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domenica 19 aprile 2020

UN ISOLA UN CONTINENTE: IL TORRONE SARDO




i buoni ingredienti del torrone sardo
Mandorle, noci o nocciole, albume d'uovo e miele: ecco gli ingredienti tradizionali del buon torrone sardo.
Recentemente si produce anche in una variante con le arachidi, destinata al commercio ambulante.
Le ostie sono fatte di amido di mais, acqua, olio vegetale e la regola le vuole in fogli sottili, tali da non influire sul gusto del torrone.

i luoghi del torrone
In tutte le sagre paesane dell'isola troverete torronai con i loro banchetti carichi di blocchi di torrone.
I centri di produzione più rinomati si trovano in Barbagia dove all'abbondanza di materie prime si unisce l'alta qualità delle stesse: delizioso miele dalla montagna e noci e nocciole dalle verdi vallate.
Al primo posto troviamo Tonara (con almeno il 90% della produzione sarda) e Aritzo, poi Guspini, Desulo e Pattada.

originalità del torrone sardo
In Sardegna il torrone è genuino, senza aggiunta di zucchero, sciroppo di glucosio, amido o altri aromi: si scioglie in bocca senza attaccarsi ai denti e non è gommoso. Ovvero: in Sardegna il torrone se non è fatto di miele, è altro, mentre nel resto d'Italia si chiama torrone anche ciò che è altro.
A Cremona, ad esempio, la ricetta tradizionale prevede zucchero e canditi, in Lombardia invece, è diffuso il ricoperto al cioccolato, in Emilia alle mandorle si affiancano bastoncini di cioccolato e caramelle, in Abruzzo il torrone è marrone perché viene impastato con cioccolato e nocciole mentre in Veneto si usano le mandorle essiccate e non tostate. Insomma le varietà nazionali sono innumerevoli.
In Italia, benché se ne rivendichino i natali, non esiste però alcuna normativa che definisca le caratteristiche standard di questo prodotto, come invece avviene ad esempio, in Spagna. Regole a parte, la percentuale di mandorle o dell'altra frutta secca è senza dubbio un fattore decisivo in un buon torrone e influisce sia sul gusto sia sulla consistenza: si rischia di passare da un torrone con una definita percentuale di mandorle o nocciole ad uno alle mandorle o nocciole, in quantità non meglio precisata.  

proprietà nutrizionali
Il torrone sardo è sicuramente un dolce sano. Apporta circa 460 kcal/100 g, è quindi poco meno calorico del cioccolato ma ha una percentuale di grassi più bassa.
Le mandorle contengono in maggior parte grassi monoinsaturi, cioè "buoni" e ciò conferisce al torrone un pregio nutrizionale rispetto agli altri dolci generalmente ricchi di grassi saturi. Altro elemento prezioso fornito dalle mandorle è la vitamina E: un naturale agente anti-ossidante.
Il miele sardo è prodotto da inflorescenze spontanee, non trattate chimicamente, che si alternano a formare un naturale pascolo continuo.
Una porzione di torrone contiene inoltre una ricca percentuale di magnesio, potassio, ferro e zinco. 

la lavorazione tradizionale
Il torrone oggi viene prodotto con mezzi industriali ma fino a pochi anni fa veniva lavorato in casa mescolando gli ingredienti in " su cheddargiu" (paiolo in rame) sulla "forredda" (fornello costruito in mattoni). La lavorazione richiedeva una gran forza di braccia poiché il miele veniva fatto squagliare a fuoco lento e poi cotto e rimestato per quattro ore con gli albumi montati a neve. Il fuoco era alimentato da rami secchi d'agrifoglio che ha la caratteristica di bruciare senza fare fumo. A fine cottura si aggiungevano le mandorle pelate e tostate, o altra frutta secca,e si versava il tutto in apposite cassette di legno ricoperte di carta oleata e ostie. Dopo il raffreddamento, il torrone era pronto per essere tagliato e servito.

 
 



Un'isola un continente - La Storia del Torrone.

Un'isola un continente - La Storia del Torrone. 
(fonte: Sardiniapoint)

la storia del torrone: l'origine e il nome

Quando e dove è nato il torrone? La sua origine è avvolta nel mistero. Cercando di risalire il corso della storia si arriva addirittura in Cina: pare che il torrone sia nato qui, luogo dal quale proviene storicamente la mandorla.
Sarebbero stati gli arabi a portarlo nel bacino del Mediterraneo, in Sicilia, in Spagna, e a Cremona, strategico porto fluviale sul Po. Il torrone sarebbe quindi una variazione della famosa "cubbaita" o "giuggiolena", dolce arabo fatto di miele e sesamo. "Turròn" è un termine spagnolo alquanto discusso e secondo le tesi degli studiosi iberici il torrone sarebbe ad ogni modo di derivazione araba. L'inizio della produzione di torroni tradizionali in Spagna si fa risalire al XVI secolo.
In Italia, tra il 1100 e il 1150, Gherardo Cremonese tradusse il "De medicinis e cibis semplicibus", scritto dal medico di Cordova Abdul Mutarrif. Vi si esaltavano le virtù del miele e veniva citato un dolce arabo: il " turun". A Cremona, i rivenditori sostengono comunque che il torrone nacque lì, nel 1441, durante il banchetto nuziale di Bianca Maria Visconti e di Francesco Sforza, quando venne confezionato in forma di Torrazzo (l'alta torre campanaria del duomo della città), da cui avrebbe preso il nome.
Secondo un'altra tradizione infine, furono gli antichi Romani a tramandarci la ricetta di questa ghiottoneria. Nel 116 circa a.C., Marco Terenzio Marrone il Reatino citava il gustoso "Cuppedo": "Cupeto" è ancora oggi il nome del torrone in molte zone dell'Italia Meridionale.
Anche l'etimologia del nome "torrone" ci porta dallo spagnolo turròn = abbrustolito (derivato di turrar = arrostire), al latino torrere = tostare.

sabato 9 settembre 2017

Dopo i napoletani due lunghe righe di donne di Tonara, rivenditrici di turrones (mandorlato fatto col miele) – povere vittime, in tutte le feste della Sardegna.. (Antonio Ballero) 1871


così Antonio Ballero Sul numero 17 del periodico Vita Sarda  in un servizio da Nuoro, datato maggio 1891,  ci rilascia queste significative istantanee della fiera di San Mauro di Sorgono:

