lunedì 14 ottobre 2013

Le case dei Porru a Tonara di Nino Mura





Le case padronali dei Porru hanno sempre suscitato in me una velata curiosità. La prima, arroccata verso l’alto tra la via Mons. Tore e la via sant’Antonio, consentiva ai vari gruppi familiari che l’abitavano in qualità di affittuari lo sbocco da tutti i lati che, con le loro facciate, imponevano al condominio una definizione geometrica a pianta trapezoidale.

Nella parte inferiore un vecchio portale, nascondendo alla visuale dei rari passanti un pozzo a carrucola d’altri tempi, dava l’accesso ad un ampio cortile sul quale si affacciavano i dirimpettai dei vari appartamenti. L’intero stabile, ormai disabitato da una trentina d’anni, versa in precarie condizioni di staticità. Buona parte del tetto è sprofondata verso l’interno. Resistono alle intemperie i robusti muri maestri e quelli perimetrali. I molti legni penzolanti dai solai sottostanti alle nude capriate sventrate dai vari agenti atmosferici quali pioggia, vento e neve lasciano presagire un ulteriore decadimento dell’immobile.

Identica sorte sarebbe spettata anche alla casa direttamente posseduta e goduta dai Porru se, a qualche decennio dalla morte dell’ultimo loro rappresentante, non fosse intervenuta la mano provvidenziale dell’amministrazione comunale.

La complessa struttura edilizia, distribuita in diverse postazioni della borgata di Toneri, si identificava con gli spazi relativi all’abitazione, al negozio di mercerie, al tabacchino ed alla stalla per gli animali.

Lo stabile si affacciava nella veste migliore su Pratza manna salvo concedersi, dopo una svolta ad angolo retto, al caratteristico ballatoio che ha sempre unito ciò che la strada ha continuamente diviso.

Abitazione padronale da una parte e alloggi per la servitù da un’altra. La stessa regola valeva per dividere i ristretti spazi carcerari riservati alla detenzione dei maschi e delle fe



mmine. Catene e ferri di detenzione per i malcapitati di turno pendono ancora dalle travi di una di queste anguste prigioni. Appena al disopra di questi sottani risultano ancora ben definiti gli alloggi riservati nell’ottocento ai militari della Benemerita.

Per poter passare in rassegna i vari ambienti, ai quali non era mai consentito accedere agli estranei, ho impiegato parecchio tempo. Quasi in religioso silenzio, approfittando delle brevi ma preziose informazioni della guida museale, ho cercato di far mio quanto in passato, quando abitavo nella casa dei nonni materni in via Asproni, alias Pratza Manna, non era mai appartenuto alla mia morbosa curiosità.

Ho scrutato ogni spazio, ogni angolo, ogni armadio a muro, ogni apertura. Per potermi rendere conto della funzionalità e staticità delle diverse strutture ho compulsato travature, intonaci, legni, solai, capriate, scale. Ho misurato i vari ambienti senza strumenti cercando di memorizzare il tutto mentalmente. Moderatamente alti mi sono sembrati tanto i piani superiori quanto le mansarde del sottotetto ed i magazzini.

Guardando verso le volte era un continuo altalenare di travi lunghe e diritte, tirate su senza risparmio. L’eccezione alla regola era data da una strana asse ricurva verso l’alto con una vistosa gibbosità che serviva e serve tuttora a regolare il passaggio tra due ambienti. Assomigliava tanto al lineamento superiore di un cappello di carabiniere in alta uniforme. Altrove gli architravi erano un po’ più bassi del solito ma in linea di massima il visitatore poteva procedere speditamente ovunque.

Inaspettatamente una porta finestra del secondo piano mi invitava a superare il ballatoio dei miei sogni. Quante volte avevo desiderato di poterlo transitare furtivamente. Già prima di iniziare questa mia visita, al fine di sfruttare al meglio ogni segmento del ponte sospeso sull’acciottolato sottostante, avevo cercato di calcolare doviziosamente i ridotti tempi di percorrenza ma il senso di rivincita sulle voglie di pedaggio, rimaste inappagate a livello infantile, mi rese così euforico da compiere il tragitto in un baleno.

Dappertutto potevo leggere la semplicità che aveva contrassegnato la vita dei Porru. Non un segno di modernità negli arredi, negli strumenti di lavoro e nei rari interventi alle strutture. I marchingegni creati dal contributo dell’energia elettrica quivi compresi radio e televisione, non avevano mai varcato gli ingressi della grande casa padronale. La luce fiocca delle lampadine elettriche era stato il massimo permissibile. La parsimonia faceva parte del DNA degli abitatori che, contrariamente a quelle che erano state le strategie vincenti del loro capostipite, avevano segnato nel tempo una fase di stallo verso l’apertura a qualsiasi tipo di novità. La parsimonia quindi era considerata una carta vincente.

Per noi sapere al giorno d’oggi che macchine fotografiche, cineprese, cellulari violano, nei tempi programmati dalle visite, questi ambienti preservati con molta cura dalle insidie del progresso e della tecnologia, è una vera sorpresa che sa di autentica beffa nei riguardi di chi volutamente aveva preferito rimanere ancorato alle radici del passato.

In questa singolare ispezione, curata a vantaggio di pochissimi e fra i quali mi sono reputato un privilegiato, non ho avvertito particolari segnali di commistione col mondo esterno se non quelli generati dal sordo calpestio sui tavolati e dal continuo sferragliare dei serramenti che aprivano e chiudevano le numerose porte di questi labirinti intercomunicanti.

C’era spazio ancora per la visita al fienile ma bisognava percorrere buona parte di Pratza Manna. Appena varcato l’ingresso mi sono ritrovato ai miei piedi, dopo appena pochi passi, una spessa lastra in vetro cristallizzato che rico

priva, ben sostenuta da solidi supporti in ferro, l’apertura di una fossa della profondità di diversi metri. L’insolita copertura, messa a protezione degli incauti visitatori, rappresentava l’unico vezzo di modernità concesso a questo curioso frigorifero che, in altri tempi, veniva utilizzato per la conservazione di grossi quantitativi di castagne.

Tutt’intorno era una ricca rassegna di strumenti di lavoro del passato. A protezione di tanta privacy un muro di recinzione di modeste proporzioni non impediva ai curiosi di turno di abbandonarsi alla visione di un mare di tetti in continua rincorsa verso il limite estremo del vicinato di Toneri, il rione che lentamente, ma inesorabilmente, sta scomparendo dalla realtà dell’oggi per entrare nell’anonimato dei vasti musei a cielo aperto.