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giovedì 29 gennaio 2015

Tonara, Dessì ribatte a Casula «La lingua e la cultura sarde sono da sempre ai primi posti dell’amministrazione» di Giovanni Melis


fonte: http://lanuovasardegna.gelocal.it/nuoro/cronaca/2015/01/27/news/tonara-dessi-ribatte-a-casula-1.10750843?ref=search


TONARA. «Grazie al consigliere Casula la minoranza consiliare di Tonara sta vivendo la sua primavera dopo purtroppo quattro anni di letargo amministrativo. Ormai siamo inondati da interrogazioni pretestuose tese a dimostrare la loro vitalità ma di nessun interesse per la nostra comunità». È furente l’assessore comunale alla Cultura Gianni Dessì che ha contestato duramente la mozione della minoranza consiliare sulla mancata attuazione dei programmi sulla lingua sarda e sull’uso della stessa negli atti amministrativi. In una nota Dessì attacca proprio il consigliere Gabriele Casula e, di rimando gli altri componenti della minoranza tonarese affermando che «la minoranza fare un serio esame di coscienza sul suo agire politico: nel programma elettorale della lista “Unios po Tonara” non ho trovato le parole cultura sarda, lingua sarda, mentre nel nostro programma è presente una sezione specifica denominata “Cultura e tradizioni”. Personalmente nella mia trentennale militanza nel Psd’Az ho dovuto lottare con i rappresentanti dei partiti italiani per ottenere quello che spetta alla nostra nazione ma onestamente devo dire che questa è l’amministrazione che più di tutte è stata sensibile alle problematiche della nostra patria».

Gianni Dessì poi snocciola gli interventi fatti.

«Abbiamo chiesto al dirigente scolastico di prevedere nel modulo di iscrizione l’opzione dell’insegnamento della lingua sarda e mi sono offerto per tale insegnamento e oggi a Tonara nelle prime quattro classi. I nostri alunni possono usufruire di due ore curricolari di lingua sarda. Ho istituito il concorso regionale “Iscrie unu contu” riservato alle scuole elementari e medie al quale hanno partecipato tantissime scuole della Sardegna. Abbiamo sostenuto il concorso regionale “Iscrie una litera a sos tres res”; ho voluto che il concorso regionale di poesia “Peppinu Mereu” avesse sempre cadenza annuale. Questo la dice tutta sulla pretestuosità di quanto sostenuto da Casula».

domenica 25 gennaio 2015

TONARA "INATTUATE LE NORME SULLA LIMBA"- La nuova Sasrdegna

Tonara «Inattuate le norme sulla limba»
La commissione non è stata istituita, polemica della minoranza.


TONARA. «Capita talvolta anche alla minoranza del consiglio comunale di trascurare la nostra lingua, per meglio dire, di non avvalersene quando si parla in consiglio comunale».
È polemico Gabriele Casula, nei confronti della maggioranza che governa il comune. Oggetto del contendere sarebbe il disimpegno della giunta Sau nei confronti dell’uso del sardo. Il consigliere di minoranza e i suoi colleghi hanno quindi sottoscritto alcune interrogazioni sul «perché in questi cinque anni di impegno e attività amministrativa non è stato previsto in bilancio un capitolo di spesa per consentire ai tonaresi di conoscere la nostra lingua con l’istituzione di corsi in lingua sarda».
Oggetto dell’interrogazione è anche la mancata previsione «di insegnare agli impiegati del comune a scrivere documenti e atti ufficiali in sardo» e la mancata creazione della commissione per la lingua sarda.
«Pur in presenza di un assessore sardista e amante della lingua sarda – dice Casula – la maggioranza ha avuto poco riguardo verso lo statuto comunale di Tonara approvato nel 2006 nel quale si afferma che, anche se parlare in sardo non costituisce obbligo giuridico, la lingua sarda ha pari dignità con la lingua italiana è può essere scritta negli atti amministrativi, parlata nelle riunioni della comunità tonarese».
Ecco quindi che diventa un obbligo, in questo scampolo di legislatura, valorizzare il sardo, anche nella variante tonarese.
Interpellato sul fatto l’assessore Gianni Dessì ha contestato le affermazioni della minoranza ricordando gli investimenti fatti «su seminari in lingua sarda, per le giornate dedicate a sa die de sa Sardigna e al concorso di scrittura Iscrie una littera a sos tres Re. L’impegno non è mai mancato su nessun fronte». (g.m.)

venerdì 7 marzo 2014

Atti pubblici in sardo, c’è la legge

fonte: http://www.ilsecoloxix.it/p/italia/2014/03/07/AQ1odW1B-legge_pubblici_sardo.shtml

