lunedì 8 novembre 2010

Sardigna Cara 1990. di Raffaele Casula - La serenità e l'inquietudine prefazione al libro di Natalino Piras

 





Niente è più convenzionale, soprattutto in poesia, di una Sardegna cantata da dentro il villaggio con la serenità di un uomo che ha vissuto e perciò goduto, amato e sofferto. Su questa vita, propria e altrui, il poeta o cantore che dir si voglia, esercita come un dominio di saggezza, un distacco che registra avvenimenti grandi e piccoli e al contempo li analizza e li giudica. Potenza del fare versi.

È necessario intendersi a questo punto sul significato che qui vogliamo attribuire a quel "convenzionale" d'inizio, che in un certo qual modo è diverso rispetto al valore d'uso della parola, un significato che si addice alla norma e quasi mai alla trasgressione. La norma, quando si parla e si scrive di poesia sarda in lingua sarda, è appunto, per i costruttori di parole nel chiuso del villaggio, la serenità. Il tumulto interiore viene alla luce non come lacerazione di giorni ma nella dimensione di tempo epico: una necessità da percorrere per poterla compiutamente descrivere.

Pensiamo alla serenità interiore che emana dai versi, tanto per restare nei classici, di Pietro PisurziLuca Cubeddu e Melchiore Dore, dove la loro missione sacerdotale (curare anime per lenire la sofferenza dei corpi) è tutta nella loro capacità di fare poesia.



"Ti cunservas che turtura innozente / Chi de ogni bruttura 'olat attesu". Scrive Padre Luca (1).

Il rovescio di questa situazione è Remunnu e Locu che dice:

"Latte chene mezzoratu / m'at datu Diegu Brunnu / de s'abba chi b'a ghettatu / si nch'ide' s'acu in funnu" (2).

La metafora è chiara. È un segno di differenza nel villaggio globale della poesia che produrrà la "scapigliatura" di un Peppino Mereu e che ha già registrato al suo interno voci di dissonanza, di non serenità, siano esse appartenenti ad un'Istituzione (il sacerdote Diego Mele) o siano invece di dannati senza scampo (Antonio Domenico MigheliSalvatore PoddigheBatore).

Una volta definiti l'apparenza e i lati oscuri del villaggio convenzionale, possiamo dire che tutti questi segnali ritornano nella poesia del tonarese Raffaele Casula, portata con amore dell'universo e di mondi così come di cose evenemenziali. Tonara è per Casula, che vi è nato e vissuto, il punto di emanazione e il ritorno, la misura (il senso della misura) del tempo. Per il lettore, questo mondo a misura tonarese è un viaggio di conoscenza e di riscoperta che si conclude e ricomincia quando la saggezza del poeta annota:

"m'incamino s'eternu riposu / senz'imparar'e comente vivire" (p. 229).

La serenità totale viene rimessa in discussione dall'inquietudine finale. Indagando dentro la conventio poetica, dentro la pace e il suo sogno (per prendere il titolo del primo libro di Casula, Sonnios de pazie appunto) ne emerge un reticolo di contraddizioni.

Tra le più evidenti, l'uso della lingua. Sia in questo Sardigna cara come in Sonnios, Casula usa una lingua di inappartenenza (il logudorese classico) così come ha fatto Peppino Mereu e così come in un'altra latitudine del pianeta Sardegna fa Giovanni Maria Cherchi che ricorre al sassarese per scrivere versi. L'uso del logudorese convenzionale (un uso corretto) permette a Casula di uniformarsi al sentimento del tempo (e dei tempi) pur restando dentro il suo villaggio. Riversata in un codice più diffuso, la lingua del villaggio resta come contesto, come condizione indispensabile per la narrazione, dove l'esperienza di una vita si offre al lettore senza infingardaggini, in abundantia cordis.

Questo libro è insieme memoria individuale ("Prìte ca Peppe Zucca antigamente..." - p. 43) e continua critica versus "piliesses ostinados / chi / semenan in su mundu sa paura" (p. 14). Casula computa versi con la terribile umiltà di cui sanno essere capaci i cantori di paese e quindi anche con tutta una necessaria superbia costruita sul pane sudato e sulla povertà.

Nella galleria di ritratti che hanno Tonara come riferimento obbligato ("Tonar' est un'amenù / paradisu de irde verdaderu..." - p. 199), tra letizie familiari e senso del vissuto, tra interpretazioni di eventi e notizie ("Su paba / chi non giambat sos affannos" - p. 86-87), il poeta è colui che "finas a s'ultim'ora... disizat / e isperat ancora" (p. 33). La vecchiaia, uno dei temi ricorrenti nel testo, contraddice se stessa. Il poeta pretende di continuare a vivere nonostante la tragedia che scoppia all'improvviso come il fulmine per far perire "solu cudd' innozente criadura" (p. 115). Dopo e insieme alla solitudine del tragico, continua la poesia.

