domenica 10 settembre 2017

HANS PAULEN, DA CAPRI A TONARA, (tratto da Hans il cavernicolo di Edwin Cerio)

 

FONTE:HANS il cavernicolo



Così lo scrittore caprese Edwin Cerio lo aveva soprannominato, colpito dalle sue abitudini decisamente curiose. Abitava in una grotta affacciata sul mare, dormiva per terra, si nutriva di patelle e ricci di mare, si lava



va in una pozza d’acqua piovana scavata tra gli scogli e beveva le gocce che trasudavano da una stalattite. Ma questo modo di vivere non gli aveva impedito di frequentare il fior fiore del bel mondo che soggiornava a Capri nei primi decenni del secolo scorso: una società gaudente e cosmopolita, che riuniva personaggi mondani e intellettuali, aristocratici in declino e scrittori in ascesa. Allora, tra i tavolini dei caffè della Piazzetta o nelle ville immerse nel verde si potevano incontrare la marchesa Casati e il conte Fersen, AlbertoMoravia e Curzio Malaparte, Axel Munthe e Fortunato Depero. E poi, tutt’un tratto, comparve anche lui, Hans Paule: occhialini tondi, barba fulva, sguardo intenso, camicia a quadri e sandali francescani. Inutile chiedersi chi fosse, tutta l’isola lo conosceva. Era arrivato a Capri nei primi anni del Novecento da Vienna, dove era nato nel 1879, per raggiungere un artista, il pittore tedesco Karl Wilhelm Diefenbach, che aveva conosciuto nella capitale asburgica quando, giovanissimo, frequentava l’Accademia di Belle Arti per studiare disegno. Come Diefenbach, Paule vedeva l’isola come un luogo primordiale, una terra arcadica dove era ancora possibile vivere a stretto contatto con la natura. Una filosofia che Hans condivideva con Karl, ferreo seguace di un rigoroso naturismo, che gli aveva già causato non poche noie in patria. Ma a Capri quell’uomo dallo sguardo estatico, che indossava solo un saio bianco, camminava sempre scalzo e portava i capelli lunghi fino alle spalle, aveva trovato il suo ambiente ideale. «Capri mi basterà per tutta la vita, con queste aspre rupi che io adoro, con questo mare tremendo e bellissimo, benché in verità io vi soffra il martirio del boicottaggio dei miei connazionali, che venendo qui muovono contro di me vergognose accuse di immoralità e di empietà». Così diceva Diefenbach, un artista dal comportamento simile a quello dei Nazareni, quel gruppo di pittori tedeschi che si erano stabiliti a Roma all’inizio dell’Ottocento, abitavano in un convento e giravano la città vestiti come Gesù Cristo. A differenza però dei Nazareni, la sua pittura non era affatto ispirata agli ideali estetici di Beato Angelico o Raffaello. Tutt’altro. Nei dipinti di Diefenbach, intrisi di un simbolismo oscuro e tellurico, le rocce e gli scogli di Capri si trasformano in un mondo di visioni tenebrose, tra grotte illuminate da improvvisi bagliori di luce e orizzonti marini tenebrosi.

Ma torniamo al giovane Paule, nuovo abitante della Capri inizio Novecento, che passa le sue giornate a disegnare scorci dell’isola amata. Il suo tratto è diverso da quello di Karl. Niente visioni simboliste né atmosfere drammatiche, ma disegni dal tratto forte e deciso, di matrice espressionista.

Un’arte che Hans promuove a modo suo, tra i tavoli del caffè Zum Kater Hiddigeigei, il ritrovo degli intellettuali dell’isola. La sua autopromozione dà ottimi risultati, tanto che in una sola giornata riesce a vendere un’intera cartella di disegni. Fortunati anche gli incontri con gli abitanti più illuminati dell’isola, coi quali Paule stringe intense amicizie. Primo tra tutti Gilbert Clavel, il brillante e cosmopolita esteta omosessuale incontrato proprio al caffè. «Improvvisamente, da un punto imprecisato, qualcuno chiama il mio nome: Clavel. E un viso barbuto mi viene incontro» scrive Gilbert sul suo diario. «è così che ho incontrato Paule. Avevamo molto da raccontarci contarci, tanto che la nostra conversazione si è prolungata fino al mattino». Ma quegli anni felici non durano a lungo: nel 1915 il pittore viene confinato dal Governo in Sardegna, e abbandona Capri per diversi anni.