Intorno alla chiesa, fabbricate contro il muro di cinta, erano le tettoie per i negozianti di telerie, seterie e chincaglierie accorsi alla festa. [...] In un angolo, sotto la tettoia, gli immancabili Aritzesi rivenditori di limonata gelata, (carapinna) [...] Più in là i chincaglieri girovaghi napoletani [...] Dopo i napoletani due lunghe righe di donne di Tonara, rivenditrici di turrones (mandorlato fatto col miele) – povere vittime, in tutte le feste della Sardegna, degli scherzi osceni degli ubbriachi, condannate a stare giorno e notte sempre sul chi vive, accanto al loro tavolino sciancato senza prendere un’ora di sonno, un minuto di riposo, pallide, sparute, bruciacchiate dal sole. [...] Qua e là le tende dei venditori di dolci che non accudivano ad accartocciare biscotti e confetture. Ad ogni passo un Gavoese che assordava i passanti col tintinnio dei campanacci delle greggi, imponendo a tutti gli speroni lucidi ed i morsi eterni delle rinomate fabbriche di Gavoi. [...] Colà avevano piantato le tende gli Isilesi, che con le centinaja di pajuoli che avevano portato per vendere, si avevano costruito una specie di cittadella. [...]


così Antonio Ballero Sul numero 17 del periodico Vita Sarda  in un servizio da Nuoro, datato maggio 1891,  ci rilascia queste significative istantanee della fiera di San Mauro di Sorgono.

mercoledì 28 novembre 2012

la prima apparizione pubblica del torrone in Sardegna.


 la prima apparizione pubblica del torrone in Sardegna.

Una precisazione di carattere storico per quanto riguarda la prima apparizione pubblica del torrone in Sardegna. Si tratta di una nota documentata, depositata presso l’archivio di Stato di Cagliari, che accreditiamo al ricercatore Vincenzo Spiga di Quartu e della quale riporto in coda qualche passaggio della versione originale. (2)
   In essa si riferisce che le partite di torrone confezionate dal sassarese Pietro Sanna nel rioneVillanova di Cagliari, su richiesta del farmacista cagliaritano Battista Sollai, sono di tipo bianco e nero (cuytures de torrons blanchs y negres) e che le neules richiamate nel contratto relativo a detta produzione non possono essere che le cialde, formato biscotto, che fungono da cartoccio. Era il 1614.
   Il prodotto, che è di derivazione araba, veniva presentato ieri come oggi con gli stessi ingredienti e con lo stesso tipo di lavorazione. E sono passati più di quattrocento anni.

Masullas. Breve visita in Via dei Cappuccini. di Nino Mura - con note sulla produzione del torrone a Villanova (Cagliari)


