lunedì 27 ottobre 2025

La Vita Va Così" – La Resistenza Ancestrale di un Popolo - musiche di di Moses Concas.

Di Alusac Eleirbag


Sono arrivato al 
Multiplex di Prato Sardo a Nuoro

 in un pomeriggio di fine ottobre (26/10/2025), e ho trovato la sala stracolma. Un segnale chiaro che la storia in programma, pur essendo un film, toccava corde profondissime nell'animo sardo. "La vita va così" porta sul grande schermo una storia di resistenza che, pur ambientata nella splendida Tuerredda (Sulcis Iglesiente), è in realtà la drammatica e ricorrente vicenda di tutta la Sardegna.

Il film segue Efisio Mulas, il pastore solitario che si oppone a un mega-resort di lusso promosso da immobiliaristi esterni. Nonostante la trama sia costruita con personaggi cinematografici (i "cattivi" interpretati con una certa bonarietà da attori come Diego Abatantuono e Aldo Baglio), la sua forza risiede nel richiamare una realtà storica ben più cruda.

La Storia Vera contro il Copione

L'impressione più forte è che la storia vera di Ovidio Marras, l'uomo che ha realmente ispirato la pellicola, sia infinitamente più intrigante e suggestiva del copione stesso. La posta in gioco nella realtà era altissima: il progetto di Capo Malfatano vedeva coinvolti il gotha del mattone italiano (gruppi come Benetton e l'immobiliare di MPS).Il film ha edulcorato lo scontro. La vera storia ci ricorda che la lotta di Efisio (Ovidio) è la manifestazione di quella che lo storico John Day definisce la condizione della "Sardegna colonia". Non parlo solo delle antiche dominazioni, ma della perdurante logica del "colonialismo interno" denunciata fin da Gramsci: un'isola vista come terra da cui prelevare risorse—prima miniere e foreste, oggi costa e paesaggio—a beneficio di capitali esterni.


Un Rifiuto che è Identità: La Terra degli Antenati

Il cuore emotivo e politico del film, che purtroppo non riesce a eguagliare la forza della realtà, si condensa nel rifiuto categorico del pastore. Il suo "no" a un'offerta milionaria non è solo testardaggine, ma una dichiarazione d'identità inamovibile:

"Questa è la terra di mio padre e del babbo di mio padre e del babbo del babbo di mio padre…..,,”

Questa frase, che estende la proprietà all'infinito ancestrale, rende la terra un bene inalienabile, sacro. Non è un oggetto da scambiare, ma il fondamento stesso della memoria familiare e dell'eredità culturale. La resistenza di Efisio/Ovidio incarna la "costante resistenziale sarda": un popolo che, pur isolato e spesso oppresso, si oppone con irriducibile dignità alla mercificazione del proprio suolo.

La Colonna Sonora: La Libertà che Suona con Moses Concas


Un elemento che eleva l'esperienza cinematografica è stata la musica di 
Moses Concas. Le sue composizioni non sono un semplice accompagnamento, ma l'anima sonora della resistenza sarda.

Moses Concas, classe 1988 e street artist di fama internazionale, porta nella colonna sonora un mix unico: le sue radici nel Rap e nella Beatbox si fondono con la melodia evocativa dell'armonica. La sua musica è un messaggio universale di "felicità e speranza, di come i sogni diventino realtà... di libertà".

Le impressioni sulla sua colonna sonora sono state estremamente positive:

·      Autenticità Emozionale: L'armonica di Concas riesce a dare voce alla solitudine e alla caparbietà del pastore Efisio. La sua musica, nata tra le strade del mondo ma con un cuore saldamente sardo, dona profondità e un senso di attualità allo scontro tra tradizione e modernità.

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  Contrasto Significativo: Il sound moderno ma al tempo stesso radicato di Moses Concas, un artista che ha girato il mondo diffondendo la sua arte ma mantenendo un forte legame con le sue origini, diventa il perfetto contrappunto all'arretratezza che i "colonizzatori" vorrebbero attribuire al pastore. La sua musica è la prova che la Sardegna può essere allo stesso tempo moderna, aperta al mondo, e strenua difenditrice delle proprie radici.


