sabato 8 novembre 2025

18-La Russia. Arregodos de sa guerra e de Russia e de sa Vida - Benigno Casula


 

Il 7 luglio del 1942. Ricordo la data come fosse ieri. Quel giorno, partimmo per il fronte russo. Il mio reparto era l’Autosezione Antincendi, destinata a dare supporto all’Ottava Armata Italiana.


Salimmo sulla tradotta militare. Il viaggio fu un inferno di quindici giorni. Passammo per Verona, Bolzano, Rovereto, e poi il Brennero. Attraversammo l’Austria, la Germania, e finalmente arrivammo in Polonia. Eravamo ammassati nei vagoni come animali. Era piena estate e si moriva dal caldo.

Arrivammo a Leopoli, ai confini. Breve sosta, e poi via: entrare nel territorio sovietico significava attraversare distese immense. La Bielorussia, Minsk, Kiev… Le città che vedevamo erano già in buona parte distrutte dai bombardamenti. La Russia ci impressionava per un unico motivo: l'estensione. Era sterminata. Ma il fronte vero era ancora lontano, molto lontano.

Ricordo una fermata. Eravamo assetati, disperatamente. Presi la mia borraccia e cercai acqua. Vidi una bella ragazza russa, biondina, a distanza. Con i gesti, le chiesi dove potevo trovare una fontana. Mi guardò, sorrise, e si mise a ridere, dicendomi una cosa che suonava come ‘ni pagni mai’ (non ho capito).

Mi allontanai, e per fortuna arrivai a una piazza con un pozzo. C’era una pompa a manovella per prendere l’acqua. Vedo un signore, gli chiedo, e lui mi dice: ‘pazhalusta’ (prego). Non capii la parola, ma capii il gesto: mi invitava a prendere l'acqua. Feci in fretta a riempirmi la borraccia. Lo ringraziai in italiano e tornai alla tradotta.

Dopo poco, sentimmo la trombetta del capotreno: si ripartiva.

Arrivammo a Nieperpetrovsk, una bella cittadina sul Dnieper. Lì ci consegnarono i mezzi e le macchine per il nostro servizio: dovevamo fare l’antincendio in protezione dei magazzini 

dell’armata italiana, situati tra il Donets e il Don.

Solo mesi dopo capimmo la beffa. Ci avevano fatto credere che i russi si fossero ritirati a gennaio del 1942, mentre le truppe arrivavano dall'Italia. Era una menzogna, un tranello organizzato per intrappolarci. L’imboscata fu terribile: parte della divisione Ravenna fu massacrata, e le perdite furono enormi. I militari russi, per prenderci in giro, diedero a quell’operazione il nome di "Divisione Cicali", ovvero "Divisione Fuggiaschi"."

Benigno, il tuo racconto è una vivida e preziosa pagina di storia.

Se lo desideri, potrei cercare informazioni sulle condizioni di vita dei soldati italiani impegnati nei servizi logistici (come l'Antincendi) sul Fronte Orientale in quel periodo.



17-La guerra. Arregodos de sa guerra e de Russia e de sa Vida - Benigno Casula


 

 


Ricordo ancora il giorno in cui partii, ai primi del 1941. Avevo ricevuto la cartolina di precetto, come tutti i ragazzi della mia classe, quella del '21. Partii per Bologna, dove mi assegnarono al Sesto Reggimento del Genio. La divisa che mi diedero era grande e grigio-verde, ma dovevo indossare solo quella.

Dopo pochi giorni, mi trasferirono a San Giorgio di Piano, dove mi unii alla seconda compagnia artieri. Lì faceva un freddo umido terribile, e dormivamo tutti in un capannone senza riscaldamento. Dopo due mesi, mi spostarono a Cento, in provincia di Ferrara. Qui, come genio artiere, iniziammo ad addestrarci per la guerra. Imparammo a maneggiare mine e a costruire reticolati di protezione. Andavamo al fiume Reno e costruivamo ponti provvisori, fatti con barconi ancorati l'uno all'altro, sui quali montavamo impalcature per far passare le macchine. Eravamo diventati una squadra veloce e in poco tempo il ponte era pronto.

