lunedì 6 ottobre 2025

Tonara Blog: vent’anni di racconti dal cuore della Barbagia e del Mandrolisai


di alusac eleirbag

 Ci sono luoghi che non si limitano a essere “un punto sulla mappa”, ma che raccontano storie, custodiscono tradizioni e profumano di identità. Tonara è uno di questi luoghi.

Ed è proprio da qui, vent’anni fa, che nacque Tonara Blog: uno spazio digitale creato per dare voce al paese e alle sue radici, per raccontare le persone, le stagioni e le trasformazioni di un borgo che non ha mai smesso di vivere, lavorare e reinventarsi.

Un blog che racconta la Barbagia di Belvì e il Mandrolisai

Nel tempo, Tonara Blog ha ampliato il suo sguardo, aprendosi all’intero territorio della Barbagia di Belvì e del Mandrolisai, un’area ricca di storia, cultura e tradizioni condivise.
Non a caso, il suo sottotitolo recita:

“Barbagia di Belvì e del Mandrolisai: Carrafàulas, istòrias, usàntzias.”

Un motto che è già un progetto culturale: quello di raccontare la vita, le parole, gli usi e i costumi di un’area che comprende alcune tra le comunità più autentiche e vitali della Sardegna — Tonara, Aritzo, Sorgono, Desulo e Belvì.
Nel corso degli anni, il blog ha ospitato i contributi di studiosi, ricercatori e appassionati, tra cui il professor Nino Mura, il dottor Bruno Casula e numerosi altri autori che hanno contribuito a costruire un archivio di memoria e cultura viva.

Tonara, paese del torrone e dei campanacci

Tonara è conosciuta in tutta la Sardegna come il paese del torrone, un dolce simbolo di artigianalità e identità, che unisce miele, mandorle e nocciole in una tradizione che si tramanda da generazioni.
Oggi i torronai tonaresi portano la loro arte oltre i confini dell’isola, diffondendo un prodotto che è insieme cultura, storia e sapore.

Ma Tonara non è solo torrone.
È anche il paese dei campanacciis sonaggios.
Unica in Sardegna, la comunità tonarese vanta una secolare tradizione nella fabbricazione artigianale delle campane per le greggi di pecore e capre e per le mandrie di mucche che pascolano in tutta l’isola.
Questi strumenti, nati per accompagnare la vita pastorale, hanno assunto nel tempo un valore culturale e simbolico, diventando protagonisti dei carnevali sardi e delle maschere tradizionali come i Mamutones di Mamoiada e i Merdules di Ottana, che da Tonara acquistano le loro campane.
Un suono che è insieme richiamo, ritmo e identità collettiva.

Un territorio antico e verde

Situata tra boschi di castagni, lecci e sorgenti perenni, Tonara si adagia tra i rioni storici di Arasulé, Toneri e Teliseri, a cui negli anni Sessanta si è aggiunto Su Pranu, sorto sul territorio dell’antico borgo di Ilalà.
La sua storia affonda le radici nella preistoria: le domus de janas di Is Forreddos, i resti nuragici di Su Nuratze e le citazioni nel Condaghe di Santa Maria di Bonarcado testimoniano una presenza umana continua e ricca di tracce culturali.

Economia, turismo e futuro

Il tessuto economico tonarese ha saputo adattarsi nel tempo.
Accanto alla produzione artigianale del torrone e alla fabbricazione dei campanacci, continua lo sfruttamento sostenibile del patrimonio forestale, incentrato sul castagno e sulla produzione di legna da ardere.
Negli ultimi anni, cresce anche l’interesse per il turismo montano, che trova a Tonara e nei paesi del Mandrolisai un volto autentico, lontano dai circuiti più battuti, ma ricco di esperienze, silenzi e natura.

Un clima e una natura che parlano di autenticità

Con i suoi inverni innevati e le estati fresche, Tonara offre un paesaggio che muta con le stagioni: un ambiente dove il castagno domina, i funghi pregiati come l’ovolo buono e il porcino nero abbondano, e tra i rami volano l’astore e la poiana di Sardegna.
È un piccolo mondo montano, dove la natura non è sfondo ma protagonista.