E così, attraverso corsi e ricorsi di storia paesana e non, con ritorni di personaggi prima umiliati e poi esaltati (uno per tutti Berlinguer), attraverso grida per la pena di morte e omaggi a MontanaruBustianu Satta e Mereu, con l'ossessione del fuoco davanti agli occhi (cussu male), il poeta non rinuncia, non può rinunciare, alla contemporaneità e avverte (p. 115):

"Sos pizzinnos chi deris fin s'amore / de s'innozente brama mai istanca / si dan'a sa sustanzia bianca / e olvidan s'andera de s'onore."

Se la poesia è un continuo ritorno all'innocenza dell'infanzia e alla sua profanazione, chi, per mestiere o per passione scrive versi, non può da questo innesco ciclico di vita e di vite, mai distaccarsene.

Natalino Piras Nuoro, gennaio 1990

Note Aggiuntive

1.     L. Cubeddu in Il meglio della grande poesia in lingua sarda. Cagliari, Della Torre, 1975. P. 72-73.

2.     Cfr. G. Albergoni - N. Piras, Quale Memoria pro so' remitanos. Bitti, Liberatzione, 1983.

martedì 27 luglio 2010

DA ARASULE' AD OVARO

Di Giovanni Mura


Arasulè




Motivo della visita ad Arasulè


Salire oggi ad Arasulè sfruttando il passaggio di Viale della Regione, la nuova arteria a pendenza zero sorta negli anni cinquanta del secolo scorso, è molto più facile che in passato quando le vie d’accesso al rione erano a dir poco proibitive.
A partire dalla strada provinciale, asse viario che attraversa in direzione est-ovest l’intero abitato di Tonara lasciando alla sua sinistra in basso i vicinati di Teliseri, Toneri e Su Pranu e sulla destra in alto quello di Arasulè, si staccano in direzione di quest’ultima grossa frazione le seguenti diramazioni:
a) La prima ha origine all’altezza del bivio per Toneri e porta, dopo una settantina di metri circa, alla contrada di Su Tzurru. Si tratta di un sentiero interpoderale contrassegnato dalla forte pendenza e da una ridotta base di calpestio. Negli ultimi decenni questa salitaccia è stata rimodellata secondo gli schemi di scalinata dai molti gradini e dai diversi piani di riposo. Nonostante questa innovazione sono sempre pochi i pedoni e gli animali che vi transitano. Per pura curiosità vi sono passato diversi anni fa ma ho dovuto fare molta fatica per poter aver ragione dei rovi e degli sterpi boccheggianti dalle siepi di confine.

b) La seconda, denominata Coa Igna, indirizza verso la contrada di Carigheri. Si ha a che fare con una prima rampa, quindi con un tratto leggermente pianeggiante ed alla fine con una ripida salita. Per raggiungere, tra la fine degli anni quaranta e gli inizi degli anni cinquanta, i locali della scuola media ubicati nella sede dell’ex Municipio, non potevo fare a meno di sfruttare questa scorciatoia. Vi sarò transitato un migliaio di volte.

c) La terza ha inizio nei pressi della casa padronale dei Porru, attraversa il quartiere di Sant’Antonio e termina con l’ingresso nella contrada di Istraccu.


d) La quarta prende l’avvio dall’altezza delle vecchie aie pubbliche, oggi sede di scuole elementari, medie e superiori, e si sviluppa su un tracciato che va a recuperare in maniera agevole la precedente via d’accesso per unificarsi ad essa.
e) La quinta rappresenta l’asse periferico che unisce il rione, di Su Pranu con la nuova contrada di Pilosu in Arasulè. 

Intorno alla metà degli anni cinquanta, l’apertura al traffico della via di comunicazione che collega Carigheri con il quartiere di Sant’Antonio ha consentito sbocchi molto interessanti per la borgata di Arasulè ed i restanti rioni. Stiamo trattando del Viale della Regione, l’arteria di cui ho fatto cenno all’inizio. 
E’ da tempo che avevo programmato una visita ad Arasulè. Mi ero sempre ripromesso di effettuare una visita nella parte alta del vicinato, quella riguardante le contrade periferiche estreme, rappresentate dai sotto siti rionali di Santa Maria, Muragheri e su Tzurru, ma i tempi di abboccamento sono stati sempre infruttuosi. I giorni, i mesi e le stagioni si sono sempre rincorsi velocemente, come i fogli di un libro. La terza età mi ha quasi colto di sorpresa senza poter soddisfare questo mio piccolo grande desiderio. Sarà per un’altra volta, ma quando. L’occasione propizia si è presentata con il ventaglio di proposte offerto da Cortes apertas, la rassegna che nel periodo autunnale interessa molti paesi della Barbagia centrale e di quella superiore e che in questi giorni di fine settembre 2006 fa tappa a Tonara.
Finalmente mi ritrovo al termine del Viale della Regione, all’estremità inferiore di Arasulè, il rione che, adagiato sulla montagna, volge lo sguardo a mezzogiorno verso il fondovalle. Ho percorso più di settecento metri a partire dal centro di Su Pranu, il nuovo rione sorto su una zona pianeggiante agli inizi degli anni cinquanta del secolo scorso. Da questo punto mi si presentano i seguenti percorsi possibili:

a) Sulla destra, una strada a tangente zero, mi permette di transitare nelle contrade di su Fossu, con il suo manipolo di case arroccate sul greto di un avvallamento, Funtana Idda, con il caratteristico viottolo che porta in alto verso le vecchie poste, Lasina, con la bianca abitazione appartenuta a Giovanni Sulis, il medico del paese dei primi anni cinquanta, e su Tzurru, con la strada campestre che porta verso Galusè, la fonte decantata da Peppino Mereu.