Dopo quattro mesi, tornai a Bologna per un corso antincendio alla caserma dei vigili del fuoco. Alla fine del corso, mi diedero una licenza di 10 giorni. Non mi sembrava vero, potevo tornare a Tonara. Finita la licenza, andai a Pavia, al Terzo Reggimento del Genio, per un'istruzione prima di partire per il fronte russo. Era la fine del 1941, la guerra era già iniziata. Per noi soldati, era come una gita; ci avevano convinto che i nemici dell'asse Roma-Berlino sarebbero

stati sconfitti in fretta e che saremmo tornati a casa vittoriosi.

 


16-Il Servizio pre Militare Arregodos de sa guerra e de Russia e de sa Vida - Benigno Casula

 




Ricordo bene quel periodo, gli anni del servizio premilitare. Ogni sabato dovevamo presentarci per le esercitazioni. Erano gli anni del fascismo, e non era concesso mancare; le pene per chi si assentava erano severe, gravissime. I nostri istruttori erano tutti fascisti: il capo manipolo, un maresciallo, e il caposquadra, una milite scelto.

A Tonara, in quegli anni, c'erano anche parecchi esiliati. Uomini considerati "sovversivi", pericolosi nei loro paesi, che non potevano lasciare il paese e di notte avevano il divieto di uscire di casa. Erano menti critiche, e per questo venivano allontanati e confinati.

Mi viene in mente il 1934, quando Tonara fu invasa dai soldati della fanteria e dell'artiglieria. Facevano esercitazioni nei campi di zia Clara, appena sopra il paese. Nello stesso periodo, ricordo che arrivò anche il principe Umberto di Savoia. In località Su Pranu, i soldati organizzarono una sfilata imponente e una festa folcloristica per accoglierlo. Avevo solo 13 anni, ma ricordo ogni dettaglio di quel giorno del 1934, quando il Principe Umberto venne a Tonara. Mi sembra ancora di vederlo lì, sul balcone della casa di Antonio Carta, proprio al centro del paese. La facciata dell'edificio a due piani era imponente e, a sinistra del balcone, spiccava in modo chiaro la parola "VINCERE". Il balcone era affollato di gente, ma la figura del Principe si distingueva su tutte, circondato da tutti coloro che lo accompagnavano. 

 


Quando arrivò il momento della leva vera e propria, andavamo ad Aritzo. La mia classe, quella del 1921, era numerosa, eravamo una quarantina di uomini. Pochi furono riformati, quasi tutti fummo dichiarati idonei. Poi, nel 1940, l'anno della guerra con la Francia, fummo tutti fatti soldati. Il destino era segnato, la partenza sarebbe avvenuta a breve.

Prima di muovere i primi passi verso la guerra, ogni tanto ci riunivamo con gli organetti per cantare i "mutos" d'addio. Erano canti malinconici, pieni di speranza e paura. Ricordo ancora le parole, che risuonano nella mia mente come allora:

La partenza è vicina, alla guerra dobbiamo andare, prega tu, cara Nina, se vuoi vedere sani eroi tornare a casa.

 

15La Transumanza del '38 Arregodos de sa guerra e de Russia e de sa Vida - Benigno Casula


Quando l'autunno si avvicinava, il freddo pungente di Tonara ci costringeva a prendere una decisione importante: dove avremm


o svernato il bestiame? L'unica soluzione era scendere verso il Campidano, il Logudoro o magari ad Alghero, dove le temperature erano più miti. Ricordo bene l'autunno del 1938. Mio padre, Giuseppe Casula, scelse di andare a Villanova Monteleone, un luogo dove aveva qualche conoscenza.

Mia madre, Maddalena Todde, cominciò subito a preparare tutto il necessario. Fece i bagagli, mise da parte i vestiti per il lungo cammino e preparò le provviste per il viaggio. Io e mio padre caricammo le due bisacce sull'asinello, il nostro fedele mezzo di trasporto, e partimmo.