Masullas.
Breve visita in Via dei Cappuccini.
   Per raggiungere Masullas, partendo da Oristano, occorre immettersi sulla superstrada per Cagliari e svoltare al bivio per Uras. Dopo qualche tornante in salita è possibile monitorare sul territorio tantissimi centri abitati che fanno capo a piccole comunità con numeri che vanno dal centinaio, come Baradili, al migliaio di anime.
   Fanno eccezione i borghi dalla vasta estensione edificatoria e demografica che ci appaiono in prossimità di un bivio e che rispondono ai nomi di Mogoro, sulla destra, alla distanza di circa un chilometro, e Masullas, alla nostra sinistra, a pari percorrenza. Questo ultimo centro, tappa del nostro itinerario, è riconoscibile per il suo campanile che svetta verso l’alto in maniera imponente e decisa.
   Il paese si estende dal basso verso l’alto con pendenze accettabilissime per il traffico pedonale ed automobilistico e con tracciati che aggirano a tenaglia l’intero contesto urbano. Le vie d’accesso e di attraversamento dell’abitato si sviluppano su ampie corsie e su larghi marciapiedi che vanno ad accogliere, specie nelle zone ombreggiate, delle comode panchine. L’intero asse viario è fiancheggiato dalle recinzioni delle abitazioni private. E’ una bella cartolina per il turista di passaggio ma anche un motivo di orgoglio per i residenti.
   Come ti avventuri nel centro storico la sede stradale si restringe alquanto per lasciare posto ad una mezzeria in basalto, espressa con disegni diritti e paralleli, e ad un acciottolato di sampietrini ben cementati e sedimentati sul parterre.
   La tipologia dei nuovi insediamenti convive armonicamente con quella dei vecchi schemi del passato. Ciò che colpisce è la lunga serie di portali che, tanto in profondità, lungo l’asse viario, quanto lateralmente, nel superamento dei vari vicoli, sbucano all’improvviso per consegnarsi alla curiosità del visitatore o per congedarsi con la loro immobilità alla frenesia del tempo che passa. Spesso le semilune, che sottendono questi ampi portoni, specie quelle prive di malta a vista, evidenziano il giusto inarcamento delle pietre che si susseguono dalle mensole di appoggio sino alla chiave di volta incuneata nell’architrave. Le ante di questi antichi portali sono aperte quel tanto che basta al visitatore per farsi un’idea degli ampi cortili e degli strumenti di lavoro vecchi e nuovi al servizio dell’agricoltura. In questa prima domenica di novembre, giorno quattro per l’esattezza, a Masullas si festeggia la sagra delle melagrane. La presentazione del caratteristico frutto di fine stagione è solo un pretesto per portare a conoscenza dei visitatori le tante curiosità che si possono cogliere in detto centro. Qualcosa di simile avviene nelle cortes apertas barbaricine.
   Per saperne di più è necessario chiedere informazioni a qualcuno. Bisogna salire in alto.Questa la risposta. Ogni tanto delle transenne impediscono al traffico automobilistico di creare intralci alla circolazione. I pedoni sono i veri padroni della strada. Un vigile urbano è impegnato a consigliare i percorsi più vantaggiosi per raggiungere il cuore della sagra.
   Sono le cinque del pomeriggio e le radio trasmettono a volume elevato i risultati sportivi della domenica calcistica.
   Il cielo sa di molte nuvole ma la pioggia si farà attendere. In cambio fa caldo. Alcuni sono in maniche di camicia. Quando arrivo sulla sommità della collina noto le prime bancarelle ma in giro c’è poca gente.
   All’estremo limite della carreggiata un torronaio prepara il caratteristico dolce. Occupa uno spazio non superiore al metro quadro. Dall’intervista che mi concede capisco che la leccornia che sta preparando verrà offerta in omaggio ai passanti. Chi vuol favorire piccoli acquisti può fare riferimento alla pubblicità evidenziata sulla singolare attrezzatura da campo. A dire il vero per poter avviare la discussione mi devo mettere di traverso. Sembra uno sportellista di un’agenzia d’affari. E’ in posizione eretta. Si vede soltanto parte del busto. Di fronte a lui è sistemato un recipiente di rame della capacità di una ventina di litri nel quale il nostro artigiano lavora l’impasto dei vari ingredienti servendosi di un mestolo lungo una cinquantina di centimetri. Il miele è la materia fondamentale. E che miele! Provate ad assaggiare quello diAles, centro della Marmilla a pochi chilometri da Masullas. Nei concorsi a livello nazionale riceve sempre ambiti riconoscimenti.
   Ripasserò più tardi, quando il torrone sarà pronto per la distribuzione.
   Preciso di trovarmi a pochi passi dall’ex convento dei cappuccini. Vedo chiaramente in alto il piccolo campanile a vela e di lato la struttura del monastero.
   Sulla destra, di fronte al sagrato, poche bancarelle. Sono le prime di una nutrita serie che terminerà più avanti lungo la discesa che porta al cuore dell’abitato.
   Le prime due rivendite ambulanti propongono nell’ordine funghi da coltivare in giardino e giocattoli e ninnoli per la casa. Entrambe colpiscono l’attenzione dei passanti per l’originalità dei prodotti esposti. Nel secondo punto vendita la normalissima pigna silvestre si presta benissimo ad essere presentata nei panni di uno struzzo. In passato, nei mercatini rionali di mezza Sardegna, aveva sfoggiato nelle vesti di un nuraghe. Nel futuro è disponibile a trasformarsi, seguendo l’estro dell’ebanista di turno, nelle sembianze di chissà quale oggetto o animale.
   L’invito di mia moglie a trasportare al punto macchina una consistente zolla di funghi coltivati mi distrae dal proposito di fare una capatina all’ex convento.
   Nell’affrontare la lunga discesa che mi porta a destinazione faccio quasi fatica, a causa dell’ingombrante fardello, a destreggiarmi tra i passanti che numerosi sembrano aggredire gli stand assembrati ai bordi della strada. Alcuni, incuriositi dal mio singolare bagaglio, commentano divertiti. Forse vorrebbero chiedermi come, dove e perché ma, a causa della ressa, lasciano perdere. Mi inorgoglisce comunque il fatto che possa indirettamente veicolare un po’ di pubblicità.
   In prossimità del posteggio provvisorio, situato nei pressi del bar antistante alla chiesa parrocchiale, vi è chi nel punto d’ingresso alla sua residenza, una costruzione del passato con tanto di cortile e di spazi riservati alle attività agricole, espone sopra un tavolino diversi campioni di vino. Mi viene offerta la possibilità per un assaggio ma mi vedo costretto a rifiutare tale atto di cortesia. Non bevo da moltissimi anni. La padrona di casa non insiste e gentilmente mi chiede dei singolari vegetali. Io riferisco solamente quanto mi è stato riferito dal commerciante di miceti. Relata refero. D’altro non so.
   Intanto le prime tenebre della notte cominciano a delinearsi a grandi passi ma la luce del giorno non mi impedisce di fare una lettura di ciò che mi circonda. Di fronte il lungo campanile e la singolare facciata della chiesa con il suo caratteristico frontone a trapezio sembrano proiettare un insolito silenzio sul bellissimo sagrato, a quest’ora orfano di presenze umane. Il portone è sprangato e la possibilità di fare una visita agli interni del tempio sfuma. Sarà per un’altra volta.
   Anche all’interno del bar ci sono pochi avventori. La gente ormai è tutta lassù. Come mi accingo a risalire la china verso l’alto noto che la improvvisata commerciante di vini ha chiuso dietro di sé le ante del portale che si eleva verso l’alto a tutto tondo. Avrei voluto dare una sbirciatina più attenta agli interni del porticato. Peccato, sa corte est serrada. Restano aperte ancora quelle del percorso che porta lungo la Via dei Cappuccini. Nella risalita cerco di immagazzinare nella mia memoria il maggior numero di immagini ben sapendo che, per soddisfare a pieno la mia curiosità, dovrei disporre di maggior tempo. Ma come si fa.
   Sulla destra un vasto campionario di lampadari ed abat-jour, disposto a cascata su un piano a dir poco traballante, sembra sfidare le leggi della statica. Il tutto è affidato alle attenzioni di un omone di origine africana che in buon italiano cerca di avviare le trattative di vendita dei suoi articoli. Chissà il tempo che avrà impiegato a dare una certa presentabilità alla sua merce.
   Appena qualche metro in avanti una coppia di rivenditori di castagne, noci e nocciole si dà un gran da fare per soddisfare i clienti. In particolare l’uomo gestisce l’articolo delle caldarroste, servendosi di particolari attrezzature, mentre la donna tratta unicamente la frutta secca con misure di diverse capacità. Distinguo l’imbuto da cinque litri, il litro ed il mezzo litro. Mi riferiscono che si servono anche del contenitore cilindrico da 3 litri e settantacinque.
   Dal parterre in cui sosta il loro automezzo compare e scompare ogni tanto un cagnolino dal manto nero violaceo che non si stanca un attimo di farsi coccolare dalla padrona. Fa fatica comunque a tenersi in piedi.
   A proposito di prezzi riferisco che per mezzolitro di castagne arrosto bisogna sborsare tre euro. Ricordo che a Tonara, intorno agli anni cinquanta, detto articolo si aggirava sulle mille lire allo starello, il modium da cinquanta litri o da 100 misure da mezzo litro. In termini monetari un litro di castagne crude veniva offerto dai produttori tonaresi al prezzo di venti lire, l’equivalente di un centesimo di euro. Fate i vostri raffronti. Problemi inflattivi naturalmente. Non so di queste cose che fanno impazzire i mercati nei periodi di oscillazione della moneta. Eppure nel seicento, settecento ed ottocento c’era maggiore stabilità monetaria.
   Le bucce delle caldarroste dovrebbero essere riposte con cura nei cartocci consegnati dai rivenditori ma, a quanto vedo, ognuno provvede come meglio crede. Più avanti nei vari stand sono presentati gli amaretti, i caratteristici dolci a base di mandorle amare, ed altre leccornie. Per chi vuole favorire l’acquisto di vini, liquori e sciroppi non ha che da scegliere fra le diverse qualità e gradazioni.
   E finalmente i punti di rivendita delle melagrane fanno la loro apparizione con la messa in mostra dell’articolo principe della manifestazione. Questi frutti, serviti a peso e consegnati al cliente in capienti buste, variano nel numero da venti a trenta unità. Non vedo nessuno impegnato a sfilare dal prezioso carico qualche bacca da sgranare. Cercherà di rifarsi una volta rientrato a casa. Lungo strada il calpestio dei passanti è cadenzato unicamente dalle bucce della frutta secca. Sono i resti della differenziata.
   Nel panorama umano di Via dei Cappuccini non vedo né bambini né adolescenti. Ormai stanno diventando merce rara dappertutto. Con tutte le ghiottonerie che la sagra pone in evidenza, i grandi sembrano emulare i bambini. Dentature e dentiere sono ora in piena fase di riscaldamento. E non siamo ancora arrivati ai torroni!
   Intanto giungono da qualche parte le note del ballo sardo. Quando raggiungo il sagrato del vecchio monastero mi accorgo che alcuni orchestrali stanno provando gli strumenti che li terranno impegnati per tutta la serata. Uno è addetto al piano, uno alle launeddas ed un altro allo scacciapensieri. In alcune pause vi è tra di essi chi canta affidandosi unicamente alla sua ugola mentre qualche coppia non disdegna di abbandonarsi al ballo. In questa anteprima di prove, di accordi e di primi volteggi dei cavalieri approfitto per una ispezione all’ex convento.
   Qualche settimana fa ho visitato il monastero di San Pietro di Sorres. Posso dire che ne è valsa la pena. Nella mia giornata di ritiro sono rimasto impressionato favorevolmente dalla liturgia delle ore. Sono queste ultime che in continuazione scandiscono, momento per momento, preghiere, canti e silenzi meditativi. (1)
   Qui non ci sono monaci. Mancano dal 1867, anno in cui si è provveduto allo scioglimento di detti ordini religiosi. Della famiglia conventuale di Masullas, consorzio spirituale sorto nel 1646, e delle vicissitudini nel tempo fa riferimento Giovanni Secchi in Cronistoria dei frati minori cappuccini di Sardegna, opera edita dalla Curia provinciale di Cagliari nel 1997. Di detta pubblicazione, di cui l’autore mi ha fatto dono tempo addietro, presento in coda i passaggi più importanti della storia cappuccina masullese.
   Nessun riferimento storico da parte dell’abate Vittorio Angius alla voce Masullas dell’enciclopedia del Casalis, opera edita nella prima metà dell’Ottocento. Il monastero è presentato con il termine di conventino, il diminutivo di convento.
   La chiesa composta di una sola navata e di alcune cappelle sul lato destro ha molte rassomiglianze con quella cappuccina di Oristano.
   Il chiostro, raggiungibile dall’esterno dopo pochi metri, è fiancheggiato per buona parte da un breve andito coperto che, sulla sinistra, indirizza verso la libreria e, sulla destra, verso piccoli scomparti che nella parte terminale inquadrano una scala che conduce al piano superiore.
   Al centro fa bella mostra di sé un pozzo ricoperto da una intelaiatura in ferro. Tutt’intorno si elevano verticalmente le pareti interne della struttura eccezione fatta per un muro portante del tempio che va a raggiungere la base con due vistosi contrafforti. In uno di questi, ad altezza di circa tre metri, è segnalato un collettore di acqua piovana formato da tegole contrapposte, che va ad alimentare, attraverso una canaletta segnata sul pavimento, la cisterna sottostante all’impianto idrico.
   La visita non dura più di dieci minuti, il tempo necessario per farmi un’idea degli spazi riservati ai cappuccini del passato.
   In uscita dal monastero mi ritrovo nuovamente sul sagrato dove i ballerini, impegnati in alcune varianti del ballo sardo, sono circa una quarantina. Molti gli spettatori che rubano spazio ai volteggi di questa ventina di coppie. Noto che una signora di età matura, accaldata dai continui passi di danza eseguiti con frequenti rallentamenti e rapide rincorse, non ci pensa due volte a liberarsi della giacca, adagiarla quasi ai miei piedi e raggiungere dopo il proprio cavaliere. Vicino a me, addossato sul portone d’ingresso del monastero, un turista di passaggio orienta un piccolo oggetto tecnologico, delle dimensioni di un pacchetto di sigarette, verso l’orchestra per memorizzare della buona musica.
   Trenta metri più avanti, il torronaio sta iniziando a distribuire il dolce che ha appena confezionato. Non appena gli chiedo se mi può favorire, prontamente riversa una cucchiaiata di mandorlato su di una salvietta di ostia commestibile e me la porge. La cortesia usata dal rivenditore nei miei riguardi non sfugge ai numerosi avventori in attesa di essere serviti. Ho agito comunque in buona fede. Chiedo scusa comunque attraverso queste righe per il mio sgarbo nei loro confronti.
 la prima apparizione pubblica del torrone in Sardegna
  