b) Di fronte la scuola media del passato, funge da spartitraffico tra due salite che, con angoli tangenziali di pari severità portano verso Su Montigu, nel cuore di Arasulè, e verso Su Forreddu. Quest’ultima contrada, ubicata all’estrema periferia nord-ovest, ci consegna al suo passaggio la severa abitazione di Raffaello Pulix, segretario comunale per diversi decenni nel periodo a cavallo dell’Ottocento e del Novecento, il laboratorio adibito a barberia di Mameleddu, un poeta estemporaneo del secolo scorso, ed in alto, dopo aver superato una salita veramente impegnativa, le residenze estive della colonia estiva e dell’ostello della gioventù.




c) Alla sinistra Sa Caladorgia, la via cara ai notai del settecento e dell’ottocento, conduce ad Istraccu, la contrada che i censimenti del passato identificavano con la denominazione s’Arcu.

Il percorso che andrò ad affrontare ripete le stesse mosse seguite da Gabriele Carta, il sacerdote incaricato nel 1829 di redigere il censimento del rione, nel passaggio attraverso le contrade di Su Fossu, Funtana Idda, Lasina, Su Tzurru, Muragheri, Santa Maria, Su Montigu, Su Forreddu, S’Arcu, Sa Caladorgia e Carigheri.




Dei siti residenziali citati, oggi non si fa più menzione di S’Arcu (l’odierna Istraccu), Sa Caladorgia (via XX Settembre) e Su Fossu, completamente inglobato nella contrada di Funtana Idda.




Per quanto concerne la configurazione territoriale, eccezione fatta per la nuova sotto frazione di Pilosu, valgono approssimativamente le stesse coordinate dell’Ottocento.



Le contrade

Su Fossu 




E’ la contrada ubicata nella parte più bassa del vicinato. Il suo accesso è nel punto di confluenza di Coa Igna, la strada che porta ai rioni inferiori di Toneri e Teliseri, con il Viale della Regione, l’asse viario che regola il traffico automobilistico e pedonale per il nuovo rione di Su Pranu, e con le diverse vie che indirizzano verso la parte alta di Arasulè.




Poche le segnalazioni su questa sotto frazione che si affaccia a mezzogiorno sulla grande vallata tonarese. Appena 6 le famiglie conteggiate nel 1829 per un totale di 35 anime. Nulla posso precisare intorno all’altimetria. Saremo intorno a quota 930. Gli unici dati di cui dispongo sono quelli del La Marmora, le cui osservazioni barometriche facevano registrare 956,12 metri per Arasulè, 973,62 per Su Nuratziu e 815,61 per Teliseri, e quelli segnalati sulle cartine stradali con dati per Tonara sui 925 metri. Tutto intorno le montagne volano verso quota 1500. Il massiccio del Gennargentu è più avanti, dietro le nuvole, e la dietro ci sono salito due volte, nel 1953 e nell’anno 2000.
Oggi come allora sono sprovvisto di macchine fotografiche e taccuini per appunti. Poter disporre di un altimetro sarebbe il miglior toccasana.

Nelle vesti di visitatore di turno mi sentirei un estraneo a tutti gli effetti se non valesse il principio che in questi giorni di rassegna di arti e mestieri mi sento legittimato a pieno titolo ad inseguire qualsiasi percorso fra quelli presentati dagli organizzatori. In altre circostanze chiunque si avventurasse all’interno delle varie contrade dei diversi vicinati sa che il suo comportamento verrebbe sottoposto al vaglio della curiosità, del controllo a vista e del sospetto dei residenti. Ma questo è un luogo comune che vale dappertutto, piccoli borghi e città grandi comprese. Chi è costui? Che gira da queste parti? Non si era mai visto. A titolo di esempio riferirò che una volta a Cagliari, nel transitare in un viottolo di Stampace, quello che nel suo punto medio ospita la chiesetta di Sant’Efisio e nel periodo dei festeggiamenti del martire esplode di presenze umane, mi sentii come un sorvegliato a vista. Sembrava avessi violato dei passaggi privati. Tutto il mondo è paese.

Oggi a Tonara, prima domenica di ottobre 2006, ogni visitatore si considera ospite privilegiato e come tale libero di girare dove e come gli pare, non più nelle vesti del sospettato bensì nei panni dell’inquisitore. E non gli mancheranno i motivi e gli spazi di approfondimento. Il ventaglio di proposte offerto da questa rassegna denominata Autunno in Barbagia è vario ed allettante.


domenica 20 giugno 2010

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