Tonara Blog oggi: la memoria che continua

Dal suo primo post del 2005 a oggi, Tonara Blog ha rappresentato una finestra aperta sulla vita del paese e della sua gente.
Oggi, con il rilancio del progetto, il blog si rinnova per continuare a essere uno spazio di memoria, cultura e partecipazione, dedicato non solo a Tonara ma a tutta la Barbagia e al Mandrolisai.

Un luogo digitale dove le carrafàulas (i racconti), le istòrias (le storie) e le usàntzias (le tradizioni) trovano voce e si tramandano, nel segno di una Sardegna viva, che non dimentica le proprie radici ma le trasforma in futuro.

Perché Tonara e la sua Barbagia non sono solo luoghi:
sono suoni, sapori e memorie che continuano a raccontarsi, passo dopo passo, voce dopo voce.


domenica 21 settembre 2025

La vendemmia con Giorgio nelle vigne del MANDROLISAI


.

 di Alusac Eleirbag

Siamo arrivati presto io e Antonietta. Giorgio era già sveglio, il mio nipotino, figlio di Sara e Yuri. Ci aspettava nel giardino di casa, e aveva in braccio l'ukulele che gli ho regalato, come se fosse un adulto, anche se non ha ancora compiuto due anni.

Nel giardino, Tonino era già all'opera con suo figlio per preparare "su porceddu", il tipico arrosto sardo. Aveva già acceso il fuoco, una lunga trincea piena di braci e legna di leccio, e stava posizionando i primi pezzi di carne, preparandoli per la cottura.

Accompagnato da Luigi, mi sono incamminato verso il vigneto. I ragazzi stavano già riempiendo le cassette di uva, tagliando i grappoli in modo perfetto e regolare. Le cassette verdi erano sparse tra i filari, alcune già piene di uva nera matura, pronta per essere raccolta. A darci una mano c'erano anche Ester, la mamma di Yuri, le sue sorelle Zelda e Veronica, e poi Alessandro, Pietro e Franco, che si uniscono a noi ogni anno. In lontananza, il sole creava un suggestivo bagliore che sottolineava la splendida giornata. Il vigneto si estendeva su un fianco di una collina, con filari di viti che seguivano il pendio. Il terreno era arido e un po' roccioso, e in lontananza si vedevano colline e montagne, con alberi sparsi, un paesaggio tipico dell'entroterra sardo.

Come ogni anno, discutevamo dei problemi legati alla siccità e alle difficoltà delle aziende agricole. Arrivati a mezzogiorno, con Antonio, il nonno di Yuri, ci siamo fermati per un piccolo spuntino. Poi, finalmente, siamo tornati in paese per gustare le carni cucinate da Tonino e da suo figlio.

È stato allora che ho visto il grande fuoco, con i pezzi di carne montati su spiedi e aste di metallo. Il porceddu, con la cotenna già dorata e croccante in alcuni punti, stava cuocendo a puntino. Non solo abbiamo mangiato il delizioso porceddu, ma abbiamo anche assaggiato un ottimo cinghiale in umido. Il tutto è stato accompagnato da un'abbondanza dei nostri vini caratteristici: il Krabone, Ventuno e Centro. Questi tre vini sono i fiori all'occhiello della cantina "Vigne Centro", il cui nome, appunto, sta a indicare le vigne del centro Sardegna.

La vendemmia del 2025 si è dimostrata meno significativa per la nostra azienda "Vigne Centro" rispetto a quella del 2022, ma promette di dare vita a un vino che rimarrà negli annali di questo rito autunnale nel MANDROLISAI, la regione del centro Sardegna che si estende da Tonara, Sorgono, Meana

domenica 14 settembre 2025

Il libro di Renato Poddie, "Anche la quercia di Marautzos morì durante la guerra": l’inutilita’ di tutte le guerre".



Di Alusac eleirbag.

Il libro di Renato Poddie, "Anche la quercia di Marautzos morì durante la guerra", è molto più di una semplice opera di storia locale. È un'immersione profonda nella memoria collettiva di 

Tonara, un piccolo paese della Sardegna, che diventa il palcoscenico di una storia universale. L'autore dedica quest'opera a figure centrali della sua vita e della storia tonarese, ma come specifica nella sua introduzione, la sua intenzione è quella di raccontare un momento storico della comunità attraverso un intreccio di fantasia e realtà. Oltre ai personaggi storici, come i partigiani Giuseppe Carboni e Antonio Zucca, il libro dà vita a figure immaginarie le cui esperienze si mescolano a fatti realmente accaduti.