 Una precisazione di carattere storico per quanto riguarda la prima apparizione pubblica del torrone in Sardegna. Si tratta di una nota documentata, depositata presso l’archivio di Stato di Cagliari, che accreditiamo al ricercatore Vincenzo Spiga di Quartu e della quale riporto in coda qualche passaggio della versione originale. (2)
   In essa si riferisce che le partite di torrone confezionate dal sassarese Pietro Sanna nel rioneVillanova di Cagliari, su richiesta del farmacista cagliaritano Battista Sollai, sono di tipo bianco e nero (cuytures de torrons blanchs y negres) e che le neules richiamate nel contratto relativo a detta produzione non possono essere che le cialde, formato biscotto, che fungono da cartoccio. Era il 1614.
   Il prodotto, che è di derivazione araba, veniva presentato ieri come oggi con gli stessi ingredienti e con lo stesso tipo di lavorazione. E sono passati più di quattrocento anni.
   La mia visita a Masullas sta per giungere al termine. Come ripercorro la strada che mi porterà sul sagrato della chiesa parrocchiale rivedo la signora che mi aveva offerto un assaggio di buon vino. La riconosco benissimo, nonostante adesso indossi una vistosa giacca rossa. Si sta dirigendo verso la bancarella dei funghi.
   Sulla via del ritorno per Oristano, Masullas e la sua sagra ripropongono ancora nitidamente nella mia memoria le immagini offerte dalle tante bancarelle illuminate dalla luce flebile delle lampadine, dallo struscio dei passanti sulla via principale, dai passi di danza dei ballerini sul piazzale dell’ex convento, dall’attesa composta degli avventori di fronte alle varie rivendite, dalle varie figure di operatori impegnati a soddisfare l’esigente clientela, dai vari punti di fuga definiti dai portali con gli archi a semiluna e dagli acciottolati in basalto che inseguono i tracciati in granito della mezzeria. Una sagra di tutto rispetto cui fa da contorno ed a pieno titolo il severo monastero del passato.