Atti pubblici in sardo, c’è la legge

Cagliari - Dalla Regione oltre 400 atti ufficiali e comunicazioni scritti in sardo in pochi mesi e inviati a enti pubblici e a privati. Ed in molti hanno deciso di rispondere usando proprio la lingua dell’isola. Un’iniziativa, nata in applicazione della legge, per diffondere e valorizzare la “limba”. Ma anche un modo per attirare l’attenzione contro la mancata ratifica della Carta Europea delle Lingue regionali e minoritarie da parte dell’Italia. Intanto il Comitadu pro sa Limba Sarda con una lettera al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e al neoeletto presidente della Regione, Francesco Pigliaru, protesta: la proposta di legge elettorale in discussione alla Camera discrimina la minoranza linguistica sarda.
Gli atti in sardo nell’isola sono spediti anche al capoluogo, ad esempio a Cagliari l’oggetto della lettera inviata in municipio è: «Organizatzione actividades...», firmato: «su diretore de su servitziu», Giosepe Corongiu. «In questi anni abbiamo spesso redatto in forma simbolica dei documenti in sardo o bilingue - ha spiegato Giuseppe Corongiu, 48 anni, direttore del Servizio Lingua Sarda della Regione Sardegna - ma negli ultimi mesi si è deciso di redigere in sardo tutta la comunicazione per gli esterni. Sfruttando le norme della legge statale 482/99 che ci consentono di redigere in sardo i documenti pubblici abbiamo da un giorno all’altro introdotto la novità di comunicare con l’esterno usando sempre il sardo. Speriamo che ciò possa servire a sensibilizzare il Parlamento sulla necessità di adeguare la legislazione statale a quella europea». La Francia ha cominciato le operazioni di modifica costituzionale per ratificare la Carta, mentre si aspettano le mosse del Parlamento Italiano.
«Dopo qualche titubanza iniziale - ha spiegato Corongiu - non ci sono state levate di scudi per i nostri documenti in sardo. Anzi, devo dire che finora tutti i destinatari, enti pubblici e privati, hanno capito il contenuto e nessuno ha obiettato alcunchè. Abbiamo registrato anche circa un 20-30% di risposte nella stessa lingua, cosa che non ci aspettavamo. Ciò valga come prova che i soliti luoghi comuni che il sardo non si capisce, o che la lingua ufficiale non sarebbe accettata o che il sardo non è adatto alla comunicazione ufficiale e amministrativa sono solo scuse per non mettere a regime un bilinguismo vero e reale».
Infine la proposta di legge elettorale in discussione alla Camera discrimina la minoranza linguistica sarda. È la denuncia anche del Comitadu pro sa Limba Sarda con una lettera inviata al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e al neoeletto presidente della Regione, Francesco Pigliaru. Nel caso non dovessero essere accolte le proposte il Comitadu annuncia ricorsi «in sedi internazionali e in particolare al Consiglio d’Europa per la violazione dell’Accordo-quadro sulla protezione delle nazionalità e della Carta europea delle lingue regionali».
© Riproduzione riservata

Atti pubblici in sardo, c’è la legge

fonte: http://www.ilsecoloxix.it/p/italia/2014/03/07/AQ1odW1B-legge_pubblici_sardo.shtml

Atti pubblici in sardo, c’è la legge

Cagliari - Dalla Regione oltre 400 atti ufficiali e comunicazioni scritti in sardo in pochi mesi e inviati a enti pubblici e a privati. Ed in molti hanno deciso di rispondere usando proprio la lingua dell’isola. Un’iniziativa, nata in applicazione della legge, per diffondere e valorizzare la “limba”. Ma anche un modo per attirare l’attenzione contro la mancata ratifica della Carta Europea delle Lingue regionali e minoritarie da parte dell’Italia. Intanto il Comitadu pro sa Limba Sarda con una lettera al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e al neoeletto presidente della Regione, Francesco Pigliaru, protesta: la proposta di legge elettorale in discussione alla Camera discrimina la minoranza linguistica sarda.
Gli atti in sardo nell’isola sono spediti anche al capoluogo, ad esempio a Cagliari l’oggetto della lettera inviata in municipio è: «Organizatzione actividades...», firmato: «su diretore de su servitziu», Giosepe Corongiu. «In questi anni abbiamo spesso redatto in forma simbolica dei documenti in sardo o bilingue - ha spiegato Giuseppe Corongiu, 48 anni, direttore del Servizio Lingua Sarda della Regione Sardegna - ma negli ultimi mesi si è deciso di redigere in sardo tutta la comunicazione per gli esterni. Sfruttando le norme della legge statale 482/99 che ci consentono di redigere in sardo i documenti pubblici abbiamo da un giorno all’altro introdotto la novità di comunicare con l’esterno usando sempre il sardo. Speriamo che ciò possa servire a sensibilizzare il Parlamento sulla necessità di adeguare la legislazione statale a quella europea». La Francia ha cominciato le operazioni di modifica costituzionale per ratificare la Carta, mentre si aspettano le mosse del Parlamento Italiano.
«Dopo qualche titubanza iniziale - ha spiegato Corongiu - non ci sono state levate di scudi per i nostri documenti in sardo. Anzi, devo dire che finora tutti i destinatari, enti pubblici e privati, hanno capito il contenuto e nessuno ha obiettato alcunchè. Abbiamo registrato anche circa un 20-30% di risposte nella stessa lingua, cosa che non ci aspettavamo. Ciò valga come prova che i soliti luoghi comuni che il sardo non si capisce, o che la lingua ufficiale non sarebbe accettata o che il sardo non è adatto alla comunicazione ufficiale e amministrativa sono solo scuse per non mettere a regime un bilinguismo vero e reale».
Infine la proposta di legge elettorale in discussione alla Camera discrimina la minoranza linguistica sarda. È la denuncia anche del Comitadu pro sa Limba Sarda con una lettera inviata al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e al neoeletto presidente della Regione, Francesco Pigliaru. Nel caso non dovessero essere accolte le proposte il Comitadu annuncia ricorsi «in sedi internazionali e in particolare al Consiglio d’Europa per la violazione dell’Accordo-quadro sulla protezione delle nazionalità e della Carta europea delle lingue regionali».
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venerdì 22 febbraio 2013

SONETE A DIONISU DAE BASTIANU BARRACCA (il mito di Dionisio in Sardegna)


Salemme in partu s’est intesa male
Zeus divinu t’at fatu naschire
e ses dae tando a oe e in s’avvenire
Dionisi Deus eternu immortale.