DA CAPRI A TONARA

Da un’isola a un’altra, la fortuna di Hans si rinnova. Si stabilisce nel cuore dell’isola a Tonara, una cittadina della Barbagia di Belvi, dove abita nella mansarda della casa di Giovanni Tore, sindaco della città. E lì, in quella dimora di pietra affacciata sui boschi, l’artista sperimenta la tecnica che diventerà il suo principale linguaggio espressivo: l’incisione su legno.

«Quel legno di castagno onnipresente, vera ricchezza di Tonara, robusto e leggero, tenero e pastoso, abituato da millenni al tormento del ferro di boscaioli e abili intagliatori» sottolinea lo storico dell’arte Giorgio Pellegrini, che ha ricostruito l’avventura artistica di Paule in Sardegna. Un’avventura che vede il pittore trasformare la mansarda in un laboratorio xilografico, dove realizza decine e decine di incisioni dedicate alla vita rurale della Barbagia. Opere in grado di interpretare il carattere schivo e orgoglioso del popolo sardo, reso dall’artista con uno stile secco e deciso, tutto giocato su forme geometriche accentuate da forti e sapienti chiaroscuri. Uomini che indossano costumi tradizionali, vecchi dalla lunga barba bianca, donne avvolte in pesanti mantelli intente a filare in silenzio. Nelle xilografie di Paule l’anima sarda torna a rivivere in un’arte sospesa nel tempo, che ricorda i primi dipinti dei protagonisti delle avanguardie russe, da Larionov a Malevic. Ma anche questo nuovo capitolo della vita del pictor spelaeus era destinato a concludersi di colpo, quando nel 1924 il sindaco Tore si trasferisce a Cagliari e Paule decide di tornare a Capri, dove rimarrà fino alla sua morte improvvisa, nel 1951. Anch’essa peraltro avvolta nella leggenda, che vede il pittore accasciarsi al suolo dopo una lunga e fragorosa risata.

Sono anni fecondi, che vedono l’artista proseguire la sua interpretazione del genius loci dell’isola attraverso la xilografia. Scorci di case, profili di scogli, vedute di casolari ombreggiati dai pini, barche con i loro rematori: immagini di una realtà sospesa in un tempo lontano, quando Capri non era ancora il ritrovo mondano del jet-set internazionale. Allora, i “compagni di strada” di Paule erano artisti che avevano identificato quel piccolo angolo di mondo come fonte di ispirazione per i loro dipinti: Raffaele Castello, Otto Sohn-Rethel, Walter Depas, Carlo Perindani. Protagonisti di un mondo documentato dal catalogo della mostra “Dioniso tra le isole. Hans Paule: un artista e il suo tempo” organizzata qualche anno fa da La Conchiglia Edizioni & Arte e curata da Antonella Basilico Pisaturo. Grazie al paziente lavoro della studiosa e di Giorgio Pellegrini, abbiamo scoperto il talento del pittore cavernicolo, che ha saputo cogliere l’anima di Capri in maniera originale e inaspettata.


IMPENSATE VISIONI


Per circa quarant’anni se ne stette qui, tranne rare avventurose scorribande in Sardegna. Ci sembra ancora di sentirlo raccontare, con la sua voce potente, la sua prima conoscenza dell’isola maliarda, allorché abitò per diversi anni nelle grotte di Capri, come a contatto col segreto della sua bellezza. Davanti alla vita di quest’uomo straordinario, noi dobbiamo chiederci se molti altri artisti seppero nell’Isola Azzurra raggiungere tale manifesta armonia fra modo di vivere e creazione dell’opera d’arte. Il dissenso eterno, la delusione che l’artista spesso sommo vi dà con l’esempio di una vita povera, in confronto alla ricchezza raggiunta dalla sua arte, in Paule non si è mai verificato. Nodose come il suo corpo – «io sono una quercia di qui» egli diceva «o una roccia» – erano le xilografie che vi mostrava, staglianti su pochi accordi di colori, ricche sempre di una fantasia suscitatrice di favole o di miti classici. Perciò la sua arte compiva il miracolo di risvegliare davanti ai vostri occhi le più impensate visioni.

Ettore Settanni Da Miti, uomini e donne di Capri