Brevi note sulla storia del monastero

   Dalla relazione del 12 aprile del 1765 sulla Venuta, e Progressi de’ Cappuccini in Sardegna. Fondazione di Conventi e divisione della provincia, la cui trascrizione è riportata da Giovanni Secchi a pag. 375 e seguenti del Vol. II della Seconda parte della sua Cronistoria (3), apprendiamo che:
a)      l’ordine dei Cappuccini viene introdotto in Sardegna nel 1591 sotto il Pontificato di Innocenzo IX ed il Regno di Spagna di Filippo II
b)      a capo dell’unica provincia sarda è preposto un solo ministro provinciale che sovrintende alle custodie di Cagliari e di Sassari. Detta figura, definita anche padre provinciale o Provinciale, si avvale di quattro definitori, di due custodi, di due maestri dei novizi, dei lettori, dei fabbricieri e dei guardiani dei singoli conventi. Tutte le figure citate formano il Capitolo, organo che nella norma va rinnovato ogni anno. Grande responsabilità si riversa sulla figura del guardiano del convento, alias il Padre Guardiano, al quale si affianca la collaborazione dei sacerdoti, dei fratelli laici e dei novizi.
c)      l’isola sarà rappresentata da una sola provincia sino al 1697, anno in cui l’intero territorio sarà suddiviso nelle province di Cagliari e Sassari con l’assegnazione di nuovi Capitoli e Custodie. Il documento citato, contrassegnato nella cronistoria del Secchi con il numero 202, è riportato, come già riferito, a pag.375 e seguenti.
d)      Il convento di Masullas viene fondato nel 1646.
   Per quanto riguarda la vita del convento di Masullas dobbiamo affidarci alle notizie riportate dal Secchi negli annali della sua Cronistoria.
   Anno 1673.
   In tale anno il Definitorio, riunitosi nel Capitolo di Oristano, dispone delle particolari provvidenze per i conventi di Masullas, Sanluri, Barumini, Nurri, Bolotana, Ploaghe, Bitti, Sorso, Sassari, Bosa e Nulvi. Si tratta di problemi inerenti la questua, la costruzione o manutenzione di locali, la recinzione di orti, la realizzazione o il riassetto di servizi igienici. Così il Secchi, a pag. 119 della Prima Parte della sua Cronistoria, nella rielaborazione dei dati raccolti.
   Anno 1693
   Nel convento di Masullas, di notte, cosa mai vista nella nostra Provincia, è stato picchiato a sangue il Guardiano P(adre) Mariano da Sadali. Ancora non si conosce l’autore del fatto, sul quale indagherà il Custode di Cagliari P(adre) Cherubino da Arzana. Si sospetta una qualche congiura della famiglia di quel convento. Il Definitorio rimuove dal convento tutti i religiosi e li manda qua e là, affinche il Provinciale possa agire liberamenteCosì nel commento del Secchi a pagina 170 della Prima Parte della Cronistoria.
   Anno 1694
   Durante la celebrazione del Capitolo in svolgimento ad Oristano, il Definitorio impartisce ordini per la realizzazione di una libreria nel convento di Masullas. Vedi pag. 173 della Prima Parte della Cronistoria.
   Anno 1701
   Nel giorno 30 di dicembre, il padre provinciale Girolamo da Iglesias dà disposizioni per la elezione del nuovo Capitolo che si celebrerà a Masullas. Per l’occasione il Definitorio dispone che nel convento di Masullas siano costruite le abitazioni per i terziari, secondo il parere dei fabbricieri, con osservanza della povertà e a tenore delle costituzioni. Vedi pag.17 del Vol. I della Seconda Parte della Cronistoria. In tale anno Girolamo da Iglesias è confermato per la provincia di Cagliari nelle vesti di Padre Provinciale.
   Dalla tavola capitolare degli eletti risulta che i definitori sono Serafino da Sorradile, Bonaventura da Barumini, Giuseppe da Nuraminis e Bernardo da Sorgono, mentre i fabbricieri rispondono ai nomi di Serafino da Sorradile, Giuseppe da Nuraminis, Francesco da Morgongiori e Lorenzo da Sanluri. Francesco da Meana funge da padre Guardiano del convento di Masullas. La lista completa degli altri religiosi è definita a pag. 16 della citata Cronistoria.
   Anno 1707
   Il Definitorio, riunitosi nel Convento Maggiore di Cagliari, dispone, nella tornata del 14 gennaio, che nel convento di Masullas sia riattata la libreria in quanto i libri stanno subendo danni notevoli. E’ precisato nella rielaborazione del materiale raccolto dal Secchi, che la scala che immette nel dormitorio semplice sia fatta a volta, e sopra la volta più bassa a principio della scala sia ampliata la stanza dove si trovano i libri. Vedi pag. 35 del Vol. I della Seconda Parte della Cronistoria.
   Anno 1708
   Durante la celebrazione del Capitolo intermedio del 20 gennaio, riunitosi a Cagliari nel convento maggiore, vengono decretate diverse provvidenze. Per il convento di Masullas si dispone l’ampliamento della cucina, che è troppo ristretta, giungendo fino all’angolo delle secrete [si tratta dei servizi igienici, avverte il Secchi] dal lato del caminetto; il caminetto sarà spostato nel punto indicato dal disegno.
   Si faranno anche tre stanze per i donati: una per farvi il fuoco e due per abitazione. Inoltre si ricaverà una piazzetta con un loggiato per i cavalli, dal lato della cucina; la piazzetta avrà, per un lato, la misura delle tre stanze costruende, e dall’altro, una ventina di palmi, con una finestrella aperta sulla parete. Vedi pag. 39 del Vol. I della Seconda Parte di Cronistoria.
   Nella pagina successiva si segnala una nuova provvidenza che preferisco riportare ancora nella sua interezza, secondo il commento di Giovanni Secchi. Questo ad evitare che il contenuto delle fonti da cui l’autore ha attinto le notizie possa subire da parte mia una diversa interpretazione.
   Nuovo intervento dei Superiori della Provincia a favore del convento di Masullas, dove si avvertono varie necessità: di un ambiente per i libri e di celle per i religiosi. Sarà pertanto costruito un nuovo dormitorio semplice sopra le foresterie e la porteria, appoggiato al muro della chiesa; una delle stanze sopraelevate, dell’ampiezza di quindici palmi quadrati, servirà come libreria; seguiranno, nell’ordine, altre quattro stanze: una da dodici palmi quadri, una di nove palmi, una di dieci ed altra di nove. La copertura del nuovo fabbricato sarà quella indicata nel disegno.
   Il guardiano del convento, in tale anno, è Padre Angelo Maria da Cagliari.
   Anno 1710
   Il Definitorio, accogliendo un’istanza presentata da un certo Dottor Campus di Masullas, dispone che gli venga ceduto un libro di medicina esistente nel convento del luogo, intitolato Giorgio Bertini Campani Medicina, che in quella libreria non ci fa niente. Il Campus, in compenso, darà un corrispettivo, che il Guardiano di Masullas rimetterà al Convento di Cagliari: qui sarà acquistato altro libro per la libreria di Masullas. Vedi pag. 45 del Vol. I della Seconda Parte della Cronistoria.
   A partire da quest’anno entrerà in campo una nuova figura conventuale che affiancherà l’opera del Guardiano, in sua assenza. Sarà nominata dal Definitorio ed assumerà il titolo di Vicario. Vedi pag. 45 del Vol. I della Seconda Parte della Cronistoria.
   Anno 1713
