martedì 26 maggio 2015

Le lettere di Givannico a Mons Tore (1833.1836)

Per gentile concessione del Prof. Nino Mura pubblichiamo dal blog Pratza Manna le lettere del nipote Giovannico allo zio Mons. Raimondo Tore.
 
Cagliari, 1 giugno 1833
(Apparenti miglioramenti nello stato di salute del vescovo)
   Ill.mo R.mo Monsig. Zio Carissimo
   Non arriverà a credere quanto mi sia rallegrato sapendo per mezzo del foglio di V.S.Ill.ma R.ma di cui tanto ci ha onorato p(er) aver già principiato a rimmarginarsi la piaga del piede, e tanto più ne godo, in quanto, si metterà in viaggio, e così scansare gl’incomodi, che potrebbe soffrire in codesto luogo inoltrandosi il calore.
   Del nostro canonico poi non ne ho più saputo, se siasi del tutto ristabilito della sua lunga malattia.
   Le bacio le mani con tutto rispetto protestandomi al solito, e pregandola dei miei rispetti al Can.co Don Efisio
Di VS. Ill.ma R.ma
   Cagliari 1 Giugno 1833
Umil.mo Obb.mo nipote
Giovannico



Cagliari, (10?) ottobre 1833
( Giuannicu chiede allo zio vescovo dei libri in prestito )
   Ill.mo R.mo Monsig. Zio
   Per uno che vuole approfittare, e sapere sono ancora necessarj che s’abbiano i Regi Editti, ed i Pregoni dei ViceRè, perché li, si trovano alcune leggi, che tuttora sono in vigore, e le massime adottate dai Tribunali, cose tutte (ripeto) necessarie per pratica anche per un Ecclesiastico.
   VS. Ill.ma mi sembra che gli abbia tutti questi Editti, perché mi ricordo, che l’anno scorso mi sono passati per le mani, nel caso avrei piacere, e la prego mandarmeli con qualche uomo, che possa venire, ed io appena letti, ed accopiati [intendi copiati] alcuni, gli rimetterò subito.
   Giovannico Cabras (1) mi dice, che ancora è indeciso, ma il più certo si è, che il Rettore lo metta in qualità d’alunno per un anno, finchè si potrà ritirare lui a Cagliari.
   Antonio gli presenta i suoi ossequiosi rispetti, ed io pregandola al solito dei miei saluti alla famiglia, mi protesto
Di VS. Ill.ma
   Cagliari li [10?] 8bre 1833.
Giovannico
   Note:
1)         Nel censimento parrocchiale del 1829 è segnalato nel rione di Arasulè, in contrada denominata Carighedi, un adolescente di 9 anni  di nome Giovanni Cabras. Nella abitazione, la 313° della grossa frazione tonarese, i dimoranti, oltre al nostro Giovannico, sono i genitori Basilio Pietro e Luigia Floris, i fratelli Giuseppe, Maddalena, Antonio, Giovanni, Giachino e Teresa ed il servo Michele Cabras.


Cagliari, 23 novembre 1833
( Giuannicu riferisce allo zio dell’indisposizione del fratello Antoneddu – Regole da rispettare per diventare esperti nel diritto: tirocinio per un quadriennio e serietà di intenti )   
   Ill.mo R.mo Monsignor zio
   Antonio non si è ristabilito ancora, ed è tuttora nello stesso stato; dice essere un’infiamazione alle viscere, o un principio almeno, ma io credo, che siasi alterata la milza, che era già quattro o cinque anni senza più molestarlo. Per questi motivi come V.S. Ill.ma vede non è stato possibile potersi presentare a Don Giuseppe Musio.
   Io poi in quel che posso non lascio d’approfittare delle cose, che ci dice, e ci insegna D(otto)r Mameli. Frequentemente ci da delle massime, che un uomo è bisogno, che abbia per regolarsi, e dei consigli sullo studio d’un legale, che non si metta cioè a far niente senza che almeno abbia dei principj buoni, ma far bene la pratica per i soliti quattro anni, e continuar sempre.
   Parla cosi lui perché i giovani colla speranza, e coll’avidità di lucrare quanto prima, dopo che appena han fatto anno e mezzo, o due anni di pratica si mettono a lavorare, e si perdono, e non potranno niente riuscire, o se riescono qualche cosa, non potranno esser nepur la metà di quello, che doveano essere.
   Io ne sono più, che persuaso di ciò, perché scrive Monsig(no)r Bua che per preporre al governo d’una parrochia basta un semplice moralista bravo, dei quali se ne trovano molti nelle Diocesi, ma un bravo, e quel che possa dirsi legale appena se ne trova uno, ed occorrono affari ai quali non può darsi esito per non sapere come diportarsi, e bisogna scrivere a Tizio, e a Sempronio ad illuminarsi giaché noi altri non ne abbiamo alcuno.
   Intanto bacciandole le mani, e salutandola a nome d’Antonio mi protesto con tutto rispetto.
Di V.S. Ill.ma R.ma
   Cagliari 23  9.bre 1833
U.mo obb.mo nipote
Giovannico