Uno stile nuovo per un racconto storico

Per Renato Poddie, noto per le sue pubblicazioni di carattere storico e di ricerca linguistica, come i suoi studi sui nomi di luogo di Tonara o le curatele di opere poetiche, questo libro segna un punto di svolta. L'autore introduce qui un suo personale stile letterario di romanzo storico. Abbandonando la pura saggistica, Poddie sceglie un io narrante rappresentato dai giovani soldati Crabiele e Pepe e dalle loro famiglie, creando un legame intimo tra il lettore e le vicende dei personaggi. Questa scelta stilistica permette di esplorare le guerre non solo attraverso i dati e i fatti, ma attraverso le vissute emotive delle persone, rendendo la storia più accessibile e toccante.

Struttura e contenuti

Il libro si presenta come un "quaderno di storia e cultura locale", edito da Aipsa, che fonde la narrazione personale con una rigorosa rivisitazione storica. L'autore adotta una prospettiva che richiama la "Nouvelle Histoire" francese, focalizzandosi sulla vita quotidiana, le sensibilità e la psicologia collettiva degli "uomini comuni".

Un elemento centrale, come evidenziato da Poddie stesso, è la sua scelta di focalizzare la narrazione sulle vicende delle famiglie dei giovani soldati Crabiele e Pepe, e dei loro figli Micheli e Giuanni. Un ruolo di spicco è riservato alle donne - Talèa, Erìsia, Ermosa e Frantzisca - che, pur essendo "protagoniste sì disarmate e silenziose", si dimostrano "non meno coraggiose di coloro che imbracciarono i fucili". Questo approccio corale fa emergere le loro sensibilità e il loro coraggio, rendendo il dramma della guerra tangibile e umano.

Il testo si articola su due livelli che si intrecciano costantemente:

  1. La narrazione: Le storie dei personaggi, in parte frutto della fantasia dell'autore, vivono le esperienze di un'epoca. Gli "episodi realmente accaduti si compenetrano a vicenda" con l'elemento fantasioso, creando una storia che è allo stesso tempo personale e collettiva.
  2. La storia: A questa dimensione narrativa si affianca una meticolosa analisi degli eventi. Poddie afferma che i fatti descritti a volte "seguono le fonti storiche, sia orali che d'archivio", mentre altre si allontanano per immergersi nelle "interiorizzazioni individuali e collettive". Questo approccio permette di esplorare come le guerre e il fascismo venivano vissuti e commentati dai "vivaci frequentatori delle piazze del paese", tra cui spiccano figure come Fraile, Antoni e Tatànu, che incarnano la "memoria storica del confronto tra sardismo e socialismo".

Temi e simbolismo

Un elemento ricorrente e di grande impatto è la presenza della poesia, che assume una duplice funzione. Le poesie di autori come Peppino Mereu diventano veri e propri "monumenti storici", espressione del dolore e della resilienza di un intero popolo. Dall'altro, la poesia funge da "scrigno di emozioni" e "terapia salvifica" per una comunità che rielabora i lutti e l'assenza attraverso il canto. La poesia è il codice comunicativo che le donne utilizzano per esprimere la propria interiorità.

Il titolo stesso, che evoca l'immagine di una quercia abbattuta e la contrappone all'ulivo eterno di Odisseo, crea un potente simbolismo. La quercia di Marautzos rappresenta la rovina causata dalla guerra, un ciclo di distruzione che si contrappone alla resilienza dell'albero mitologico, simbolo di un'esistenza che si rigenera. Questa dualità tra distruzione e speranza, tra guerra e vita, pervade l'intero libro.

In sintesi, l'opera di Poddie è un lavoro ricco e stratificato, che mescola la storia dei grandi eventi con quella della gente comune, dimostrando che l'amore per la propria terra e il senso di appartenenza a una comunità possono ispirare un'indagine storica profonda e, al contempo, un'emozionante narrazione. Un libro che, come sottolineano i prefatori, ci spinge a riflettere sulla fragilità della pace e sulla "inutilità di tutte le guerre".