Totus t’invocant chi mandes signale
pro chi sa terra potzat produire
chi los accanses in s’issoro pedire
ti faghent donzi tipu’e festivale.

Brincant e ballant a longu e in tundu
isperantzosos chi torres a craru
in donzi logu pro su carrasegare.

Però tue ses de àteru mundu
e no intendes su lamentu amaru
e lassas totus in s’issoro isperare.

Tonara 13 freargiu 2013

BASTIANU BARRACCA

lunedì 15 ottobre 2012

IS ARREGODOS PRUS MANNOS


Is arregodos prus mannos
non depeus ismentigare
deo ddos tegno in su toni
in custu bellu padente
poneus fogia de alloro
e deo ddu naro in cara
cun gente de bonas intragna
setzios in custa panchina
foeddanno a gent'e toneri


    
     Is arregodos prus mannos


Partiu, fias ferreri
a sa terra Abissina
e a sa gherra e ' Ispagna
torrau a Logudoro
ma in coro semper Tonara
saludo tott'is parente
e auguro a tziu Antoni
chi potzat issu festare
chentu e chimant'annos 

 Gabriele Casula  14-10-2012

mercoledì 9 maggio 2012

ARREGODOS DE SA GHERRA DE RUSSIA E DE SA VIDA - BENIGNO CASULA - TONARA



CONDAGHES ED.Autore/i  Benigno Casula A cura di Gabriele Casula Anno di edizione 2012 ISBN978-88-7356-193-4 Collana Contos e ammentos
Pagine180 (illustrato) FormatoDim. 120x210 mm Supporto Libro
Prezzo€ 10,00   acquisto mercato elettronico CONDAGHES ED.

Benigno Casula nasce a Tonara nel 1921 e ancora oggi abita lì nel vicinato di Arasulè.
In questo libro raccoglie i suoi ricordi sotto forme di poesie e di racconti scritti utilizzando il linguaggio che ha sempre conosciuto: il dialetto tonarese della lingua sarda.
Nel 1941 parte come militare a Bologna e l´anno dopo viene mandato in guerra sul fronte russo. Lì conoscerà una delle grandi tragedie della seconda guerra mondiale: la campagna di Russia. Dall´Italia partirono 260.000 soldati e ne rientrarono solo 80.000, alcuni morti in battaglia, ma la maggior parte stroncati dal freddo e dalla fame.


lunedì 2 aprile 2012

“Attenti alle trappole! La ratifica della Carte europea delle lingue minoritarie potrebbe trasformarsi in beffa per il sardo. Ecco come” de Peppe Còrongiu


fonte:VITO BIOLCHINI

“Attenti alle trappole! La ratifica della Carte europea delle lingue minoritarie potrebbe trasformarsi in beffa per il sardo. Ecco come” 


