 giugno 1796. Dopo la destituzione di Angioy, il Cabras riceveva , il 30 agosto 1796, le patenti di reggente "l'Intendenza generale e la Conservatoria generale dell'insi­nuazione nel regno di Sardegna. Prestò giuramento il 14 settembre. Nel 1799 sarà nominato intendente e conser­vatore effettivo, divenendo così uno dei principali funzionari pubblici; Sassari gli darà l'incarico nuovamente di suo procu­ratore. Cabras però fu accusato da Antonio Vincenzo Petretto il 5 ottobre 1796, duran­te la tortura, di essere stato complice ed "autore" del delitto di insurrezione di cui ven­gono accusati i seguaci di Angioy. Nelle lettere scritte dall'esilio Angioy lo bollava, con Cocco, Pintor e Tiragallo come "ven­duto agli inglesi". Nel progetto del viceré Carlo Felice per il con­solidamento del suo potere assoluto era necessario eliminare gli ex rivoluzionari cagliaritani e Vincenzo Cabras fu così no­minato presidente della reale Camera dei conti a Torino, città che non poté raggiun­gere perché occupata dai francesi. Secondo una notizia riportata in data 29 agosto 1799 dal Lavagna, "la casa Cabras" e principal­mente l'avvocato ed il figlio Antonio, avreb­be parlato male degli impiegati sardi e quest'ultimo, "è stato uno dei maggiori fautori della promiscua", cioè dell'assegnazione degli incarichi principali in Sardegna ed in Piemonte sia ad elementi sardi che piemontesi. Nel dicembre dell'anno successivo il principe lo nominò presidente della Reale Società agraria ed economica costituita a Cagliari, che diventerà successivamente Camera di commercio ed arti e - ultimamente- di commercio, industria, artigianato e agricoltura. Cabras morì a Cagliari il 21 dicembre 1809 e venne sepolto nella chiesa di Sant'Efisio.

VINCENZO CABRAS di Bruno Anatra - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 15 (1972)

FONTE: TRECCANI

CABRAS, Vincenzo. - Nato a Tonara (Nuoro) intorno al 1732 da Pietro e da Teresa Zucca, all'età di quindici anni si trasferì a Cagliari, dove nel 1755 si laureò in utroque iure. Nel 1760 sposò Caterina Ronchi, che gli diede due figli. Rimasto vedovo, nel '69 si risposò con la figlia di un magistrato della Reale Udienza, Anna Tiragallo, dalla quale ebbe ben dodici figli. Resse uno studio legale di gran fama, che, assieme all'ufficio di assessore della Regia Vicaria e della curia arcivescovile di Cagliari, gli procurò un largo prestigio.

"Vecchio venerando per dottrina e per probità", negli anni '90, si imponeva tra i più ascoltati esponenti di uno dei tre clubs, che si aprirono a Cagliari, quello tra massonico e giacobino degli ex allievi del Canopoleno di Sassari, che faceva capo all'Angioy. Nel corso dell'agitazione promossa nel 1793 dagli Stamenti, che assunse il carattere di una rivendicazione unitaria dei tre bracci (nobiliare, ecclesiastico e reale) per l'autonomia amministrativa dell'isola e l'eliminazione dei piemontesi dagli uffici pubblici, il G. primeggiò nel guidare l'azione del braccio reale insieme con l'Angioy e con il genero Efisio Pintor.

Il 28 apr. 1794 il viceré, venuto a conoscenza di un progetto insurrezionale, pensò di prevenirlo e sventarlo con un colpo di forza, facendo arrestare il C. e Bernardo Pintor, scambiato per il fratello Efisio. Ma subito quest'ultimo promuoveva una sollevazione popolare proprio nel borgo di Stampace, che il C. rappresentava negli Stamenti in qualità di sindaco-capo. Appena liberati, comunque, il C. e B. Pintor si affrettarono a professarsi presso il viceré più "argomento" che promotori del moto, il che avvalorerebbe l'ipotesi che il C., "alieno per indole dai partiti", si trovasse "quasi per legami di propagata famiglia (l'influenza di E. Pintor) a subire il capitanato onorario del partito più arrischiato" (Manno, Storia...). D'altronde il partito dei curiali, in questa fase, si muoveva con precauzione, come mostra il Manifesto giustificativo della emozione popolare, redatto, in quei giorni, dal figlio Antonio, per dissipare l'idea di una congiura: manifesto accreditato anche dall'Angioy.


Mentre, sul contraccolpo, si espellevano i piemontesi, rientrava da Torino, in maggio, la delegazione degli Stamenti, portavoce di proposte interlocutorie della Corona, che rimettevano il potere in mano alla nobiltà (comando militare al La Planargia; intendenzagenerale al Pitzolo), aprendo in parte alla fazione moderata dei curiali (Pitzolo era buon amico del C.), cui premeva la gestione delle cariche. In agosto gli Stamenti predisponevano i loro candidati alla terza sala, o Consiglio di stato, che ottenevano nel febbraio '95: il C. ebbe 20 voti dal braccio militare (risultando nono), 4 dal reale (terzo), nessuno dall'ecclesiastico.