Un viaggio di immagini tra due isole. La presentazione del libro di Daniele Marzeddu, "Films of Sicily and Sardinia".


Che serata, sono ancora con la testa e il cuore tra il mare e la montagna. La presentazione del libro di Daniele Marzeddu, "Films of Sicily and Sardinia", non è stata la solita conferenza letteraria, ma un vero e proprio spettacolo, un'immersione totale nel suo sguardo d'artista.

Marzeddu ha ripercorso, con la delicatezza di un cantastorie e la precisione di un cartografo, il viaggio compiuto da D.H. Lawrence e sua moglie Frieda un secolo fa. Ha ricordato che la loro opera, "Sea and Sardinia", nata da un breve ma intenso viaggio in Sardegna nel 1921, è considerata un caposaldo della letteratura di viaggio.

Ha sottolineato come Lawrence, influenzato dall'immaginario deleddiano, non si sia limitato a descrivere luoghi. Il suo diario di viaggio è diventato un'opera di introspezione, in cui ha colto l'essenza dell'anima isolana. Marzeddu, con le sue fotografie, ha ripreso quel percorso, offrendo uno sguardo contemporaneo sulle due grandi isole mediterranee, in bilico tra tradizione e modernità. Le sue immagini non sono solo un omaggio, ma un dialogo vivo tra passato e presente, tra la parola di Lawrence e il suo occhio, un modo per attualizzare l'eredità culturale dello scrittore inglese e di Grazia Deledda.

Ho visto scorrere sullo schermo una Sicilia potente e malinconica, con le immagini di Taormina che non era solo un luogo turistico, ma un nido di storia, e poi il porto di Messina, con le sue mille partenze e ritorni, e la vitalità caotica di Palermo.

Poi, la Sardegna ci ha accolti con la sua natura più selvaggia e il suo cuore più intimo. Ci ha mostrato la vitalità di Cagliari, la storia che si respira a Mandas e la natura incontaminata che circonda Sorgono e la nostra amata Tonara, fino a perdersi nei silenzi antichi di Nuoro.

Ogni immagine era un dialogo silenzioso tra il passato e il presente, tra la parola di Lawrence e lo scatto di Marzeddu. Le sue foto non erano solo una risposta, ma una domanda costante:




cosa è rimasto di quell'anima che un tempo incantò lo scrittore inglese e che la nostra 
Grazia Deledda seppe descrivere così magistralmente?

Marzeddu, con la sua sensibilità, ci ha dimostrato che c'è ancora un filo invisibile che lega quelle due isole e che la loro bellezza, il loro mistero e la loro essenza sono un patrimonio che va custodito. Non so come descrivervi la sensazione di tornare a casa, dopo aver assistito a questo spettacolo, se non con un grande senso di gratitudine. Gratitudine per l'arte che sa farti viaggiare, anche restando seduti, e gratitudine per chi sa raccontare la nostra terra, mostrandocela con occhi nuovi, ma con la stessa, profonda, radicata passione. 

💚

giovedì 11 settembre 2025

Le contrade di Toneri nel 1866 di Nino Mura

alusac eleirbag

La storia di Nino e del suo legno

di alusac eleirbag

La storia di Nino e del suo legno  

Il sole caldo di Tonara batteva sul selciato, illuminando la polvere alzata da qualche auto di passaggio. Il mio sguardo, però, era fisso tra le mani di Nino. Erano mani segnate dal tempo, mani che avevano sfogliato libri antichi e, ora, tenevano saldamente una piccola opera d'arte.

"Vedi?" mi disse, quasi con un sussurro, un misto di orgoglio e stanchezza. "Questa è per il comune. Ho voluto che restasse qualcosa, qualcosa di tangibile, non solo parole sui libri."

Era un'opera semplice e geniale allo stesso tempo. Tanti piccoli listelli di legno, assemblati in una scala ascendente. Su ogni listello, incisa con una mano ferma e precisa, c'era la storia di Tonara, di quell'anno lontano, il 1866. Toneri Contrade. I nomi dei rioni si susseguivano, uno dopo l'altro: Cracalasi, Catzolaghedu, Cortzo', Pratza de is Caraos Mesuidda... E ancora Pratza Manna, Barigau, Maria Pra. Più in basso, quasi a sorreggere il tutto, Pratza Senti Cocco Cartutze' e Muru' Pratza de is Tzucas, fino a toccare il suolo con l'ultimo, Maria Pra de Osso.