La presunta “ratifica” della Carta Europea delle Lingue regionali e minoritarie di qualche settimana fa, nonostante qualche scivolone di interpretazione procedurale e l’ottimismo ingiustificato dell’ufficio stampa del Governo di Roma, ha scatenato una nuova ondata di interesse per la questione mai sopita, e però mai esaltata, della nostra lingua “regionale”. Tutto sommato, anche se la vicenda politico-giuridica è ancora da definire, è stato un fatto positivo proprio per questo afflato di nuovo affetto per la questione linguistica sarda. Quando si accendono i riflettori su questa vecchia ferita che non vuole rimarginarsi, è sempre un bene. Perché per il resto, poi, la vita quotidiana di chi si occupa di politica linguistica in Sardegna, è grama tra polemiche inutili, indifferenza diffusa e sufficienza di giudizio e di impegno.
Conoscendo la natura rispettosamente deferente del senso comune dei sardi, anche della classe dirigente, nei confronti delle gerarchie e dei profili istituzionali, soprattutto romani, non c’era dubbio sul fatto che una presa di posizione, anche se minima, da parte del Consiglio dei Ministri, avrebbe provocato una nuova e superiore sensibilità nei confronti della politica linguistica della lingua sarda, tema solitamente ritenuto non prioritario nell’agenda politico-giornalistico-sociale. Sensibilità, purtroppo, a volte, effimera. A torto, secondo me, ma si sa il mio è un parere di parte di una professionalità giudicata, e ritenuta da alcuni, troppo “militante”. Qualsiasi cosa ciò voglia dire di un tecnico professionista in un settore spesso poco scandagliato da quelli che contano veramente.
E’ così è stato. Il Governo Romano compie un piccolo e tardivo passo in avanti nel riconoscimento di diritto (perché di fatto la questione è molto controversa) per la lingua sarda (e quella catalana di Alghero) e ciò provoca un moto di entusiasmo, un rinnovato interesse e la ripresa di infinite discussioni. Speriamo che non segua il silenzio e l’inerzia, soprattutto degli intellettuali, anche quelli solo italofoni e italografi, quelli che dovrebbero denunciare i soprusi culturali, ma che sul rischio che la nostra lingua si estingua spesso preferiscono tacere. In genere, infatti, sul merito della politica linguistica non si parla. Si sbraita invece spesso per offendere gli operatori che, come è noto, sono solo <incompetenti, ignoranti e imbroglioni interessati al denaro più che alla vicenda linguistica e culturale>. Più volte, in questi anni, abbiamo sentito questa accusa. Non suffragata da prove, ma si sa, gli stereotipi viaggiano automuniti. In mezzo alle varie banalità da “bar dello sport” colpisce però soprattutto il silenzio reiterato dei media, o la sordina malcelata (che è lo stesso), di quelli che potrebbero dettare l’agenda politica, ma che non ritengono la questione “rilevante”. Il più delle volte.
Come sa chiunque la ratifica dei trattati sopranazionali è competenza del Parlamento per cui, il Governo, anche volendolo e dichiarandolo non avrebbe potuto mai ratificare la Carta, come annunciato in prima battuta da un fallace comunicato stampa. In realtà l’esecutivo guidato da Mario Monti ha semplicemente approvato un disegno di legge che sarà poi discusso, e forse approvato, dalle Camere. Un avanzamento,  certo, anche importante, ma non la tanto strombazzata “ratifica” che è ancora di là da venire. E chissà se verrà nell’ultimo scampolo di questa legislatura,  condannando di fatto l’Italia a essere, insieme alle ultranazionaliste  Francia e Grecia (leggere a questo proposito le opere del friulano William Cisilino), gli unici stati nazionali dell’area europea occidentale a non garantire un minimo di tutela reale alle  proprie minoranze. Pessima compagnia.
E certo, per gli italiani e i sardi, questo atteggiamento antiliberale della Repubblica, che nega nei fatti un diritto collettivo riconosciuto mondialmente, quello alla difesa della propria lingua, non è un qualcosa di cui vantarsi.
Anche il fatto che il Governo, nel comunicato del 9 marzo, abbia messo le mani avanti, sostenendo che si trattava solo di una formalità, visto che nel 1999 si era approvata la legge 482/99 che riconosceva dodici lingue minoritarie, non è esattamente condivisibile. La legge 482, anche se è stata uno strumento importantissimo, già da diversi anni langue nell’assenza, o nella estrema leggerezza, per non dire inconsistenza, di dotazioni finanziarie sufficienti. Per l’annualità 2012, il Dipartimento degli Affari Regionali, ha stanziato per le 12 lingue riconosciute la “bellezza” di 1 milione e 700 mila euro (più o meno il costo del contributo a un artigiano per la realizzazione di un capannone in un’are industriale non troppo importante). Nel 2001, tempi d’oro, si viaggiava sui 10 milioni di euro. Inoltre, il livello di protezione delle lingue assicurato dalla legge non è certo quello massimo che ci si aspetterebbe. Nessun obbligo, nessuna tutela reale, nessuna efficacia pianificativa linguistica. Solamente, la possibilità di tutelare con azioni limitate “a progetto” e mirate la lingua nella scuola, all’università, nelle amministrazioni pubbliche, nei media. La Rai, per dirne una, si è sempre rifiutata, nonostante la legge, di sostenere e produrre in proprio i programmi radiotelevisivi. E questo nonostante obblighi precisi derivanti da norme del Contratto di Servizio. Quel poco che si fa, viene a fatto a spese delle Regioni e in orari quasi inaccessibili. E senza controlli sulla qualità e sugli obiettivi reali di rivitalizzazione linguistica (che è cosa diversa dalla folclorizzazione e museificazione della lingua).
In realtà, stante la tradizione italiana monolingue e avversa a qualsiasi tipo di multilinguismo, le uniche lingue ”altre” realmente tutelate in Italia sono quelle protette da trattati internazionali imposti alla Repubblica all’indomani della sconfitta dell’ultimo conflitto mondiale. Tedesco in provincia di Bolzano, francese in Valle d’Aosta e Sloveno in Friuli (anche se gli sloveni hanno dovuto aspettare fino al 2001 per vedere approvata una legge sull’istruzione bilingue). Ladini e francoprovenzali, in Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta, hanno beneficiato di rimbalzo delle maggiori tutele di queste lingue minoritarie “privilegiate” perché confinanti con grandi potenze.