Cagliari, 21 dicembre 1833
( Unitamente alle espressioni di gratitudine e riconoscenza, Giuannicu porge allo zio  gli auguri più sinceri per il santo Natale )
    Ill.mo R.mo Monsignor zio
   A me più che a qualunq’altro spetta in ogni occasione manifestare a V.S. Ill.ma il mio riverentissimo ossequio, e gratitudine per ragion non tanto delle immense obbligazioni da me contratte, ma anche per l’impareggiabil suo merito.
   Però ripeto, se il mio riverentissimo ossequio verso la prefatta  V S. fosse capace d’accrescimento, lo spererei dall’augurio di felicità , che io di tutto cuore le invio nel vicino santo Natale, supplicandole gradire colla sua innata generosità, e magnanimità l’adempimento di questo mio ufficio, nel mentre che con tutto il rispetto mi protesto.
Di V.S. Ill.ma R.ma
   Cagliari  li 21  D(icem)bre 1833
U.mo Ubb.mo nipote
Giovannico




Cagliari, 28 dicembre 1833
( Suggerimenti per una migliore esposizione scritta )
   Ill.mo R.mo Monsignore Zio.
   Io con questo foglio intendo ringraziarLa con tutto il mio animo dell’avviso che mi ha fatto questa volta su la maniera dello scrivere, che dovea piuttosto avere, e prego farmene sempre di questi avvisi, perche altrimenti credendo, che tutto và bene, e nessuno c’avverte, ce ne andiamo così stesso.
   Bisogna però sempre dire, che su tall’oggetto veruno, di quelli che avea cura d’insegnarmi, se ne è curato, ma me ne sono sempre andato al naturale, ne mai mi si è detto, che questo sentimento andava bene, quell’altro male.
   Disgraziava Sig(no)r Zio per la gioventù, perché i signori maestri lusingano, e adulano i loro allievi dicendo, che tutto và bene.
   Dottor Mameli anche, che è un uomo, che dice la verità, mi ha detto, in alcuni scritti, che ci ha fatto fare su alcuni punti di dritto, a scrivere con maggior semplicità, e usare un stile laconico, e sucinto, che dell’altro tutto andava bene.
   Ecco quanto tutto mi occorre nel mentre che bacciandoli le mani mi protesto
Di VS Ill.ma R.ma
   Cagliari  li 28  D(icem)bre 1833
U.mo Ubb.mo nipote
Giovannico