Mentre ammiravo l'opera, Nino, con un lampo negli occhi, aggiunse: "E poi c'è Ilala. Non l'ho messo qui, ma per Ilala ho fatto un'altra opera." Il suo tono si fece più malinconico. "Ilala... un rione disabitato fin dagli anni '50 o '60. Ma i miei studi, sai, mi hanno permesso di scoprire che nell'Ottocento arrivava ad avere anche duecento abitanti! Tutti vivevano a ridosso della chiesa di San Sebastiano, quella che ancora esiste, sai? Un tempo era piena di vita."

Ogni nome risuonava come un'eco nel mio cuore. Erano nomi che avevo sentito pronunciare dai miei nonni, nomi che erano parte di me e della mia storia. In quell'oggetto, fatto di legno e passione, e in quel ricordo di Ilala, c'era tutto l'amore di Nino per la sua terra. Era un dono silenzioso e potente. Non solo una mappa, ma un vero e proprio albero genealogico del paese, un tributo alla sua anima.

Gli occhi di Nino si illuminarono. "Spero che la mettano in biblioteca", disse con un sorriso che gli riempiva le rughe. "Così, anche i ragazzi, passando, si ricorderanno da dove vengono. E magari qualcuno si chiederà di Ilala, della sua gente."

E mentre lo salutavo, diretto verso la sua corsa contro il tempo per il pullman, capii. Non era solo un vecchio che tornava al suo paese. Era un custode, un narratore che, invece di usare solo le parole, aveva scelto di scolpire la memoria di Tonara nel legno, per non farla mai sbiadire, e di tramandare anche le storie dei luoghi dimenticati, come Ilala.


domenica 31 agosto 2025

Il castagno secolare di Tonara.


di alusac eleirbag

Il castagno secolare di Tonara.

 l'albero imponente è un castagno secolare situato nella località "Curadore" zona di Tonara in Sardegna. Albero  celebre per la sua grandezza maestosa e l'aspetto antico e contorto.

 

  • Tronco e corteccia: Il tronco è massiccio e nodoso, coperto da profonde scanalature verticali e da uno spesso strato di muschio verde, che suggerisce un ambiente umido. La consistenza rugosa della corteccia è un chiaro segno della sua grande età.

  • Rami: I rami sono spessi e si estendono orizzontalmente, creando un'ampia chioma. Un grande ramo in particolare si protende lontano dal tronco ed è abbastanza largo da permettere a una persona di sedercisi sopra, come si vede nella foto.

  • Fogliame: Le foglie sono di un verde vivace e dense, formando una chioma rigogliosa che filtra la luce del sole.

  • Ambiente: L'albero si trova in un'area boschiva con un sentiero sterrato nelle vicinanze. Il terreno intorno alla base è coperto di foglie cadute e piccole piante. Il bosco circostante è tipico del paesaggio sardo, con altri alberi visibili sullo sfondo.

Questo albero è un magnifico esempio dei "monumenti verdi" che si trovano a Tonara, parte significativa del patrimonio naturale locale. Essi sono una testimonianza delle antiche foreste della regione e spesso sono protetti per il loro valore storico ed ecologico.

Mons. Antonio Raimondo Tore - Un tonarese illustre.

di alusac eleirbag

Mons. Antonio Raimondo Tore - Un tonarese illustre.

Nel 1781, a Tonara, in Sardegna, nasceva Antonio Raimondo Tore, destinato a diventare una figura di spicco nel panorama ecclesiastico sardo. Cresciuto in una famiglia agiata, figlio del medico Giovanni e di Anna Cabras, poté contare sul sostegno economico e sociale dei suoi zii materni, in particolare di Vincenzo Cabras, una figura influente nell'ambito politico. Questi legami familiari si rivelarono cruciali per la sua formazione, permettendogli di accedere ai migliori istituti educativi dell'isola.


