domenica 10 settembre 2017

SULLE TRACCE DI HANS PAULE (l'unione Sarda 18 marzo 2000)


Poco più di un mese fa (il tredici febbraio scorso) un articolo dello storico dell'arte sardo Giorgio Pellegrini ha portato alla luce una storia curiosa e affascinante. Quella di un pittore e incisore viennese, rifugiatosi a Capri nel primo Novecento sull'onda di una setta esoterica e poi approdato in Sardegna. Vi soggiornò dieci anni, non smise di lavorare, produsse opere di cui si era persa traccia. Dove visse? Come visse? Dove sono le sue incisioni? Pellegrini, attraverso la pagina della Cultura, chiese aiuto ai lettori. E di risposte ne sono arrivate molte, alcune delle quali eccezionalmente interessanti.
Chissà se Hans Paule amava il torrone. Interrogativo banale ma comunque plausibile, data la sede, finalmente individuata, del suo lungo confino in Sardegna: Tonara. Le preziose informazioni di due lettori dell'articolo dedicato al pittore austro-caprese, hanno confermato insomma l'ipotesi che indicava la Barbagia di Belvì come possibile area di residenza dell'internato. E così, sulla misteriosa
stagione isolana dell'artista comincia a ricamarsi una trama reale.


Sembra di vederlo, in quell'estate del 1915, scendere dal fumigante trenino di montagna, strappato all'azzurro della sua Capri per ritrovarsi immerso in un mare ombroso di verdi. Fendere quella selva lentamente, a cavallo, sino a raggiungere la bella Tonara, adagiata nella sua valle folta di castagni, sotto l'occhio vigile dell'alto Muggianeddu. Ad attenderlo in paese: Giovanni Tore, sindaco dal 1907 del Comune barbaricino, che, come spesso succedeva, grazie ai nostri eterni pressappochismi istituzionali, non ha ricevuto alcuna istruzione su dove e come sistemare l'austriaco nemico. Decide allora il primo cittadino - con bella generosità - di portarsi a casa l'incomodo ospite, la bella casa di pietra in cima al vicinato di Arasulé, il sobborgo separato, a quei tempi dal paese vero e proprio
dove Tore risiede insieme alla moglie e a sette figli, due femmine e cinque maschi. Sino alla fine della guerra, per quattro lunghi anni, Hans Paule vivrà lì, nella mansarda di casa Tore, affacciata su
quei boschi infiniti che diventano subito regno e rifugio dell'artista: profumi intensi - legno, terra, muschio - muovono antiche nostalgie alpine, di altri monti e altre foreste di un'Austria quasi dimenticata. E Paule si abbandona a quell'abbraccio enorme di foresta, da cui trarrà ben presto il materiale stesso della sua arte: il legno di castagno, onnipresente e vera ricchezza di Tonara, robusto e leggero, tenero e pastoso, abituato da millenni al tormento del ferro di boscaioli e abili intagliatori.
La mansarda di casa Tore si trasforma allora in studio e laboratorio xilografico, spazio misterioso, magico, che non può non attrarre la curiosità infantile della piccola Ester.
Ultimogenita del sindaco, è lei a portare da mangiare all'ospite, quando questi preferisce consumare i pasti da solo e non, come di regola, insieme alla famiglia nella grande sala da pranzo al pianoterra. Ammessa al prodigio e ai colori di quelle pratiche estetiche, Ester reagisce prontamente con vivace spirito di emulazione, tanto da attirare sui suoi disegni l'attenzione di Paule che la incoraggia, la segue, sino a impartirle regolarmente vere e proprie lezioni e a consigliare al padre della bambina di
non trascurare quella bella dote della figlia. Così ci racconta oggi il figlio di Ester, Sergio Ponti, a proposito di quell'artista a lui così familiare, descritto com'era, perfettamente, nei vividi ricordi della madre, che non dimenticò mai lo straniero, giunto all'improvviso da un altro mondo, a mostrarle il miracolo dell'arte.
Le cene intorno al grande tavolo, le lunghe chiacchierate invernali davanti al fuoco, le visite e l'entusiasmo di Ester: non è difficile immaginare, sotto il profilo affettivo, ruolo e importanza che quella famiglia e quella casa ebbero per Hans Paule, innocuo, ma pur sempre odiato nemico per il  resto della comunità. Né l'atteggiamento schivo, né quel cognome austriaco che suonava familiare come un nome barbaricino, servivano infatti ad attenuare un'ostilità comprensibile: risuonavano spesso, insomma, le urla di austriaci traditori! I ad accompagnarlo durante le timide sortite in paese, quando non erano poi i più piccoli a bersagliare lo strambo capellone con poco gradite palle di
neve.
E allora, specie se il tempo lo permetteva, alla protezione delle pareti amiche di casa Tore, Paule alternava le lunghe, solitarie passeggiate nelle viscere dei boschi incantati di Arasulè, e oltre. Molto oltre, se è vero, come testimoniano ancora i racconti di Ester Tore al figlio Sergio, che non poche volte i carabinieri di Sorgono lo riportarono impettiti al sindaco imbarazzato.
Chissà se in quelle selvatiche e godute peregrinazioni si sarà mai imbattuto, il nostro, nel mitico tiu Boboari, vetusto pastore - l'occhio fisso nel vuoto dell'Aldilà - capace di parlare con i morti, o peggio abbia mai incrociato su masch'inganna, orribile demone silvestre che soleva mostrarsi in guisa di bella giovine tonarese, dalla cui gonna però - vera Baba Yaga barbaricina - sporgevano zampacce artigliate di grifone.