   Per la riparazione del muro di cinta del convento di Masullas, che va in rovina, quel Guardiano, che è il P. Filippo d’Assemini, chiede e ottiene dal Definitorio la licenza di effettuare una questua di grano, non disponendo il convento dei mezzi di provvedervi. Vedi pag. 57 della Cronistoria.
   Anno 1717
   In data sette maggio, il Capitolo viene celebrato in Masullas. Sarà eletto Guardiano Padre Giovanni Battista da Ussaramanna. Vedi pag. 67 della Cronistoria.
   Anno 1745
   Il Capitolo viene indetto a Masullas sotto la presidenza di Giuseppe da Masullas. Il nativo del luogo sarà riconfermato Padre Provinciale. Ignazio da Samugheo fungerà da Padre guardiano del convento. Vedi pag.169 della Cronistoria.
   Anno 1766
   Da un documento trasmesso al Governo di Torino dal Viceré di Sardegna con dispaccio del 28 maggio di tale anno risulta che i religiosi presenti a Masullas sono 10 di cui 6 sacerdoti e 4 fratelli laici. I 150 cappuccini della provincia di Cagliari sono distribuiti in 10 conventi ed un ospizio. Dalla tabella presentata a pag. 338 della Cronistoria del Secchi si evidenzia che i sacerdoti sono 69, i sacerdoti studenti 5, i coristi 7, i coristi studenti 7 ed i fratelli laici 62. Tra questi ultimi è segnalato, nel convento cagliaritano di Sant’Antonio, fra Ignazio Peis da Laconi, ossia sant’Ignazio. E’ questa una precisazione dell’autore.
   Anno 1804
   Dalle informazioni trasmesse da Padre Ignazio Maria da Bologna, nelle vesti di Commissario e Visitatore generale, alla Regia Segreteria di Stato, su richiesta del Viceré, risulta che nel convento di Masullas operano 10 unità di cui 4 sono sacerdoti, 3 laici e 3 terziari. In tutta la provincia di Cagliari i religiosi, distribuiti in 10 conventi, sono 158 di cui 59 sacerdoti, 4 chierici studenti, 1 chierico, 59 laici, 4 novizi e 31 terziari. Grande, a quanto ne consta al Commissario, è la miseria dei conventi. Vedi pag.458 e seguenti della Cronistoria.
   Anno 1842
   Dallo “Stato attuale de’ Conventi e Religiosi sì Professi che Novizi componenti la Provincia de’ Cappuccini di Cagliari”, documento redatto nel mese di dicembre del 1942, risulta che la famiglia conventuale di Masullas è composta da sette unità di cui 4 predicatori, rappresentati dai Padri Giovanni da Cagliari, Giuseppe Luigi da Villasor, Ambrogio da Gonnesa e Didaco da Cagliari, e 3 laici, impersonati dai frati Antioco Da Pauli Pirri, Antonio Maria da Sant’Antonio e Biagio da Villasor.
   L’intera comunità dei cappuccini della provincia cagliaritana è regolata da 118 religiosi cosi distribuiti: 46 nel convento di sant’Antonio di Cagliari, 11 in quello di San Benedetto, 7 a Masullas, 11 a Quartu, 7 a Nurri, 14 a Villasor, 6 ad Oristano, 9 ad Iglesias e 7 a Sanluri. La statistica completa dei vari quadri è riprodotta dal Secchi alle pagine 967, 968 e 969 della sua Cronistoria.
   Anno 1859
   I componenti della famiglia conventuale di Masullas, segnalati in tale anno, sono R(everendo) P(adre) Alberto da Cagliari nelle funzioni di Guardiano, Padre Ignazio di Aritzo nelle vesti di Vicario, Padre Placido da Iglesias ed i fratelli laici Salvatore da Samassi e Benedetto da Senorbì.
   Per la consultazione dei restanti quadri delle varie famiglie conventuali di tale anno si rimanda allo “Stato Demonstrativo (sic!) dei Conventi componenti la Provincia dei Cappuccini di Cagliari   “. Vedere pagine 970, 971 e 972 della Cronistoria.
   Anno 1861
   Dallo “Stato demonstrativo della Provincia di Cagliari” risulta che nel convento di Masullas sono presenti il Reverendo Padre Fedele da Nurri, (Guardiano), il Padre. Ignazio di Aritzo (Vicario) ed i fratelli laici Benedetto da Senorbì e Salvatore da Samassi. Gli incaricati alle questue sono in numero di quattro. In tutto 8 religiosi.
   Anno 1867
   Si concludecon l’anno 1867, precisa il Secchi a pag 780 del Volume primo della Seconda parte della sua Cronistoria, il periodo di storia considerato per la Cappuccina Provincia di Cagliari (1697-1867), giacché in questo anno la Provincia, benché continui nella sua giuridica esistenza come circoscrizione dell’Ordine e secondo l’ordinamento interno di questo, cessa, tuttavia, dall’avere esistenza nel foro dello Stato per effetto delle leggi di soppressione delle Corporazioni Religiose.
Questionario del 1765
Risposte date dal Guardiano del convento di 
Masullas
   In vista di una riduzione del numero dei conventi e dei propri affiliati, proposta dal conte Bogino, primo ministro del Re di Sardegna, fu disposta nel 1765 da Padre Gian Michele da Marene un’indagine conoscitiva sulla realtà cappuccina sarda. Vedere da pagina 788 del Vol I della Seconda Parte della Cronistoria.
   Per la compilazione del questionario, rivolto a tutte le famiglie conventuali ed articolato in diversi quesiti, fu offerta la possibilità di rispondere in lingua latina o spagnola.
   Qui di seguito le risposte date dal frate Clemente da Cagliari, nelle vesti di Guardiano del convento di Masullas.
   Risposta alla prima domanda
   La questua settimanale di pane e vino presso il centro di Masullas può soddisfare a mala pena i bisogni di tre religiosi.
   Risposta alla seconda domanda
   Oltre al centro di Masullas vengono visitati, per la questua settimanale del pane, quelli di Mogoro, Gonnostramatza, Gonnoscodina, Baressa, Simala, Curcuris, Ales, Morgongiori, Pompu e Siris.
   Risposta alla terza domanda
   La questua relativa a tale ultimo articolo può essere sufficiente al sostentamento di 10 o 12 religiosi.
   Risposta alla quarta domanda
   La questua annuale del grano interessa i villaggi di Masullas, Mogoro, Uras, Terralba, Arcidano, Gonnostramatza, Gonnoscodina, Baressa, Siris, Morgongiori, Pompu, Simala, Curcuris, Ales, Bagnai, Pau, Usellus, Ollastra di Usellus, Escovedu, Senis, Nureci, Ruinas e Asuni. Tempo addietro figuravano, per la raccolta del grano e dei legumi, anche i centri di Gonnos, Guspini ed Arbus, in quibus ex quo emanavit decretum in contrarium non colligitur triticum neque legumina, ma dette frequentazioni furono revocate da un decreto del ministro provinciale.
   Il quantitativo raccolto va da un minimo di 12 ad un massimo di 15 starelli.
   Non si ha memoria, da parte dei religiosi più anziani del convento, del periodo in cui ebbero inizio dette questue quoad vero tempus a quo incaeperit haec quaestuatio, quaesivi Religiosos maturae aetatis, et dicunt non habere memoriam, quod unquam sint audituri ex quo incaeperit.
   Risposta alla settima domanda
   Per la pietanza della carne si usa fare l’annuale questua degli agnelli mentre per quella del pesce, quando è insufficiente, si ricorre alle elemosine dei legati.
   La raccolta dei legumi non è mai superiore al necessario.
   Risposta alla decima domanda
   Le spese per il vestiario e per la farmacia sono rispettivamente di diciotto e di quattro scudi.
   Ad onor del vero la domanda era così espressa Quales annuae expensae sunt necessariae pro vestuario, pro apoticha, et valetudinario, ac aliis necessariis provisionibus? (4)
   Risposta alla undicesima domanda
   A tutte le altre spese si supplisce con le elemosine derivanti dai legati Has omnes expensas suplere possunt ex annua elemosina pro legatis.

