Carnevale di madre terra
«Non è rito dionisiaco, chi studia sul campo lo sa»


SUL CAMPO «Il vissuto è la chiave che apre le porte della conoscenza e della comprensione. Cosa può saperne uno studioso di quanto sacra è la danza per un ballerino che la esegue, di quanto è viscerale il cantare per su tenore o dello stato di ebbrezza che vive un ragazzo quando indossa la maschera?». L'autrice individua i limiti di una ricerca basata sulla storia delle idee e delle citazioni acritiche senza verifiche che pretendono “spiegare” riti e credenze con teorie spesso bizzarre e studi cosiddetti scientifici: «Sono convinta che un antropologo debba fare ricerca sul campo, immergendosi nella “verità” del racconto, vivere lo stretto rapporto soggetto-oggetto studiato. Io ho scelto di immergermi nel vissuto, di vivere la cultura praticata». La ricercatrice ovoddese passa in rassegna gli argomenti del “sempre” con uno spirito nuovo poiché filtrato da un diretto coinvolgimento di partecipazione.
LE FONDAMENTA «La tradizione continua a riemergere e a raccontarci la storia - spiega Joyce Mattu - dimostrandoci quali sono state le stratificazioni culturali che si sono succedute nel tempo. Gli elementi che la sorreggono continuano ad avere i pilastri fondamentali legati alla madre terra e non ai riti ricollegabili a Dioniso». I temi riguardanti le maschere del carnevale barbaricino, s'accabbadora, le cure della medicina popolare, le janas, la figura e la simbologia della dea madre, il don Conte del mercoledì delle ceneri, trovano linee inedite di valutazione che rimandano all'analisi che si nutre di un'infanzia che ha suggerito, di fonti bibliografiche e iconografiche che hanno descritto e di testimonianze dirette che ancora possono far vivere la memoria. Un viaggio che si apre ai confini del mondo: «Ovunque rivolgo il mio sguardo - conclude Joyce Mattu - come ad esempio in Africa, nei Balcani, in Kurdistan, in Bretagna, mi trovo sempre a casa».
Roberto Tangianu