I moderati, tuttavia, nonostante queste concessioni, "tratti dalle considerazioni dell'incolumità propria, anziché da persuasione" (Sulis), rimasero ancora solidali con l'Angioy (benché costui, sensibile all'ideologia giacobina, guardasse con simpatia al movimento antifeudale delle campagne) contro la fazione nobiliare, che preparava un'azione di forza sotto la guida del Pitzolo e del La Planargia. Il 6 luglio 1795, anzi, il C., che ormai era il rappresentante più autorevole del gruppo moderato, concordava con E. Pintor, l'Angioy e il Sulis, nel chiedere al viceré la sospensione dalla carica dei due. Ma quando le esitazioni del viceré provocarono la sanguinosa sommossa che travolse il Pitzolo e il La Planargia, il C., "invocato più dagli altri per l'autorità del nome, che mescolato spontaneamente" (Manno, Storia..., p. 701, si adoperò per salvare alcuni curiali che aderivano al loro partito.

La fazione feudale rimase ancora potente a Sassari, ma anche qui i democratici, guidati da G. Mundula, che ebbe contatti con gli stamentari a Cagliari in una villa dei C., si accingevano a passare all'attacco, poggiando sul movimento contadino. In questo periodo, forse in risposta alla richiesta, partita da Sassari, di intervento della flotta inglese di stanza in Corsica, vi furono a Marsiglia abboccamenti degli autonomisti sardi con la Repubblica francese per concertare eventuali aiuti francesi. Rientrato quel pericolo, prima dello scontro aperto, si tentò la mediazione, presso la corte, dell'arcivescovo di Cagliari, Melano. Questi, prima della partenza (5 ottobre), ebbe colloqui con esponenti moderati degli stessi Stamenti, e sembra che in particolare facesse pressione sul C., perché provvedesse "con senno nell'età sua già matura, alla dignità e alla sicurezza della propria famiglia" (Sulis). I curiali moderati, comunque, che controllavano l'assemblea stamentaria (soprattutto da quando, in luglio, questa aveva delegato le decisioni ad una "deputazione" ristretta, di cui faceva parte il C.) e una base politica, che, avulsa dall'entroterra contadino, poggiava sui ceti artigianali e sul sottoproletariato suburbano, in cui la famiglia Cabras aveva vaste radici clientelari, già assolvevano al compito di smorzare le punte della politica angioiana. Il moderatismo del C., quindi, non fu una scelta dell'ultima ora: "educato col genero e col cognato alle tradizioni forensi, ben desiderava l'abbassamento dei feudatari, ma non la loro distruzione" (Sulis).

La sconfitta del partito feudale a Sassari, assediata e conquistata dal Mundula il 29 dicembre, mentre spingeva gli angioiani a chiedere l'abolizione del feudalesimo, offriva l'occasione ai moderati cagliaritani - ormai impauriti dagli obiettivi troppo avanzati dei democratici - di allontanare l'Angioy: lo stesso C., a quanto sembra, convinse il viceré Vivalda a inviarlo a Sassari come "alternos" con ampi poteri civili emilitari (febbraio 1796). Dopo la sua partenza fu agevole per i moderati, riaccostatisi al braccio militare, spostare gli Stamenti sempre più apertamente, contro il disegno antifeudale dei democratici. Ma inseguito, proprio la sconfitta dell'Angioy (giugno 1796) e il mutare della situazione internazionale, per gli effetti dell'armistizio tra la Francia e il Regno di Sardegna (aprile 1796), ridussero i margini dell'azione politica dei moderati. È pur vero che per il C. si aprì una rapida carriera. Il 18 luglio il viceré lo propose per la carica di reggente intendenza generale, "per il merito, probità, e capacità del soggetto". Il 30 agosto giungeva la conferma di questo incarico e di quello di conservatore generale del Tabellione. il 28 apr. '97 gli venivano condonati i diritti reali di mezza annata e di sigillo sulla patente, "per il tenue di lui patrimonio e numerosa famiglia".

La sua ultima battaglia politica fu, nel febbraio '99, quella, meramente cortigiana, di dissipare i timori dello Stamento reale di fronte alla venuta, in marzo, di Carlo Emanuele IV. Dal 21 marzo diveniva intendente effettivo, con stipendio di 2.500 lire annue, come ricompensa per aver "pensato col migliore impegno agli interessi della nostra R. Azienda", particolarmente in occasione "della ragguardevole estrazione di grani, del 1798".