Per gli altri, soprattutto per sardi e friulani, che parlano le lingue più importanti e diffuse in un vasto territorio “regionale”, la vita è sempre stata grama. La stessa 482 non distingue tra piccole lingue d’enclave e lingue regionali-nazionali e parla indistintamente di minoranze linguistiche storiche. Fino alla recente sentenza della Corte Costituzionale del 2009 che, cassando alcune parti di una legge regionale friulana del 2007, ha ribadito alcuni paletti limitativi alle Regioni, in particolare in materia di istruzione scolastica in lingua minoritaria. Sostanzialmente lo Stato, riconosce che l’istruzione “in lingua” si può fare, ma avoca a se la competenza di legiferare in materia sull’ordinamento scolastico e blocca ogni iniziativa regionale sulla questione. Allo stesso tempo però non legifera, e non interviene concretamente, nel senso di migliorare la 482 (che sul tema è evasiva e barocca) e quindi di fatto blocca le 12 lingue sul limite della soglia principale delle autonomie scolastiche. Un piede è dentro, ma l’altro è fuori. Precarietà ed episodicità sono la conseguenza.
Di fatto lo Stato ha un atteggiamento ipocrita. Fa finta di preoccuparsi delle minoranze per non incorrere in sanzioni o censure europee, ma vieta alle Regioni di legiferare sul proprio territorio con la scusa di “difendere” l’autonomia sacrosanta delle istituzioni scolastiche. In assenza di previsioni specifiche statutarie, le istituzioni regionali, anche ad autonomia speciale, devono inchinarsi alla supremazia della potestà statale che nella riforma del titolo V non ha incluso al devoluzione di tale competenza.
A questo impasse, il Consiglio regionale sardo, facendo tesoro dell’esperienza friulana, aveva reagito giustamente e intelligentemente con la legge 3 del 2009, mai impugnata dal Governo, che ha introdotto la possibilità di insegnare il sardo in orario curricolare. Una “furbizia” legislativa che sfruttava l’unico spiraglio giuridico esistente.  Sempre “a progetto”, sempre con limiti ordinativi e finanziari, ma con il merito di aver fatto entrare il sardo a scuola dalla porta principale, senza relegarlo ai “laboratori” pomeridiani. Novanta scuole hanno usufruito di questa legge, ma certo, una misura di questo genere è una buona trovata di amministrazione creativa, riempie un vuoto momentaneo, ma non basta e non può essere considerata un approdo definitivo.
Il vero traguardo per le 12 lingue riconosciute dalla 482/99 dovrebbe essere una nuova legge dello Stato, sul modello di quella slovena del 2001, che consenta l’educazione completa bilingue nei territori di riferimento delimitati. Oppure una modifica Costituzionale, o dei rispettivi Statuti sardo e friulano, che consenta di approvare una legge quadro regionale con effetti concreti sulle autonomie scolastiche.
Nel frattempo, ci si chiede, la questione della Ratifica della Carta è decisiva e rilevante? Alcuni pensano di no. Io credo di si, soprattutto se il livello di protezione per il sardo fosse innalzato rispetto alla 482/99. Cosa difficile, ma non impossibile.
Per capire bene il problema, facciamo un poco di cronistoria. Certo è un po’ faticoso, ma la fatica aiuta a informarsi e a informare bene. Uno dei problemi della politica linguistica è proprio l’annosa mancanza e penuria di tecnici competenti, relegati quasi sempre al ruolo di comparse. Pertanto prevalgono gli ideologismi e i pressapochismi. Se, infatti, l’argomento non vale la pena, non è in agenda,  perché coltivare figure professionalmente significative e invece non fidarsi dei soliti filologi museificatori bipolari, degli esperti di folclore o degli ultimi arrivati pensionati e dopolavoristi? Già, perché?
Si è detto che Il Consiglio dei Ministri nella recente seduta del 9 marzo scorso ha approvato un disegno di legge con il quale si intende proporre al Parlamento il testo della Carta Europea delle lingue regionali o Minoritarie del Consiglio d’Europa (adottata a Strasburgo il 05.11.1992, entrata in vigore il 1° marzo 1998) che lo Stato italiano, dopo lunga attesa, si appresta a ratificare dopo averla sottoscritta.
Il testo del disegno di legge, che ancora mentre si scrive non è pubblico, andrà in visione e discussione alle due Camere per la definitiva approvazione. Prima del passaggio alla Camere, il testo sarà visionato dal Quirinale. Il 4 aprile alla Camera, cominceranno le audizioni della commissione competente. Si parte da due proposte quelle di Zeller e Mecacci. Non essendo pacifica la ratifica, e neppure il contenuto del provvedimento legislativo, sarebbe opportuna una vigilanza costruttiva della Regione, e dei Parlamentari sardi,  al massimo livello istituzionale, sull’iter del provvedimento.  Con azioni concrete e incisive.
A questo proposito, a mio parere, il Presidente della Regione Ugo Cappellacci, in quanto rappresentante istituzionale del popolo sardo, bene ha fatto a sollecitare l’attenzione di deputati e senatori al fine di vigilare sull’approvazione della Carta. E bene hanno fatto alcuni parlamentari sardi, a rispondere all’appello e a dichiarasi disponibili. Cosi come si capisce che altri sono sensibili al problema.
L’attuazione della Carta, infatti, potrebbe essere molto importante per la Regione Autonoma della Sardegna, perché, dal momento in cui il Parlamento la dovesse ratificare, lo Stato sarebbe obbligato a garantire il livello di protezione minima delle lingue regionali o minoritarie, e garantire obbligatoriamente, pena l’intervento sanzionatorio dell’Europa, tutta una serie di misure di promozione e tutela a scuola, nella pubblica amministrazione, nei media, nella RAI, nell’economia, nel sociale e nelle università.
Questo solleciterebbe anche, da parte dello Stato, un obbligo a congrui interventi finanziari a sostegno delle politiche linguistiche della Regione o degli Enti locali come già in parte si fa grazie alla legge statale 482/99.
Già in passato, il Parlamento con un disegno di legge, approvato dalla Camera dei Deputati il 16 ottobre 2003, aveva previsto la ratifica della Carta Europea delle lingue regionali o minoritarie, dopo aver già effettuato con la legge del 15 dicembre del 1999 n. 482 (art. 2) il riconoscimento delle minoranze linguistiche storiche esistenti su tutto il territorio statale, dando così attuazione all’art. 6 della Costituzione. Per la Sardegna, con la legge citata, venivano individuate e legittimate due minoranze linguistiche storiche: il sardo e il catalano di Alghero.
