domenica 3 giugno 2012
Di che cosa si parla quando si parla di mutos e mutettusA. M. CIRESE 1964a Struttura e origine mofologica dei mutos e dei mutettus sardi Sassari, Gallizzi, 1964?
Di che cosa si parla quando si parla di mutos e mutettus?
Quando, dove e da che ebbero origine le forme metriche sarde più tipiche ed enigmatiche, e cioè il mutu e il mutettu? Si tratta di metri esclusivamente isolani? Quale è in ogni caso il loro rapporto con la metrica non sarda in genere e con il canto lirico-monostrofico in particolare? Il mutu deriva dal mutettu, o il mutettu dal mutu? Debbono invece ricondursi ambedue alla battorina? O sono sviluppo di una qualche forma solo congetturalmente identificabile, distico o tetrastico che essa sia?
Come è ormai noto, queste o analoghe domande cominciarono a proporsi all’attenzione degli studiosi fin dal momento in cui Vittorio Cian e Egidio Bellorini riscoprirono il mutu nuorese e ne divulgarono la conoscenza.1 Ma ancora oggi [1964], a tanti anni di distanza, non possiamo disporre di risposte pienamente organiche ed esaurienti.
Il fatto è che negli studi sulla poesia sarda l’interesse per i contenuti è sempre prevalso sull’attenzione alle forme. Si è tentato, ad esempio, di determinare l’origine o l’antichità dei mutos sulla base – notoriamente incerta – delle reminiscenze storiche o degli arcaismi linguistici presenti nei testi; e lo stesso Raffa Garzia , che pure aveva inizialmente criticato questi tentativi e aveva sottolineato l’importanza essenziale dello studio delle forme, si mise poi ad inseguire nei contenuti i «nuclei primi» della ispirazione. Così non si sono avuti quegli approfondimenti della documentazione e delle analisi morfologiche che costituiscono invece il presupposto indispensabile per ogni serio tentativo di comparazione o di ricostruzione storica: recensione di tutte le forme metriche effettive, loro analisi sistematica, e conseguente classificazione razionale.
Non che siano mancati tentativi e risultati importanti in questa direzione: quello di Bellorini , innanzi tutto, il quale dette un’ottima descrizione delle tre principali forme nuoresi; quello di Domenico Valla che, pur guardando ai contenuti, intravide il legame che c’è tra l’aspetto metrico e quello contenutistico dello iato tra istérria e torrada; quelli di Raffa Garzia che constatò l’esistenza di due forme notevolmente diverse al di sotto della denominazione comune di mutettu, e che ben descrisse il metro campidanese più noto. E vi furono anche segnalazioni interessanti di talunirapporti tra mutos e mutettus e altre forme metriche: Cian avvertì subito la corrispondenza di funzioni e la diversità di forme con il canto lirico-monostrofico italiano; Francesco Novati segnalò la possibilità di confronti con i componimenti «a ripetizione» (e cioè parallelistici) della lirica galego-portoghese, con la «sestina» provenzale, con i romances glosados spagnoli; Max Leopold Wagner, Raffa Garzia e altri studiosi prima e dopo di loro, hanno indicato l’analogia che esiste tra la divisione contenutistica dei mutos e mutettus in due parti fra loro incongruenti e il salto logico presente in vari componimenti non sardi (stornelli e alcuni strambotti italiani, quartine bavaresi, quartine cinesi, talune coplas spagnole, mani turco, pantun indonesiano, canzonette russe, canti dei Galla dell’Africa orientale), e via dicendo.
Ma gli accertamenti di partenza erano insufficienti a sorreggere comparazioni o ricerche genetiche veramente proficue. Quando non si è neppure chiarito il rapporto tra le denominazioni correnti e le forme metriche effettive; quando non si sono ancora individuate tutte le forme metriche presenti nella documentazione disponibile;3 quando insomma si opera sui nomi e non sulle cose e si utilizza materiale incompleto ed incerto, allora ogni sforzo interpretativo è quasi inutile: l’inclusione dei mutos e dei mutettus nel gruppo dei canti lirico-monostrofici resta generica e improduttiva; la segnalazione delle analogie con le forme incongruenti o con quelle parallelistiche di altre aree storiche rimane puramente episodica; i tentativi di riduzione del mutu al mutettu (o di ambedue alla battorina, e simili) non danno frutto; l’ipotesi della derivazione da un distico o da un tetrastico è puramente arbitraria e spesso mal formulata.
Ora è evidente che i problemi di fondo proposti dai mutos e dai mutettus meritano uno sforzo per renderne meno improbabile la soluzione: accertare se mutos e mutettus costituiscano un unicum sardo significa far luce su un dato di primaria importanza per la collocazione della vicenda culturale della Sardegna nel quadro mediterraneo; identificare le forme specifiche del «parallelismo» isolano non illumina soltanto i fatti sardi ma reca anche un contributo alla storia generale delle tecniche parallelistiche; isolare, se c’è, il nucleo che riconduce a unità le differenti forme di mutos e mutettus, o escludere che questo nucleo unitario vi sia, integra di nuovi dati il problema generale del canto lirico-monostrofico, e così via. Siamo insomma di fronte a un nodo di problemi di interesse assai rilevante e non circoscritto: vale la pena di contribuire a scioglierlo cercando di sapere con esattezza di che cosa realmente parliamo quando parliamo di mutos e di mutettus.
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