Tagliati ormai fuori dall'esausta politica degli Stamenti, ridotti a trattare non più la "esclusività", ma la "promiscuità" degli impieghi (cioè non più il diritto dei soli sardi a partecipare ai pubblici uffici nell'isola, ma la loro partecipazione insieme con i piemontesi), il C. e il figlio Antonio, magna pars della curia e portavoce dell'arcivescovo di Cagliari, "parlano male degli impiegati sardi" (CarteLavagna). Non a torto l'Angioy ed il Petretto, nel 1799, facendo per il Direttorio una relazione sulla situazione sarda, descrivevano il C. ed i suoi amici come isolati che "soggiacciono alla maggiore diffidenza da parte del re" (Boi). Nel settembre si pensava già di liquidarlo, mandandolo in pensione. Qualche mese dopo i curiali sardi, soppiantati da funzionari piemontesi, erano "senza impiego e senza soldo" (Martini, Storia...), con la prospettiva, nel formale rispetto della concessa "promiscuità", di essere inviati a Torino (il C. in qualità di presidente della R. Camera dei conti). Collocato a riposo, su richiesta, nel 1803, ed insignito della nobiltà personale, l'anno dopo (correva il viceregno di Carlo Felice, più attento agli interessi della locale classe dirigente) veniva chiamato alla presidenza a vita della R. Società agraria ed economica.

Il C. morì a Cagliari il 21 dic. 1809.

Fonti e Bibl.: Alghero, Bibl. comunale, ms. 48, fasc. 9; ms. 49, fasc. 63; Archivio di Stato di Cagliari, Segr. di Stato, s. 1, cart. 313; s. 2, voll. 1680-1683; Ibid., R. Provisioni, voll. 23, n. 8; 25, n. 5; S. Caboni, Ritratti poetico-storici d'illustri sardi moderni, Cagliari 1833, pp. 65 s.; P. Martini, Biografia sarda, Cagliari 1837, I, pp. 200, 208 s.; P. Tola, Diz. biogr. degli uomini illustri di Sardegna, Torino 1837-38, I, p. 153; III, p. 91; G. Manno, Storia moderna della Sardegna dall'anno 1773 al 1799, II, Torino 1842, pp. 70, 149, 154 5.; P. Martini, Storia di Sardegna dall'anno 1799 al 1816, Cagliari 1852, pp. 13, 17, 53, 60, 140; F. Sulis, Dei moti polit. ... di Sardegna dal 1793 al 1821, Torino 1857, pp. 7, 30, 78, 8691, 94-96, 98 s., 102, 112, 125, 127, 129, 131-134, 136, 152, 168; G. Manno, Note sarde e ricordi, Torino 1868, pp. 162 s.; N. Bianchi, Storia della monarchia piemontese dal 1773 al 1861, Roma-Torino-Firenze 1878, II, p. 507; I.Esperson, Pensieri sulla Sardegna dal 1789 al 1848, Milano 1878, pp. 13, 22 s., 26 s.; G. Musio, V. Sulis e i suoi giudici-C. Musio, Cagliari 1879, pp. 57, 70; C. Tivaroni, L'Italia durante il dominio francese, I, L'Italia settentrionale, Torino-Napoli 1884, pp. 77 s., 80; P. Meloni-Satta, Ricordi storici. Effemeride sarda, Cagliari-Sassari 1895, I, p. 130; II, pp. 87, 105; S. Pola, I moti delle campagne di Sardegna dal 1793 al 1802, Sassari 1923, I, pp. XII, XIX, 109, 134 s., 142, 169, 186, 214, 218; II, pp. II s.; A. Boi, G. M. Angioy alla luce di nuovi docum., Sassari 1925, pp. 16 8-, 319 86, 90, 94, 100, 106, 110; F. Loddo Caneva, Invent. della R. Segret. di Stato e di Guerra del Regno di Sardegna, Roma 1934, pp. 270, 308; R. Bonu, Scrittori sardi dal 1746 al 1950, I, Il Settecento, Oristano 1952, pp. 45 s., 206; D. Scano, Don G. M. Angioy e i suoi tempi, in Scritti inediti, Sassari 1962, pp. 246, 255, 265, 270 s., 274, 291-293, 297, 303, 317, 321, 329, 356, 387; A. Cabras, La famiglia Cabras, Cagliari 1963, pp. 27-37; V.Sulis, Autobiografia, Cagliari 1964, pp. 51, 101 s.; F. Cherchi-Paba, Don M. Obino e i moti antifeudali lussurgesi (1796-1803), Cagliari 1969, pp. 20, 22; C. Sole, Le "carte Lavagna" e l'esilio di casa Savoia in Sardegna, Milano 1970, pp. 106 s., III s., 119, 127, 132, 149, 166; V. Lai, La rivoluz. sarda e il "Giornale di Sardegna", Cagliari 1971, ad Indicem.