Cagliari, 1 marzo 1834
( Impossibilità temporanea per un predicatore di esercitare le sue funzioni – Casi estremi di esaltazione e di demenza)
   Ill.mo R.mo Monsig(no)r Zio.
   Questa volta non posso darle relazione alcuna né i sermoni, poiché il predicatore non ha predicato per esser stato tutta la settimana ammalato; adesso però stà bene, e domani nuovamente principia; e mi riservo quindi per la settimana entrante.
   Il Canonico [X] stà distribuendo il suo pasto a tutti gli amici suoi, povero uomo, allegro, che finalmente a fronte di tutte le contradizioni fatte (come dice lui  stesso), dagli invidiosi, ha ottenuto di veder la sua opra stampata, ciò che desidera lui stesso prima di morire, e tant’è che alle volte dice “ora mojo contento, pocco me ne preme, già ho stampato l’opra”.  E si consola così nella sua solitudine.
   Il Canonico [Y] è divenuto del tutto stupido, ebete, e quanto ci vuol dire; così han deposto i medici con giuramento; e che sia così lo deprendo dalle risposte, che ha fatto al Giudice Eccl(esiasti)co quando è andato ad interrogarlo per costituirli un Curatore. Cioè “che presto si dovea ammogliare, che avea24 anni, che non ha beni, e chiunque vada anche della vile plebe per parlarlo, li complimenta anche con aringhe, li considera come Marchesi, e Duca”
   Ecco quanto m’occorre nel mentre, che con tutto rispetto mi protesto al solito
Di VS Ill.ma R.ma
   Cagliari  li 1 Marzo 1834
U.mo Obb.mo nipote
Giovannico


Cagliari, 10 maggio 1834
( Atto di donazione in favore del chierico Pruneddu (1) )
    Ill.mo R.mo Monsignor zio
   Tardi c’arriverà il mio foglio per non sapere ove dirigerlo.
   Ho saputo con mio dispiaccere, che ha raccolto un raffreddore forte cagionato da un colpo d’acqua; io temevo piuttosto per il sole forte, che faceva in quei giorni: meno male però, che le cose sono andate bene.
   Il Sig(no)r Intendente mi ha scritto, che ha ricevuto e lo stromento di proccura, e lo schizzo, che mi ha raccomandato per lo stromento del patrimonio da un Notajo di buon gusto sulla professione, e che col venturo corriere mi darebbe riscontro dell’operato.(2)
   Stiamo bene di salute, e preghiamo il Cielo, che conservi VS. Ill.ma R.ma in questa visita, e bacciandoLe le mani mi protesto
 Di VS Ill.ma R.ma
   Cagliari  li 10 Maggio 1834
U.mo Obb.mo nipote
Giovannico
Note:
1)       Ad un sacerdote in procinto di essere ordinato, venivano richiesti in passato, stando ai dettami del Concilio di Trento, i seguenti requisiti:
a)      Condotta irreprensibile e buon grado di salute fisica e mentale
b)      Essere figlio legittimo
c)       Disponibilità di beni patrimoniali dell’importo non inferiore ai 600 scudi. (Preciso che con uno scudo si poteva acquistare una pecora da latte)
2)      Per favorire il nostro Giuannicu si fa avanti l’avvocato Efisio Poddighe, Intendente provinciale e grande amico del vescovo Tore, il quale, con un atto notarile (stromento), fa donazione a Giovanni Pruneddu dell’immobile sito in Oristano in Via Crispi (in passato Via de is cavalleris). Per saperne di più rimando al volume terzo della collana Memorie tonaresi dal titolo Donazioni a favore di chierici locali (1706-1847)