Nel 2007, l’identico iter veniva riproposto con una nuova approvazione da parte della Camera dei Deputati, ma il provvedimento veniva affossato al Senato in particolare per l’opposizione e la netta contrarietà della Lega. Da allora, il disegno di legge non era stato più riproposto fino alla riunione del Consiglio dei Ministri del 9 marzo u.s., in particolare per le pressioni esercitate dalla CONFEMILI, organizzazione storica delle minoranze linguistiche italiane, presieduta da Domenico Morelli.
Non vi è dubbio che l’adozione di questa Carta rappresenti un passo molto importante nella tutela delle lingue minoritarie presenti su tutto il territorio, ma la sua efficacia dipenderà dalle misure di salvaguardia che il Parlamento indicherà al momento della ratifica. Per tale motivo si intende richiamare l’attenzione sul meccanismo di attuazione previsto dalla stessa Carta, la quale in considerazione delle condizioni specifiche e delle tradizioni storiche proprie di ciascuna regione dei Paesi d’Europa, ha previsto che gli Stati siano liberi, al momento della ratifica, di individuare, non solo le lingue oggetto di tutela, ma anche le misure da adottare per la loro salvaguardia.
L’unico vincolo per gli Stati ratificanti (art. 2 della Carta) è quello di assicurare l’applicazione di almeno trentacinque paragrafi scelti tra le disposizioni della Parte III della Convenzione. Nel testo finale, quindi, in assenza di sorveglianza politica costruttiva potrebbe emergere la cruda realtà di una lingua sarda che non solo non conferma o estende le sue norme di tutela, e quindi i suoi ambiti di utilizzo, ma anzi rischia di perderne la gran parte. Tutto ciò pensiamo non per cattiva volontà o insipienza, ma per una difficoltà intrinseca del meccanismo previsto per la ratifica della Carta che può sicuramente trarre in inganno più d’uno. Ed è utile dunque esserne informati.
Il documento approvato dall’Unione Europea prevede infatti, una serie di livelli e ipotesi di protezione e garanzie per le lingue, lasciando poi liberi gli Stati di scegliere il grado di tutela nei diversi settori dell’amministrazione pubblica, dell’istruzione, della giustizia, dell’economia e della sanità. Va da sé che, per assicurare l’istruzione nella lingua minoritaria o assicurare una parte rilevante dell’istruzione nella relativa lingua, così come per assicurare la diffusione e l’uso della lingua minoritaria nella vita pubblica ossia nei rapporti con la pubblica amministrazione, davanti all’autorità giudiziaria o nello svolgimento di un’attività economica,  sia necessario che in legge venga scelto un livello di protezione “alto” e non “basso”. Una scelta di protezione di livello “basso” potrebbe comportare anche un arretramento rispetto alle conquiste fatte con la legge 482/99.
E ci sono voci a Roma, negli ambienti ben informati, che sostengono, che per il sardo e friulano si stai preparando una “trappola” di questo genere. Come del resto si era già tentato anche in passato, nel 2007. Insomma, una beffa scontata dopo il prevedibile e spontaneo giubilo.
Certo, la legge 482 sarebbe comunque in vigore e sarebbero fatte salve le norme più favorevoli, ma un abbassamento “ideale” del livello di protezione del sardo (o del friulano o delle altre lingue) potrebbe rendere inefficace l’uso della Carta quale strumento di diritto per richiamare l’Italia ai suoi obblighi di tutela in sede europea. Anzi, ipocritamente l’Italia, in questa sciagurata ipotesi, potrebbe anche sostenere la paradossale ipotesi di tutelare le “sue” lingue anche oltre i limiti imposti della Carta.
Il solito fariseismo italico in materia di protezione linguistica.
Innalzare il livello di protezione nella Carta, invece, potrebbe creare le condizioni in un prossimo vicinissimo futuro per l’approvazione di leggi più favorevoli per la tutela, in particolare per quella scolastica delle lingue minoritarie. Vale la pena cogliere la palla al balzo? Sfruttare l’occasione invece che lasciarla correre? Si convinceranno la classe dirigente sarda, l’opinione pubblica, il ceto medio istruito della splendida risorsa che ha la Sardegna nel possedere una lingua propria (insieme ad altre) e che formidabile arma di identificazione comunitaria questa possa diventare?
La risposta a chi legge. Il parere di chi scrive credo sia noto.
Io credo che sia utile dunque vigilare a ogni livello  nella speranza di assecondare costruttivamente l’iter del Parlamento cercando di far valere le proprie ragioni in materia di protezione linguistica, in accordo con le altre minoranze. In ciò non ci aiuterà l’atteggiamento antiliberale di fatto, se non di principio, della Repubblica, che ancora fino al 15 dicembre 1999, non aveva fatto altro che proseguire la politica linguistica di glotto-genocidio del Regime fascista e del Regno sabaudo. Del resto, la protezione delle minoranze linguistiche interne riconosciute è una questione di rispetto dei diritti civili e della diversità. L’Italia non può sottrarsi, così come l’Europa dovrà pretendere, oltre  che al rispetto della regolarità dei  bilanci, anche a quello delle salvaguardia delle lingue riconosciute e presenti sul suo territorio.
Farsi “audire” dalle commissione competenti sarebbe utile. Anche delle semplici interrogazioni o interpellanze parlamentari sul contenuto dei disegno di legge e sul livello di protezione assegnato al sardo potrebbero essere efficaci. Anche l’attenzione al e dal Parlamento Europeo.
Il riconoscimento effettivo di minoranza linguistico-nazionale per la Sardegna, tutelato dal Consiglio d’Europa e dalla ratifica della Carta, anche in considerazione dell’applicazione per la Sardegna della “Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali”, potrebbe essere propedeutico anche alla problematica dei seggi rappresentativi dedicati della Sardegna al Parlamento Europeo, al di là dell’annosa questione della ridefinizione dei collegi elettorali e di una legge statale, anche quella, che potrebbe essere modificata per intervento europeo su violazione accertata dei trattati.
Basta volerlo: la volontà dei popoli, assecondata dalle élite che contano, muove la storia. E salva le lingue che sono patrimonio di tutti. E salva la dignità di ognuno.