In conclusione, "La vita va così" merita di essere visto. Se la sceneggiatura a tratti non eguaglia la potenza dei fatti, la resistenza testarda del pastore, unita alla colonna sonora vibrante e liberatoria di Moses Concas, rende il film un importante e sentito monito sulla necessità di difendere la terra degli avi contro la prepotenza della speculazione.

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domenica 12 ottobre 2025

Su forru de su pane in "su Montigu": un'antica tradizione di Tonara.






di alusac eleirbag


Autunno in Barbagia 2025. Sono arrivato a su Montigu, un vicinato di Arasule, e la scena che mi si è presentata è stata un tuffo diretto nella storia del pane di Tonara. A pochi metri di distanza, ho visto alcune donne intente a lavorare la pasta di grano duro. Questa fase, l'impasto, è il cuore della preparazione che, come ho imparato, iniziava la sera prima, quando alla semola macinata si aggiungeva su framentu (il lievito madre, conservato da un ciclo all'altro) e si lasciava lievitare per tutta la notte. Le donne, levatesi di buon'ora, usavano l'acqua calda e il sale, mescolando la farina nel tradizionale recipiente di legno, s'ischiu, o in quello di terracotta, su tianu, lavorandola a lungo (a du suigire) prima di formare is cumossos, i pezzi che poi sarebbero diventati il pane.

Più avanti, l'attenzione è stata catturata da un antico forno storico dove due donne erano ad attizzare il fuoco. Questo momento preannunciava la fase cruciale e finale: la cottura, il cui rituale è tanto importante quanto l'impasto.

Il Pane di Tonara: Dalla Semola alla Forma

Il pane a cui stavo assistendo aveva una storia lunga e meticolosa. 

Dopo la prima lievitazione, i pezzi venivano divisi, lavorati con il matterello (su canneddu) e assottigliati in forme rotonde, in quella che veniva chiamata l'arte di "tenneusu su pane".

Questa tradizione dava vita a due tipi di pane, destinati a esigenze diverse:


1.    

Su zicchi: Il pane di uso più comune, preparato e consumato ancora oggi.

2.     Su chivargiu (o pane di orze): Un pane preparato ogni 10-15 giorni, pensato per la conservazione a lungo termine all'interno delle casse di legno domestiche, garantendo la scorta alimentare della famiglia.

La Storia dei Forni: Il Cuore Ardente della Comunità

L'immagine delle donne che attizzavano il fuoco nel forno storico mi ha fatto pensare alla struttura e alla funzione sociale di questi luoghi.

La Struttura e il Funzionamento

Il forno, di forma tonda e fatto di tegole, era una vera e propria macchina per la cottura.

·       L'apertura centrale (sa ucca de su forru) era il punto d'ingresso per la legna, alimentata spesso con erica per una buona brace.

·       Il fondo era costruito con un composto resistente di calce, argilla e fodde (pezzi di ferro o carbone).

·       Il segreto per capire la temperatura era l'osservazione: le pareti dovevano diventare bianche per segnalare che il forno era pronto (se erano nere, significava che non aveva ancora raggiunto il calore necessario).

·       La pulizia, essenziale per la cottura, veniva fatta usando una scopa di felce (filige) bagnata (su botto de s'abba).

Il Forno come Centro Sociale

Nel passato, la proprietà del forno era diffusa (all'interno di una stanza o in uno scantinato), ma era anche un servizio comunitario. Chi non ne aveva uno, si recava nei forni di rione, e il pagamento per il servizio di cottura era una forma di baratto: si lasciava una forma di pane ogni 5 kg di pasta cotta. L'ultima fase che vedevo compiersi era dunque, non solo un atto culinario, ma anche l'ultimo passo di un ciclo economico e sociale che ha caratterizzato la vita della comunità per secoli.


La Vita Va Così" – La Resistenza Ancestrale di un Popolo - musiche di di Moses Concas.

Di Alusac Eleirbag  Sono arrivato al  Multiplex di Prato Sardo a Nuoro  in un pomeriggio di fine ottobre (26/10/2025), e ho trovato la sala...