Oristano, 22 giugno 1836
( Si concorre per la Parrocchia di Tonara. Prove scritte )
   Ill.mo R.mo Monsig.r Zio
   Ecco, che ho adempito alla parola da me impegnata, a VS.Ill.ma R.ma, come rileverà dai casi, che perciò le acchiudo. Rileverà pure allo stesso tempo, che ci hanno un pò caricato la mano per li tanti quesiti di ciascun caso, e per la diversità, e vastità delle materie. Mi sembra esser contento di me stesso. Non ho lasciato di rispondere a caso a quesito alcuno. Vede bene, che massime la specie del primo non è tanto chiara, ma un pocco oscura. Se ho sbagliato, non ho sbagliato, che tre cose sole, e non mi si devono in rigore tanto imputare, perchè la risoluzione di quei casi dipendevano dalle diverse costituzioni che vigono in ciascuna Diocesi. Spero quindi, che mi approveranno lo scritto.
   Non speravo mai che a Tonara, ed a Desulo si facesse tanto onore con un concorso così grande; poichè eravamo dieci, dei quali sei Laureati, e quattro moralisti, quali erano due Vicarj, e due Vice-Rettori. I Laureati erano quasi tutti della mia stessa era, cioè io, [B] di Pauli, [C] di Summugheo, [D] di Silì, [E] di Nuragus, e [F] Vicario d’Ovodda. I Vice Rettori erano quello di Desulo, e quello di Summugheo. I Vicarj, quel di Nurachi, e quello di Nuraxinieddu.
   Le dico, che è l’esame il più tremendo, ed infame, neppure le opposiioni di Cattedra, sono così travagliose, momento per momento. Ed è azzardo grande entrare senza aver veduto tutta la morale. In qualche maniera io sono stato fortunato, perché vi sono molti punti di mia facoltà.
   Domani giorno 23 si dà per inizio ad esaminare gli scritti di ciascuno; ma non basteranno per lo meno otto giorni, così che non si verrà alla nomena meno del mese entrante.
Le presento i saluti di Sig.a Peppina (1), ed io le baccio la mano protestandomi con tutto rispetto
Di VS Ill.ma R.ma
U.mo Ubb.mo nipote
   Oristano li 22 giugno 1836
Giovannico
   Note:
1)      Deve trattarsi della figlia dell’intendente Efisio Poddighe, forse figlioccia del presule.
Nel 1827 le abitazioni dell’intendente e del vicario generale capitolare Antonio Tore sono censite in Strada della Cattedrale con i numeri 8 e 9. Nella prima di esse i dimoranti sono:
D(otto)r Efisio Poddighi
Sig(no)ra Peppica Salis mog(li)e
Sig(no)r Salvatorico fig(li)o [Chiamato anche Placido, morirà nel 1832]
Sig(no)ra Peppina fig(li)a
Sig(no)ra Cicita [Morirà nel 1830]
Sig(no)ra Vincenza fig(li)a [Morirà nel 1831]
   I domestici sono Giuseppe Maria Locci, Domenico Contini, Gian Antioco Sulas, Giovanni Usai, Salvatore Flore e Maria Piras.
   A quei tempi il titolo di signora era riservato a tutte le donne appartenenti ad un certo rango, comprese le non sposate.


Oristano, 28 giugno 1836
(Credenziali arcivescovili per la Sede di Tonara)
   Ill.mo M.to R.do Sig.r (Oss.mo ?)
   Essendo stata V.S. Ill.ma prescelta alla Rettoria di Tonara, sua patria, ho il piacere di darlene l’annunzio, ed eccitarla in pari tempo a recarsi sul posto ed entrare nell’esercizio di sua destinazione, avendo quella Parrocchia gravissimo bisogno della presenza del Suo Parroco.
   Lasciando a V.S.Ill.ma l’arbitrio di dirigersi a Roma per la via che stimerà onde ottenere dalla Sede Ap(ostoli)ca la Bolla, avrà la compiacenza di rimettere presso di me la Procura, che può fare in capo allo stesso R(egi)o spedizioniere Sig. Gio(vanni) Batt(ista) Orengo, con cui Ella lo autorizza a presentarsi nell’Ap(ostoli)ca dataria a di Lei nome, ed ivi in forza della Procura accettare i pesi inerenti alla rettoria compensivamente a quello di L(ir)e 150. che il Rettore voleva corrispondere per la manutenzione delle Chiese filiali.
   Se avesse in Roma altra persona di sua confidenza la procura può farla in capo a quella persona. E’ però necessaria questa procura anche per affrettare la spedizione della Bolla.
   Resto nella dolce lusinga che l’assiduità avrà Ella per disimpegnare le attribuzioni della Sua carica, sarà uguale a quella ebbe allo studio, con cui se l’ha meritata, e sono con verace stima
Di V.S.Ill.ma M(ol)to R(everen)da
Oristano li 28. Giugno 1836
Dev.mo Aff.mo Serv(itor)e
+ Gio M(ari)a Arciv(escovo)

[La lettera risulta indirizzata
  Al Sig(nor) D(otto)re Gio(vanni) Pruneddu
        Rettore di Tonara
          (Villacidro)]