In verità, a vedere le sue opere di quegli anni, sembra che Paule fosse più attratto dalle policromie smaglianti dei costumi tradizionali che dai fantasmi della foresta. Un pittore di Capri, che ha avuto modo di leggere l'articolo pubblicato il 13 febbraio sull'Unione, ci scrive di due piccoli quadri dell'austriaco in suo possesso, dei quali ha finalmente capito l'ambientazione: dai costumi rappresentati aveva sempre pensato a un soggetto... russo. Interpretazione affatto plausibile, data l'affinità cromatica e primitivista delle scelte formali di Paule con certa figurazione di una Gonciarova o di un Larionov, vicina peraltro anche quella a comuni modelli espressionisti.
Matrice linguistica, quest'ultima, evidente in un'altra xilografia del nostro, di cui cortesemente ci invia copia un altro nipote di Giovanni Tore, figlio di Attilio, il fratello maggiore di Ester. Il lettore, di cui rispettiamo la volontà di non apparire, è in possesso di una matrice originale in castagno, intagliata da Hans Paule, in cui si riconosce la figura di una filatrice. Il soggetto è Io stesso della già citata cromoxilografia di proprietà della Società bonifiche sarde di Arborea, ma la tavola, oltre ad essere priva del monogramma dell'autore, presenta alcune caratteristiche che non consentono di considerarla madre di quella stampa, si tratta molto probabilmente di una pregevolissima matrice intermedia.


Risalta comunque la perfetta essenzialità del segno di Paule, il contrasto deciso di vuoti e di pieni - bianchi e neri sulla carta - a fissare l'asciutta sobrietà del costume muliebre: eleganza barbarica che si riflette, brillante, nell'austero equilibrio compositivo dell'immagine. Un'altra opera si aggiunge così al brevissimo repertorio dei lavori di Hans Paule presenti in Sardegna, di cui al momento si ha notizia. E gli altri?
Le testimonianze portate dai due nipoti del sindaco Tore evocano, ambedue, l'interno della mansarda dell'austriaco affollato di dipinti, stampe, matrici e tutto lo strumentario dell'artista, pittore e incisore. E ancora raccontano della commossa dipartita dell'ospite alla fine della guerra. Bagnato dalle lacrime di Paule, da quelle non meno fluenti di Ester e dagli occhi umidi dello stesso sindaco, arriva
inevitabile il momento del distacco: è allora che l'austriaco chiede al Tore la cortesia di custodire tutto il suo armamentario, opere comprese, sino a un suo ritorno, che però, a quanto pare non avverrà mai.
Il sindaco. concluso nel 1919 il suo lungo mandato, si trasferisce a Cagliari - intorno al'25 - con tutta la famiglia e affida il fondo Paule a un parente della moglie, tale Mario Pistis, fotografo e discreto pittore dilettante, che aspetterà invano il promesso ritorno di Paule. Se dobbiamo prestar fede al già citato articolo di Edwin Cerio, dalla fine della guerra Hans Paule si trattiene per altri sei anni in Sardegna - sino al 1924 - e viene persino "accolto amorevolmente da una banda di malandrini":
certo è che non ritorna più a Tonara a ritirare le sue cose. Rientrato a Capri continuerà a dipingere e a produrre splendide xilografie sino alla morte, avvenuta nel 1951. Quattro anni dopo, in un tremendo fatto di sangue che sconvolge Tonara e il circondario, Mario Pistis perde la vita: la casa, con tutto ciò che contiene, viene sigillata dai carabinieri. E il mistero continua. Come e dove ha trascorso Hans
Paule, non più costretto al domicilio coatto, quegli altri sei lunghi anni in Sardegna? Che fine hanno fatto i suoi averi, affidati in custodia a Giovanni Tore e da questi a Mario Pistis? E a Tonara? Possibile che il ricordo di quest'uomo sia svanito nell'ombra umida dei boschi di Arasulé?
La ricerca continua. Ma viene da chiedersi se la risposta a tutti i nostri quesiti non sia forse nel senso ineluttabile di quelle famose rime, del cantore tonarese Peppino Mereu, dedicate, ai primi del secolo scorso, all'amico Nanni Sulis, leggendario medico condotto. "Nanneddu meu / su mund'est gai, / a sicut erat / non torrat mai".