giovedì 29 marzo 2012

Pesare sos fìgios in sardu: una richesa pro cras un artìculu de Peppe Coròngiu

 

Pesare sos fìgios in sardu: una richesa pro cras



de Pepe Coròngiu


Faeddare in sardu a sos fìgios? A si podet? E comente si faghet? E a cumbenit? Faghimus male a sos pipios e los istrubbamus pro imparare s’italianu e s’inglesu? Ma no est mègius chi l’imparent in iscola? O in carrera? Sunt custas unas cantas pregontas chi intendo semper cando arresono a fùrriu de custu tema dìligu. In capas petzi in Itàlia, e duncas in Sardigna, b’est custu livellu de non connoschèntzia isparghinada subra sa chistione de su bilinguismu e su multilinguismu in domo. Cale chi siat sa limba chi pertocat. Ca deghinas de annos, si non sèculos, de disinformatzione organizada subra sa limba, e sas limbas, ant fatu a manera chi una faina simple e deghile, l’apant bortulada in una curiosidade de istrambecos. In unu betze machìmine. E su monolinguismu, chi est una privatzione de pluralidades, unu mutzamentu de possibilidades, sighit a bìnchere. Comente nàrrere, in matematica, chi unu si balet prus de duos. Un’isciollòriu.

In realidade a faeddare su sardu in domo non bi cheret nudda (si unu est cumbintu e bidet sa limba nostra a manera normale) e damus un’agiudu a sos pitzinnos pro èssere prus abbistos pro su mundu de cras. Eja, pròpiu gasi. Non bi creides? Ca bos ant amalesadu cun s’italianu pomposu de sas iscolas e de sa televisione. E mesches cun sa mentalidade chi nde protzedit. Si unu pipiu leat s’avesu de faeddare in domo prus de una limba, narant sos iscientziados chi ant isprobigadu custu problema in su mundu, isvilupat unu muntone de facultades chi su pipiu monolingue no at. Naramus sa beridade: no est chi chie manìgiat duas limbas, a paridade de cunditziones, siat prus intelligente de unu monolingue, custu no. Ma de seguru, a bisu de sa sièntzia informada, custos pitzinnos ant unu cherbeddu prus prontu e lascu, chi si rendet mègius a sos bisòngios e a sas netzessidades de sa vida, chi resessit a colare in argumentos diferentes de sighidu e leat detzisiones prus a sa lestra. E in prus resessit mègius a imparare àteras limbas. Lu proant finas totu sos avèrguos de laboratòriu chi at fatu, pro nàrrere, sa professora Antonella Sorace in s’universidade de Edimburgu, una de sas mannas in Europa in custu campu.
“Ma tue mi ses narende - m’at naradu una bia unu sennore in un’addòviu in Fonne - chi si deo li faeddo in sardu a sa criadura, podet imparare mègius s’inglesu?” Eja, l’apo torradu deo, non ca so unu talebanu de sa limba sarda, ma ca leghende sa literadura internatzionale resurtat cussu. E sigomente sos iscientziados a sa sèria non faghent ideologias, nen natzionalistas italianas nen natzionalitàrias sardas, finas sas limbas minores, o comente lis narant in Itàlia pro los isminorigare sos “dialetti”, faghent a sa retentiva de su criu sa matessi faina. E duncas, m’at naradu su fulanu, pro ite nos ant cumbintu a s’imbesse pro totu custos annos narende chi su sardu podiat istrubbare a s’annestru in italianu? Proite nos ant postu in conca, de gosi o de gasi, chi su sardu fiat ”grezu” e non serbiat a nudda? Antzis ca faghiat dannu, sende chi fiat una limba de “regressione” chi nos faghiat torrare in segus?
Sa resposta no est fàtzile ca s’arriscat, in una sotziedade cunformìstica e pagu informada comente sa nostra, de colare pro estremistas finas a nàrrere una beridade simple. E b’est su perìgulu chi si naras custa beridade ti leent finas pro unu fissadu istenteriadu chi est chirchende sos rastros de cale chi siat imbentu de cumplotu marxista-giudàicu-catòlicu-fascista-istatalista contra a sa limba sarda. In capas però sa beridade, nessi sa chi bido deo, est chi totu su chi s’ischit subra sa limba in Sardigna est farsu. Totu o belle totu. E chi calicunu, prus de calicunu, s’est faddidu. E at minimadu sas possibilidades de sos cherbeddos de unu muntone de sardos faghende unu gastu mannu a s’economia chi, oe prus de eris, protzedit finas dae sos imbentos de sas pessone sìngulas.
Finas s’idea de sa limba sarda chi nd’est essida foras de istùdios chi sunt addurados tempos e tempòrios e chi ant fatu a manera chi esseret pintada, non che a una normale famìlia de dialetos in chirca de una limba-bandera, ma comente una limba ispetziale-curiosa ogetu de istùdios sena fines, antiga, serente prus de àteras a su latinu, partzida comente àteras mai, privada de tèrmine cultos, ischitzofrènica intre cabu de susu e cabu de suta, e àteros pecos de inferru. Totus ischires pesados e academizados foras de cale chi siat averguada de sièntzia. Ma prus e prus cust’idea maca chi non tocat a lis faeddare in sardu a sos pipios, pro no istrubbare s’annestru linguìsticu de sa limba natzionale italiana. Unu pessu macu e ignorante chi però est devènnidu, in sos annos, unu sentidu comunu.
E in cantos sunt abarrados trampados? Sende chi professores e professoras illustres finas de sas universades nostras, mai ant dadu avisu de custu perìgulu. Sende chi in sos giornales non si nde leghet mai. Mai sos intelletuales italianistas de Sardigna ant inditadu sa poberesa de su monolinguismu italianu. E semper però sos pecos de su natzionalismu linguìsticu sardu (semper chi siat mai esistidu e apat tentu ampramanu). E antzis, cando b’at istadu possibilidades de frimmare cuddos bator macos generosos chi cheriant su bilinguismu ufitziale e cheriant sarvare sa limba sarda (inghitzende dae sos Annos Setanta), non petzi lis ant fatu mancare s’agiudu, ma mesches lis ant fatu su caminu punta a susu collonende su logu cun tzarras, fumatzos e nèulas de argumentos faddidos. E cantos de sos amparadores de sa limba los ant crètidos a custos e los ant cassados a su latzu? Galu oe nde bidimus e nde pranghimus sos dannos fascados comente sunt a ogros de sos pregiudìtzios de cultura domina dora tantu chi bident s’inimigu non in s’intelletuale monolingui sta, ma in cumpàngiuchi gherra semper e cando pro su sardu.
Sende chi su logu “linguìsticu” est semper prus isperditziende, pro ite non b’at una rebellia de sa “Cultura” in Sardigna? Pro ite sa limba sarda si balet azigu azigu? Mi pregonto deo: ma no est comente pro sas costeras cugutzadas de tzimentu? No est comente pro sas siendas archeològicas ismentigadas e apetigadas? No est comente pro su paesàgiu de defensare? No, mi paret, pro ite reatzione forte de ambientes culturales non bi nd’at mai. O pagas. E custos intelletuales dannàrgios chi sighent a ispèrdere, no ant pagadu e no ant a pagare mai.
Ma a tempos de custa crisi e de su degollu de totu su chi amus crètidu se guru, ite nos abarrat? Ite nos addurat? In ite depimus pònnere aficu pro s’educatzione de sos fìgios nostros? Deo creo mesches in su multilinguismu ca s’impreu de paritzas limbas - movende dae sa nostra sena sa cale nois non esistimus - iscàmpiat su cherbeddu de sos crios e los amàniat a una realidade tosta e cumplicada, sa de su mundu a dies de oe, a sa cale ant a dèpere parare fronte. Ogni pitzinnu, de cada cunditzione sotziale, deo creo, diat dèpere tènnere su deretu de connòschere e istudiare in iscola nessi tres limbas, si non prus. Ricu, de sa classe mesana o pòberu chi siat (semper de prus a dolu mannu in Sardigna), pro chistiones de democratzia. Imbetzes oe in Itàlia, e duncas in Sardigna, in nùmene de su totem de su monolinguismu italianista ant sufridu e sufrint sas limbas locales comente cuddas de comunicatzione internazionale chi, nointames su dinari gastadu, nemos imparat. S’inimigu est su matessi: sa religione de su monolinguismu “isterico”, comente narat su linguista Bolognesi. Duncas s’annestru de sas limbas istràngias e sa defensa de sas limbas locales ant un’inimigu a cumone. E custu diat bastare pro fàghere un’alliàntzia.