La formazione e la scalata ecclesiastica

Il percorso di Tore fu segnato da un'educazione rigorosa e completa. Iniziò gli studi elementari nella sua città natale per poi trasferirsi a Cagliari, dove frequentò il prestigioso Seminario Tridentino. Qui si distinse per le sue doti intellettuali, laureandosi in teologia e affinando le sue capacità oratorie. Prima di essere ordinato sacerdote, si dedicò alla predicazione, guadagnandosi la stima di molti e l'onore di pronunciare elogi funebri per figure di alto rango, come la regina Maria Adelaide e i re Carlo Emanuele IV e Vittorio Emanuele I.

La sua carriera ecclesiastica fu una progressione costante: dopo l'ordinazione nel 1805, ricoprì incarichi di vicario e parroco in diverse località sarde, tra cui Atzara, Aritzo e Sorgono. Nel 1820 fu nominato canonico teologale a Oristano e, alla morte dell'arcivescovo, divenne vicario capitolare, dimostrando un grande zelo nel suo operato.


Il vescovado di Ales-Terralba e le riforme

Il culmine della sua carriera arrivò nel 1828, quando fu consacrato vescovo della diocesi di Ales-Terralba, carica che assunse dopo un lungo periodo di vacanza. La sua gestione si distinse subito per un'impronta energica e riformatrice, con un'attenzione particolare a tre ambiti principali:

  1. Risanamento delle strutture ecclesiastiche: Tore si impegnò a fondo per il restauro e l'ampliamento del Seminario Tridentino di Ales. Nonostante il crollo di una parte dell'edificio storico, riuscì a ottenere i finanziamenti necessari e a dare avvio ai lavori. Ristrutturò anche la chiesa di Terralba, contribuendo personalmente e in modo significativo alle spese.

  2. Riforma del clero e disciplina: Con un approccio deciso e senza mezzi termini, Tore intervenne per migliorare la disciplina e l'onore dei sacerdoti. Non esitò a sospendere "a divinis" i preti che non rispettavano le sue direttive, imponendo rigide norme sull'abbigliamento, la gestione dei registri parrocchiali e la catechesi.

  3. Innovazioni sociali e pastorali: La sua azione non si limitò alla sfera strettamente ecclesiastica. Mostrò un'attenzione notevole per il benessere sociale della sua diocesi, fondando scuole elementari in ogni parrocchia per combattere l'analfabetismo e promuovendo la costruzione di cimiteri fuori dai centri abitati per ragioni igieniche.


La malattia e l'eredità

Nonostante la sua forte volontà, il vescovo fu afflitto da una salute precaria. A partire dal 1833, una serie di malattie lo costrinsero a letto per lunghi periodi, ma non gli impedirono di continuare a gestire la diocesi con la sua consueta fermezza. La sua fitta corrispondenza di questo periodo testimonia la sua determinazione e la sua capacità di affrontare le avversità. Morì nel 1840, lasciando dietro di sé un'eredità di riforme e un'immagine di pastore instancabile, che seppe conciliare il rigore ecclesiastico con un'attenzione profonda per le esigenze materiali e spirituali del suo popolo.

sabato 30 agosto 2025

La Luce - Arregodos de sa Guerra e de sa Vida - di Benigno Casula -

alusac eleirbag

1-La Luce

Un lampo squarciò il buio della notte. Non era un temporale, non era un fuoco. Per noi ragazzini, era qualcosa di più grande, di più magico. Era il 1927, la notte in cui la luce elettrica arrivò a Tonara. Io, Benigno, che avevo appena sei anni, la osservai con gli occhi sgranati. Mai, prima di allora, le nostre case erano state così vive dopo il tramonto. Di solito, non c'era che il debole bagliore di una lampada a olio, o la fievole danza di una candela che proiettava ombre giganti sulle pareti. Le strade, dopo il tramonto, sparivano in un nero profondo, rotto solo dalla luna o dalle stelle.


Ma quella notte fu diverso. La piazza si riempì di grida di meraviglia. Io, con i miei amici, AugustoBoste e Desiderio, ci mettemmo a correre come matti da un punto all'altro della via, felici. La luce ci avvolgeva, era come un sole improvviso, un pezzo di cielo caduto tra le nostre case. Era un evento troppo grande per tenerlo solo per me. Il mio unico pensiero era tornare a casa di corsa e raccontare tutto alla mia famiglia.