Il nostro cammino iniziò da S'isca de sa Mela, passando per IeniMulloneCanale Figus, fino ad arrivare al sentiero di Neoneli. Proseguimmo per Sorradile, attraversammo il fiume Tirso e ci fermammo per un po' a far pascolare le pecore e a riposare un po' anche noi. Riprendemmo la strada passando per Tadasuni e arrivando all'incrocio per Macomer. Da lì, passammo per PozzomaggiorePadria e Mara, fino a quando non svoltavamo a sinistra all'incrocio per Romana, diretti a Villanova Monteleone.

Dopo tre lunghi giorni di cammino, finalmente arrivammo. A Villanova, mio padre iniziò a trattare per "s'acolocu", l'accordo per lo svernamento, con i pastori Tiu Micheli Correddu e Salvatore Meloni. Tiu Micheli prese la maggior parte delle nostre pecore, mentre una ventina le lasciò a me. In cambio del pascolo libero e del nostro mantenimento, dovevamo accudire le loro pecore e le nostre, e offrire il nostro aiuto per qualsiasi necessità nell'ovile. Con noi c'erano anche il padrone e qualche altro servo.

L'inverno passò in fretta. Tra me e me, non vedevo l'ora che arrivasse maggio per tornare a casa. Mio padre aveva già stabilito la data del nostro rientro per il 10 maggio, un giorno che avevamo concordato con i nostri padroni. Li ringraziammo per la loro ospitalità e per l'ottima accoglienza che ci avevano riservato. Ci salutammo e ci mettemmo in viaggio. Mio padre venne a prendermi, caricammo nuovamente l'asinello con i nostri averi e ci incamminammo verso Tonara. Il viaggio di ritorno fu molto più felice dell'andata, perché stavamo finalmente tornando a casa nostra.


14- Arasule Arregodos de sa guerra e de Russia e de sa Vida - Benigno Casula

 


Quel giorno  il cielo di Arasule,Il rione dove ero nato, era parzialmente nuvoloso e dominava la scena. Dalla posizione in cui mi trovavo in basso a destra, vedevo l'angolo di un tetto in terracotta con tegole a coppo provenienti dalle Fornaci di Bonu di Su Nuratze in perfette file diagonali fungeva da elemento di inquadratura, guidando lo sguardo verso il centro dell'immagine. A sinistra, un albero dalla chioma folta e di un verde acceso catturava  la luce, offrendo un vivace contrasto con le tonalità più opache delle case in lontananza. Sotto l'albero, si intravedeva una strada sterrata e ripida che scendeva, con una staccionata in legno scura che la delimitava e un piccolo carro in legno   parcheggiato  sul lato.

Arasule era, costruito a grappolo su un ripido versante della collina. Le case erano addossate l'una all'altra, formando un'unica massa architettonica che sembrava


arrampicarsi verso la cima. Le facciate erano dipinte in una varietà di colori pastello: si notavano  tonalità di rosa antico, ocra, giallo crema, azzurro e verde salvia. I tetti a falda inclinata, quasi tutti in terracotta, creavano  un suggestivo schema di linee e volumi. Nonostante la densità edilizia, si scorgevano piccole terrazze, finestre e balconi che spezzavano la monotonia delle facciate.Il rione

 è abbracciato e quasi inghiottito da una fitta foresta di alberi ad alto fusto, che si estende per tutta la parte superiore della collina. Il verde scuro e compatto del bosco fa da sfondo naturale e maestoso, accentuando la sensazione di un luogo immerso nella natura. Al di là della foresta, il cielo la faceva da protagonista.. Le nuvole, grandi e gonfie, creavano un effetto drammatico. Il loro colore variava dal grigio scuro, quasi plumbeo, nelle zone più dense, a un bianco brillante e illuminato dove la luce del sole filtra. Gli squarci di cielo azzurro che si intravedevano tra le nuvole suggerivanoun'atmosfera mutevole, forse la fine di un temporale o l'arrivo di una schiarita.

