LA NUOVA SARDEGNA
TONARA Rione Toneri, a pochi passi dal centro abitato di Tonara. Qui giacciono in silenzio quelle che furono le mura della chiesa di Santa Anastasia, per i tonaresi Santa Nostasìa, poi divenuta per troncamento Santa Nosta. Nostra, per l'appunto, perché gli abitanti del paese quella chiesa la sentivano propria, sin dal XIV secolo quando, una rappresentanza di monaci Vallombrosani, valicato il Tirreno, giunse dall'Etruria in Sardegna dove edificò ricchi e splendidi monasteri, governando un gran numero di villaggi rurali. Oggi, a testimonianza di quella che fu sino al 1820, la prima chiesa parrocchiale della cosiddetta Villa Tunare, rimangono solamente pochi ruderi, forse ciò che resta del presbiterio. Un cumulo di macerie che ha voglia di raccontare la sua storia, intrecciata indissolubilmente alla comunità tonarese, ricca di particolari spesso taciuti e di enigmatici misteri. Correva l'anno domini 1341 e, come risulta dai registri delle Relationes decimarium Sardiniae, un sacerdote della diocesi arborense, Gregorio de Liusque, rettore delle chiese di San Bartolomeo in Meana Sardo, di Santa Anastasia in Tonara e di Santa Maria di Laonissa e Spasulè, pagava la decima all'esattore Giovanni Almerici. L'edificazione della chiesa di Santa Anastasia è pertanto da inquadrarsi in una data, non meglio precisata, a cavallo tra la fine del XIII e l'inizio del XIV secolo, come storicamente confermato dai tre archi di ispirazione gotica, le relative volte a crociera dalla cui intersezione «pendevano grossi pomi di pietra ricordati ancora dal popolo come is campanèddas». Questi, sono gli anni nei quali i "monaci forestali", giunti in Sardegna con finalità evangeliche, lasciano le loro prime tracce nei territori della Romangia, amministrando le chiese di Santa Maria di Sennori, Santa Anastasia di Tissi, Santa Eugenia di Musciano e San Simplicio di Essala. La stessa congregazione che abitò il monastero adiacente a Santa Anastasia in Toneri, ne edificò la chiesa in un punto centrale con vista sulla valle e che, probabilmente, grazie alla propria vocazione naturalistica, introdusse il nocciòlo e il castagno nei territori della Sardegna centrale, prima di abbandonare misteriosamente il territorio. La vita parrocchiale proseguì senza particolari risvolti sino al 1820 quando, come riporta il Casalis, la chiesa di Santa Anastasia in Tonara, fu profanata e distrutta per assenza di dote e quindi abbandonata nuovamente e in maniera definitiva dalla comunità tonarese. Questa circostanza lascia, tuttavia, alcune perplessità. Se è vero, infatti, che l'abbandono di una chiesa per assenza di dote o pertinenze, non fosse di quei tempi qualcosa di insolito, lo è, sicuramente, per le modalità con le quali avvenne. In particolare, non è chiaro il perché i tonaresi, che all'epoca pare non disponessero dei mezzi necessari al sostentamento della chiesa, ne edificarono delle altre, nonostante Santa Nosta fosse storicamente la prima e più importante del territorio. Gli elementi ricostruttivi non sono in grado di spiegare con raziocinio questo nuovo abbandono della chiesa. Tuttavia, come spesso accade quando si parla di Sardegna, la storia si intreccia con le credenze e le superstizioni del luogo, dando una direzione differente ai fatti, in antitesi, spesso, alla verità. C'è, infatti, chi si appella alla tradizione orale e suggerisce che forse la chiesa fu avvolta da una maledizione; oppure che il popolo seguì un'antica leggenda secondo cui fu lo stesso Arcangelo Gabriele a chiedere che l'attuale chiesa, eretta in suo nome, venisse costruita poco più a Nord di Santa Nosta e fosse la principale del paese. Così San Gabriele divenne il patrono, e Sant'Anastasia, che cade in settembre, non venisse commemorata fino all'arrivo dell'attuale parroco padre Giovanni, il quale ha ristabilito legittimamente la celebrazione di una messa nel luogo in cui un tempo la Santa era venerata.