Note
(1)   Il mio reportage, titolato Un giorno da conventuale è riportato nel blog Pratza manna.
(2)   Pere San(n)a y Satta na(tura)l dela ciutat de Sasser al p(rese)nt en lo appen(di)s de V(ill)a N(ov)a de Caller de p(rese)nt trobat ab tenor del p(rese)nt promet y se obliga @ Bap(tis)ta Sollay apotecari y abit(ant) en dit appen(di)s de V(ill)a N(ov)a p(rese)nt & que dende despues dema que comptarem nou del p(rese)nt y corrent inf(rasc)rit mes de x(m)bre cascun die jornyalier y no festivo ajudarà al dit Sollay, a fer totes les cuytures de torrons blanchs y negres que dit Sollai volra fer fins al die dela vigilia dela S(antissi)ma P(asqu)a de Nat(ivita)t de n(ostr)e Señor Deu Jesu Xrist y axibe a fer totes les neules que dit Sollay en dit temps volra fer [   ]. E’ il 7 dicembre del 1614.
   Per un approfondimento specifico sulla storia del torrone in Sardegna, rimando al mio reportage dal titolo Da Tonara a Samarcanda sulla via del torrone e della seta sul sito Pratza manna.
(3)   Cronistoria dei Frati minori Cappuccini di Sardegna. Opera edita da Curia provinciale Frati minori Cappuccini di Sardegna-Cagliari-1997.
(4)   I problemi relativi al vestiario, alla incetta della lana ed alla sua lavorazione nella gualchiera di Domusnovas da parte dei cappuccini, di cui il visitatore generale è a conoscenza, sono di difficile soluzione. Le pezze d’orbace sono lavorate male ed il prodotto non soddisfa le attese dei religiosi i quali, spesso, contravvenendo alla regola, provvedono ad acquistare i panni altrove. Per saperne di più si rimanda alla relazione di Gian Michele da Marene, ampiamente commentata dal Secchi nella sua Cronistoria.
   In un mio servizio dal titolo Gavoi. Orbace, Gualchiere, tzillonargios, presentato nel blog Pratza manna, si accenna brevemente ai problemi di vestiario dei conventuali sardi.

sabato 4 febbraio 2012

LA CONTROVERSA STORIA DEL TORRONE


FONTE:http://www.gustosamente.com/article/la-controversa-storia-del-torrone GUSTOSAMENTE.

LA CONTROVERSA STORIA DEL TORRONE

È sempre difficile stabilire data e luogo di nascita, ad esempio, di un dolce perché quello che conosciamo è sempre frutto di secoli di “contaminazioni”. Ciò vale anche per il torrone che, assieme a panettone e pandoro, è ormai simbolo delle feste natalizie.
C’è, una corrente di pensiero, peraltro piuttosto debole, che lo vorrebbe originario dalla solita Cina, perché da lì proviene storicamente la mandorla, uno dei suoi ingredienti principali.
Un po’ più solida è la corrente di pensiero che potremmo definire “romana”. Innanzitutto, nel 116 a.C., Marco Terenzio Marrone il Reatino (politico e prolifico scrittore: al suo attivo ben 620 opere suddivise in una settantina d’opere) citava il gustoso “Cuppedo”, e “Cupeto” è ancora oggi il nome con cui viene identificato il torrone (la cui etimologia porta al verbo latino torrere, ossia tostare) nell’Italia Meridionale.
Poi, in uno dei primi ricettari di cui si abbia conoscenza, il “De re culinaria” di Marco Gavio “Apicio” (fine primo secolo a.C.), si ricorda un dolce a base di miele, mandorle e bianco d’uovo.
Bel personaggio Marco Gavio, nato attorno al 25 a.C. e detto Apicio come un famoso ghiottone vissuto un secolo prima! Su di lui esiste un’abbondante anedottica. Ad esempio, si tramanda che nutrisse le sue murene con la carne degli schiavi e che si sia suicidato quando scoprì che il suo patrimonio si era ridotto ad appena 100 milioni di sesterzi, insufficienti a consentirgli di mantenere il tenore di vita cui era abituato, suntuosi banchetti compresi.
Ma ritorniamo al tema di questo articolo. Secondo la tesi più accreditata, il torrone avrebbe origini arabe. A supporto, si cita un impasto a base di mandorle, miele, zucchero ed aromatizzato con spezie importato dall’oriente dai veneziani che avevano scambi commerciali intensi con i paesi del Mediterraneo orientale. Questo dolce composizione acquistò fama e successo dal Medioevo: era preparato per il Natale e per le feste più importanti.
Inoltre, tra il 1100 ed il 1150 Geraldo da Cremona tradusse un libro del medico di Cordova Abdul Mutarrif in cui si esaltavano le virtù del miele e veniva citato un dolce arabo: il “turun”.
Questo per quanto riguarda gli storici, perché per la tradizione il torrone aha una data ed un luogo di nascita ben precisi: Cremona, 25 ottobre 1441, giorno del matrimonio di Bianca Maria Visconti e Francesco Sforza. In occasione del banchetto nunziale, i pasticceri di corte prepararono un dolce di mandorle, miele e bianco d’uovo che nelal forma riproduceva la torre cittadina della Torrione. Da qui poi il termine  torrone, almeno per i cremonesi.
Sia come sia, fino al secolo scorso il torrone veniva fabbricato dai fornai, al termine della lavorazione del pane. Fu merito di un ex garzone, Secondo Vergani, se nel 1881 nacque a Cremona la prima ditta pensata espressamente per la produzione del torrone.
Oggi Il torrone oggi è diffuso in tutta la Penisola, ed è considerato il vero dolce nazionale. Le principali varietà di torrone sono quella friabile e quella morbido: la differenza fra le due è dovuta a diversi fattori.
Innanzitutto il diverso grado di cottura dell'impasto: nel torrone friabile la cottura è  solitamente prolungata nel tempo fino a giungere (in alcuni prodotti tipici) le dieci ore. Altrettanto importante è la percentuale di frutta secca ed il rapporto tra il miele e gli zuccheri.
Il torrone tenero, invece, ha una cottura che solitamente non supera le tre ore; ciò permette di avere  una concentrazione d'acqua più alta; questo fattore in combinazione alla maggiore percentuale di glucosio produce un impasto più tenero.
Varianti più moderne comprendono il torrone classico ricoperto di cioccolato o all’interno dell’impasto (tipico quello abruzzese). Come ingredienti, a seconda della regione, vengono amalgamate nell’impasto mandorle, nocciole, arachidi, fichi secchi, frutta candita, semi di sesamo, scorze di arancia o limone.
Clicca qui per la ricetta del torrone di Cremona.