Ma pro s’inglesu e pro sas àteras limbas bi cheret dinare. Su sardu intames podet èssere finas a indonu. Una richesa chi mancari tenimus in famìlia e no istrinamus a sos fìgios nostros. E no est beru chi si unu, o una, chi non lu connoschet bene non lu podet faeddare a sos fìgios. Proas iscientìficas fatas in paritzos logos e cunditziones ant mustradu chi sos pipios sunt finas “reguladores” de sas limbas e, duncas, currègent sas faddinas de sas mamas.
Duncas, si podet fàghere. Lu podimus fàghere. Su pipiu nde balàngiat de seguru e, forsis, diant pòdere balangiare finas sas mamas. Non sunt issas, difatis, sas fèminas chi las ant custrintas pro primas a faeddare in italianu ca depiant essere belligheddas, allichididas, educadas e “carine” finas prus de sos mascros? Non sunt istadas issas sas primas a rùere vìtimas de custa cunditzione detzidida dae sos mascros de poderiu? Diat èssere bellu meda e de agradu si sas fèminas esserent comintzadu a si furriare. Totu sas rebellias comintzant dae domo.
Una limba chi non faeddamus a sos fìgios, non la podimus pedire posca a òbligu dae s’iscola de s’istadu. O, semper e cando, deghet prus pagu, si puru b’at resones su matessi. Tocat a nàrrere, però chi custa rebellia no est de pretèndere, ma forsis petzi de punnare ca, comente narat su sotziòlogu Mongili, est a manera pròpia una cunditzione, non unu sèberu lìberu. E tocat de rispetare sa dificultade de chie si siat. Ca nos ant custrintu, nos ant fatu birgongiare. Nos ant caratzadu e umiliadu in s’ànimu fungudu. A nde torrare a essire dae custu ispèrrumu no est fàtzile ca nos depimus, a carchi manera, fàghere male a nois matessi. A nos indùghere a mudare.
Ma, mamas e babbos sardos chi mirades a su mundu, bos potzo assigurare, pro chi l’apo bìvidu deo in pessone, chi, cando figiu bostru contòniat a domo e bos contat in sardu su chi at fatu in iscola in inglesu, o in frantzesu, o in tzinesu, non b’at prètziu. Ischides chi est creschende bene, aprontende sas armas pro gherrare in su mundu. Che a sardu abbistu e lìberu.

Le contrade di Toneri nel 1866 di Nino Mura

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