Entrai in casa, ansimando, con la voce strozzata dall'eccitazione. "Mamma! Mamma! È arrivata la luce! Quella vera, quella che non si spegne!" Mia madre, Maddalena, che rammendava una coperta, alzò lo sguardo, sorridendo. Vicino a lei, i miei fratelli, Raffaele e Antonio, si precipitarono alla porta. Accanto, in piedi, c'erano anche i più piccoli, la mia sorellina Annunziata, di due anni, e Michele, che ne aveva appena uno. I loro occhi, anche se non capivano le mie parole, erano spalancati, pieni di una curiosità bambina.

"Guardate!" esclamai, cercando di spiegare a modo mio. "È come se avessimo il sole anche di notte!" Annunziata allungò la mano verso la finestra, come per toccare quel bagliore lontano. Michele si aggrappò alla veste di mia madre, fissando in silenzio. Eravamo tutti lì, una piccola famiglia unita nella meraviglia, in un'assenza che si sentiva come il vuoto lasciato dalla luna. Papà Giuseppe era lontano, in transumanza con il suo gregge, e sarebbe tornato solo dopo la stagione invernale. Come avremmo fatto a spiegargli una cosa simile? La luce ci ha fatto dimenticare per un po' le cose che non c'erano più.


sabato 16 agosto 2025

Cognomi Tonaresi: CABRAS

Il cognome Cabras ha una lunga storia in Sardegna e la sua diffusione è particolarmente significativa in alcune aree dell'isola.

Origine del cognome Cabras: Il cognome Cabras deriva dal termine sardo "cabra", che significa "capra". Questo suggerisce che l'origine del cognome potrebbe essere legata all'allevamento di capre, un'attività comune in Sardegna. La presenza di questo cognome è documentata in Sardegna da secoli, e molte famiglie con questo cognome hanno radici profonde nell'isola.

Diffusione del cognome Cabras: Il cognome Cabras era ed  è particolarmente diffuso a Tonara,  nella provincia di Oristano, ma è presente anche in altre province sarde come Cagliari e Nuoro. La famiglia Cabras di Tonara, a cui apparteneva Vincenzo Cabras, è una delle più note e influenti. Vincenzo Cabras, nato a Tonara intorno al 1732, fu una figura di spicco nel contesto delle rivolte sarde tra il 1793 e il 1796

La famiglia Cabras costruì una potente rete familiare, nota come "la casa Cabras", che permise loro di esercitare una notevole influenza nella regione. Vincenzo Cabras, grazie alla sua abilità politica e ai numerosi incarichi pubblici che ricoprì, riuscì a mantenere il potere e l'influenza, nonostante le rivolte e le tensioni sociali che caratterizzarono il periodo.


Nel contesto storico della Sardegna, uno dei personaggi più noti con il cognome Cabras è Vincenzo Cabras. Nato a Tonara intorno al 1732, Vincenzo Cabras fu una figura di spicco durante il triennio rivoluzionario sardo (1793-1796). Laureato in legge a Cagliari, divenne un avvocato di grande prestigio e ricoprì numerosi incarichi pubblici, tra cui assessore della Regia Vicaria, della curia arcivescovile, sindaco capo di Stampace e membro dello Stamento reale . La sua ascesa fu favorita anche da una potente rete familiare, nota come "la casa Cabras".

Nel suo paese natale, Tonara, era chiamato il "quasi viceré", un soprannome che rifletteva il suo carisma e la sua ambizione. Durante le rivolte sarde, Cabras fu arrestato nel 1794 per presunta partecipazione a una sommossa contro i funzionari piemontesi, ma fu liberato grazie a una sollevazione popolare Dietro le quinte, Cabras era uno stratega abile e contribuì alla destituzione di figure reazionarie come Pitzolo e Paliaccio.Dopo la sconfitta di don Giovanni Maria Angioy, Cabras fu premiato con incarichi importanti e morì a Cagliari il 21 dicembre 1809


Tonara Blog: vent’anni di racconti dal cuore della Barbagia e del Mandrolisai

di alusac eleirbag  Ci sono luoghi che non si limitano a essere “un punto sulla mappa”, ma che raccontano storie, custodiscono tradizioni e...