turrones e turronargios - Le origini del torrone (5) di Giovanni Mura


 Le origini del torrone

turrones e turronargios - I carrettieri tonaresi del Novecento (4) di Giovanni Mura


 I carrettieri tonaresi del Novecento




   Riprendiamo il discorso dei carrettieri tonaresi con la segnalazione di quanti, con figli in età scolare nel primo quarantennio del Novecento hanno onorato lo scenario fieristico sardo.
   I risultati delle nostre indagini, che fanno riferimento alle annate scolastiche 1902- 1912-1921-1925-1930 e 1940, hanno prodotto questo elenco di nominativi: AbisAsoni, Banni, Cabras, Calledda, Cappeddu, Carboni, Carrucciu, Carta, Delrio, Demurtas, Desotgiu, Dessì, Devigus, Figus, Floris, Garau, LocheMameli, MancaMeloni, Mura, Murgia, Pala, Patta, Peddes, Pili, Pistis, PorruPruneddu, SauSorigaSulisTodde e Zucca.
   Dei novantotto operatori economici rilevati da un sondaggio esteso alle sole frazioni di Toneri e Teliseri, relativamente agli 1929,1930 e 1931, ben quattordici sono carrettieri. La percentuale di questi ultimi rispetto al totale delle rilevazioni è del 14,2 per cento. Le famiglie rappresentate sono quelle dei CappedduCarta, ancora CartaDemurtasGarauLocheMeloniMurgiaPattaPeddesPili, ancora PiliPruneddu e Zucca.
   Da una nota dei registri comunali del 1922, si rileva che, per ogni carro o carrettone parcheggiato sulla pubblica via, l’occupazione del suolo pubblico comporta una tassa annua di lire 12.
   Nel 1931, stando ai dati offerti dai registri matricola di tassa sul bestiame, si ha un riscontro di 39 carrettieri e di 6 cavallanti, nel 1940 la segnalazione è di 28 carrettieri, nel 1950 si registrano 26 carrettieri ed un cavallante mentre nel 1955 i primi sono nel numero di tre ed i secondi costituiscono due sole unità.
   Il commercio tonarese, che in passato aveva fatto ricorso alle figure dei viandanti o cavallanti e a quelle dei carrettieri, si avvale oggi dell’apporto di nuovi operatori chiamati ambulanti i quali, sempre più numerosi, facendo affidamento sulla velocità dei mezzi di trasporto e dei potentissimi mezzi offerti dalla tecnologia, cercano di accaparrarsi le più ampie fette del mercato fieristico isolano. La pubblicità viaggia attraverso l’etere con siti che si moltiplicano quotidianamente. Il torrone è sempre l’oggetto del contendere. Le due più grosse aziende tonaresi, Pruneddu Pili, con diverse decine di dipendenti, con immobilizzazioni tecniche di tutto rispetto e con un know how altamente elevato, producono e smerciano annualmente un quantitativo di circa tremila quintali di torrone. Il consumo è riservato alle clientele sarde, nazionali ed estere.

   I festeggiamenti sul sagrato della chiesa di Sant’Antonio a Tonara
   Per il 20 di giugno, ottavo giorno dei festeggiamenti in onore a Sant’Antonio, a Tonara è festa grande: sa festa de is carrettoneris.
   Nell’Ottocento, secondo la descrizione dell’Angiusla festa dura due giorni, e la piazza della chiesa prende l’aspetto di un mercato con grande partecipazione di forestieri.
   Nel Novecento, al paragrafo Feste religiose e carattere degli abitanti del suo lavoro su Tonara, Raimondo Bonu riferisce che  festeggiano anche l’ottava di S. Antonio, il 20 giugno.
   Testimonia Giovanni Antioco Carta, nell’intervista concessami nel 1963, che, nel primo quarto del secolo scorso, era numerosa, sul sagrato della chiesa del santo patavino, la presenza di rivenditori di articoli in rame, ferro, ferro smalto, pelle e cuoio. Una decina le carrette allineate nel piazzale di cui cinque o sei per gli oggetti appena citati e le restanti per la frutta e la carne fresca.
   Nelle riunioni consiliari di fine Ottocento erano frequenti le dispute sulla imposizione del dazio a carico dei negozianti di vino di altri centri, i quali, durante il periodo fieristico, smerciavano il loro prodotto, a danno degli esercenti locali.
   Ancora oggi a Tonara, nonostante i vecchi mezzi di trasporto siano andati in pensione da tempo, gli ambulanti del paese si riuniscono per il giorno dell’ottava per commemorare i fasti della tradizione de is carrettoneris con festeggiamenti religiosi e civili di tutto rispetto. Si hanno dei particolari toccanti con la benedizione dei mezzi di trasporto e con la stupenda processione in costume operata da numerosi fedeli. A chiusura di programma una breve parentesi di alto significato ben augurante è offerta dai fuochi artificiali.
   Trascrivo dal registro del comitato ai festeggiamenti dell’ottava dell’anno 1992 l’elenco degli aderenti all’associazione:
   Mario e Peppino AsoniPietro AranginoGiuseppe BasoniGesuino CadedduPeppino DemelasAdrianoCarmelo e Salvatore DemurtasFranco e Giovanni FlorisGianni GarauGabriele LocheDiego MancaSebastiano NoliBachisio e Gianni PattaCostanteGabriele e Gesuino PeddesGianni PiliSettimo PirasSebastiano Podda (nelle vesti di presidente del comitato), Giovanni Ignazio PoddieBruno PorruAntonelloEmanueleFabrizioFrancoPietro e Salvatore PrunedduLino SauFrancesco Todde e Pietrino ToddeGesuino Tore e Peppino Zucca.

Le contrade di Toneri nel 1866 di Nino Mura

alusac eleirbag