Cagliari, 9 luglio 1836
(Corredo per il prete novello)
   Ill.mo R.mo Monsig.r Zio-
   Io cercherò in quanto potrò, a ciò tutto che VS. Ill.ma R.ma mi fà presente, soddisfare con quell’impegno che deve in coscienza un parroco, però sempre è vero, che non farò più di quello che può fare un sol individuo, se altri non verranno in mio aiuto: un sol pensiero mi travaglia, qual’è quello, che avendo  la buona volontà di rialzare, e reedificare le chiese, non m’intenda di queste cose, onde facilmente potrò esser burlato come un giovine non tanto accorto della materia.
   Ne ho mandato con Sig.r Luigi un pajo scarpe di VS. Ill.ma; la libra per della cera lacca, se prima non ho occasione, la porterò io stesso.
   Ho preso a conto di VS. Ill.ma quanto la medesima mi raccomanda riguardo a quanto io devo esser provveduto in qualità di Rettore, dal Sig.r Saggiante come uno confidente, da VS. Ill.ma suol comprare, ad eccezione del fornello, e turra caffe, che ancora conservo nuovi, ad eccezione anche d’uno spadino, mezzo spadino, timballo, e mezza luna, e colabrodo, che non ho preso per non conoscere uno che possa darmeli a credito, ma per queste cose non mancherà tempo.
   VS. Ill.ma R.ma mi ha raccomandato anche prendere da chiunque mi darà fede a nome della medesima due servizzi da tavola, cioè due tovaglie, e cuciti sei serviette, e sei sciugamani: per questa robba non ho altro da cui prenderla se non dal Sig.r Lorenzo Cima, quanto grande negoziante altr’e tanto galant’uomo, il quale si è offerto dare a VS. Ill.ma R.ma ed a me, quanto potessimo desiderare dalla sua bottega da pagarsi a convenienza, come lo rileverà dalla sua lettera, che le acchiudo, affinchè si degni rescriverli di qual qualità vuole il bordattino.
   E più io le devo far presente, che non tanto abbisogno di due apparechi di tavola, e sciugamani, ma ancora per lo meno di quattro paje di lenzuola, e ciò per adesso; e ciò è tutto buono prendere dal Sig.r Cima assieme all’apparechio di tavola.
   Io le assicuro, che avrò degli ospiti in gran numero, e lo sanno di venire tutti quelli che mi hanno prevenuto; io gli conosco e tanto basta.
   Così stesso è necessario che prenda una dozzina di tazze per tavola, due dozzine di piatti, sei ampolle nere, e quattro carrafine, e sei bichieri di rosolio. Tutto questo è necessario per adesso. Quando poi sarò sistemato, vedrò io quel da fare.
   Monsig.r Navoni, essendo io andato a bacciarli la mano come uno residente nel suo Seminario, questa volta, non tanto mi ha ricevuto, ma mi ha offerto la sua tavola per li giorni che resto in Cagliari. Io l’ho ringraziato sommamente, e vi sono intervenuto una sola volta a pranzo assieme a Don Michele Carta Farina. Lo stesso Don Raimondo Lepori, a cui pure sono andato una sola volta.
   Oggi ero a pranzo in casa di Don Antonio Ballero, dopo che ha saputo esser amico del figlio.
   Domani in casa di Dottor Melis, e posdomani in casa del Can(oni)co Vacca, il quale ne ha pienato il luogo delle maraviglie di VS.Ill.ma, e di Villacidro, e finalmente disponga VS.Ill.ma quando possa partire. E mi creda se le dico, che ancora non ho avuto tempo a riposarmi.
   Riguardo all’andare a Tonara non tanto non conviene a VS. Ill.ma per il tempo critico da viaggiare; ma ancora tutti mi hanno detto, che non conviene neppure a me, se mi volessi conservare la pelle. Ed al consiglio di questi io vi inclini, massime dopo uno sforzo grande qual è quel del concorso, e dopo tanti viaggi dall’uno all’altro luogo.
   Can(oni)co Casula ancora mi ha fatto un bel trattamento assieme ad Ant(oni)o che lo ha invitato a pranzo.
   Io già gli consegnai li tre scudi nuovi a Giovanni Cabras ma spettava a lui accusare a VS.Ill.ma la ricevuta.
   Don Raimondo Lepori mi ha detto, che gli fornimenti della carrozza erano tutti logori, vechi, mal trattati, e quasi inservibili.
   Ho appreso il ballo sardo, appunto perchè piace a VS. Ill.ma. Se volesse farne acquisto vi è un bellissimo cembalo, valutato in trenta scudi.
   Le baccio la mano, e mi protesto con tutto rispetto

Di VS. Ill.ma R.ma
   Cagliari li 9 luglio 1836
U.mo Ubb.mo nipote
Giovannico



Cagliari, 15 luglio 1836
(Le altre coserelle di famiglia, cioè i candelieri, le chichere, i piatti – Is ateras cosigeddas po familia, comente cannelabros, tziccheras, prattos)
   Ill.mo R.mo Monsig(no)r Zio-
   Ho consegnato la lettera a Sig(no)r Cima, e gli ho raccomandato che facesse secondo la disposizione della lettera di VS Ill.ma R.ma a lui diretta. Esso ha cercato di servirmi come un’amico secondo cioè il prezzo che gli è stato fissato.
   Per i materazzi io non mi sono arbitrato prender più di una pezza che potrà fare quei sette materazzi, ancor che VS Ill.ma lo abbia autorizzato prenderne per lo stesso oggetto due pezze; ma siccome non ha fissato di quanti palmi, né per quanti materazzi, perciò è che per adesso non ne ho preso che una pezza, riservandomi nel caso dopo che vedo altri ordini.
   Mi sono arbitrato prender più di due tapetti per tavola che le piaceranno, d’un capello per me da prete. Le altre coserelle di famiglia, cioè i candelieri, le chichere, i piatti, ampolle, ed altre cose simili per adesso necessarie, le ho prese da Saggiante, ad eccezione di una dozzena di bichieri di rosolio, d’una dozzena di vino bianco, di sei ampolle nere per tavola, di due saffate, e di tre piatti per lavare, che le ho prese dal Sig(no)r Lorenzo stesso non avendone ritrovato da Saggiante.
   Non avendomi spiegato cosa debba farne della robba presa, io credo opportuno rimetterla con Giovanni (Vallesa?) a VS Ill.ma R.ma. Avrei piacere, che mi significasse, se la terraglia si debba mandare in dirittura a Tonara ben disposta entro una cassetta facendo venire un’uomo, oppure in Villacidro; Caso mai si debba mandar in Tonara, lascio la raccomandazione ad Antonio, che la rimetta dopo la mia partenza da qui.
   Per la robba mia personale fatta da Maestro Efisio Satta è necessario che prenda un baule da Signor Lorenzo, altrimenti non è possibile, perché io non  ho altro recipiente; tanto un baule mi è necessario
   [Nel documento originale, dopo la parola necessario, priva del dovuto segno di interpunzione, si va direttamente in terza pagina dove la linea discorsiva non sembra essere avallata da una logica consecutio; ciò mi induce pensare che un eventuale foglio compiegato all’interno della lettera sia andato smarrito]
   Cerco di fare le visite, che non ho fatto ancora.
   Si è avuta una recente, ma positiva notizia d’essersi nuovamente il Colera negli Stati  di Terraferma del nostro Sovrano, e tant’è che il vapore venuto avantjeri, è in osservazione per dieci giorni; ed i passeggeri, tra i quali vi è il Can(oni)co Murgia, sono nel Lazaretto. Can(oni)co Vacca è dispiaciuto per questo verso, che svilupandosi nuovamente, non può fare per quei luoghi il suo viaggio.
   Le bacio la mano, e mi protesto con tutto rispetto
Di VS Ill.ma R.ma
   Cagliari li 15 luglio 1836.
Um(ilissi)mo Ubb(idientissi)mo nipote
Giovannico