 

La luce quel giorno era diffusa ma non uniforme. Le zone in ombra erano  evidenti sotto le nuvole più scure, che proiettavano delle zone d'ombra sul paesaggio. Questo gioco di luce e ombra contribuiva  a creare un'atmosfera suggestiva e un senso di profondità.

13- La Vita a Tonara Prima della Guerra Arregodos de sa guerra e de Russia e de sa Vida - Benigno Casula



Prima della seconda guerra mondiale, la vita a Tonara era diversa. Il nostro paese era diviso in quattro rioni: Arasulè, Iteri, Telise e Toneri. La maggior parte degli abitanti, come la mia famiglia, si dedicava alla pastorizia e alla campagna, seminando grano e orzo. C’erano anche tanti artigiani che lavoravano con le mani, da soli o in piccole botteghe.

C'erano i falegnami che costruivano mobili e finestre, i fabbri che forgiavano attrezzi e chiavi, i maestri d’ascia che facevano i carri per i buoi, i sarti che cucivano vestiti su misura e i calzolai. E poi c'erano i produttori di campanacci, che facevano suonare le nostre greggi.

Artigiani e Boscaioli

I boscaioli tagliavano e segavano la legna. Con la legna di leccio, per esempio, si faceva anche il carbone. Atterravano le piante di castagno, e dai tronchi ricavavano le tavole per i mobili e i pavimenti. Dai pali di castagno, invece, facevano i travi per i tetti delle case. Dalle querce prendevano la parte leggera del legno per fare le traversine dei binari delle ferrovie in tutta la Sardegna.

Quando i tronchi erano abbattuti in campagna, li tagliavamo con la sega, alta quasi quanto un uomo. I "segantini" prima misuravano il tronco per decidere lo spessore delle tavole, a volte tre o cinque centimetri, poi infilavano la sega e uno tirava da sopra, l'altro da sotto.

C'erano anche i forni della calce e quelli per le tegole e i mattoni. I padroni dei forni più conosciuti erano i Signori Venturi, Tende Sotgiu, Pietro Cappeddu, Nanneddu Piras, Nocco e Nanneddu Piras. E per le tegole e i mattoni c'erano Simone Loche, Domenico Lacroix e i signori Contieri e Nocco Buono.


Per far funzionare questi forni ci voleva molta manodopera. Alcuni preparavano la legna per la cottura, altri la portavano con i carri dalla campagna. Anche le donne e le ragazze raccoglievano la legna, la mettevano in un punto di raccolta e poi la caricavano sui carri per portarla al forno.

Donne, Mercanti e la Posta

Per preparare i torroni, non c'era gas, non c'erano combustibili. Le ragazze andavano a Montesusu a prendere le frasche di agrifoglio che i pastori avevano tagliato l'anno prima. Dopo che le pecore avevano mangiato le foglie, le ragazze le raccoglievano in fascine e se le mettevano in testa, sopra a un panno, per portarle a Tonara, cantarellando. C'erano anche molte donne che lavoravano la lana. Filavano il filato a gomitolo e lo preparavano per il telaio, tessendo lana sarda e altri tipi di lana. Facevano il "furesi" per la gonna del costume, il "cabana" e il manto per il pastore, e altri tipi di coperte per il letto d'inverno.


Gli ambulanti, invece, andavano con il cavallo e il carretto coperto da un telo, girando per i paesi e le feste, vendendo i torroni e altre cose, come le castagne e le noci.

In quei tempi non c'erano macchine per portare la posta dalla stazione di Montesuso agli uffici postali di Tonara, che si trovavano a Funtan'Idda, vicino a Su Montigu.. Per i pacchi e il materiale postale, c'era un signore di ArasulèNicola Soddu, che aveva un carretto trainato da due, a volte tre, asinelli. Noi ragazzini lo guardavamo sempre con molta curiosità



12 - Il Tannino Arregodos de sa guerra e de Russia e de sa Vida - Benigno Casula



 il tannino detto in tonarese “s’orrusca” si produceva dalla corteccia della pianta di leccio. Le piante con il palo alto e giovane avevano una corteccia morbida che si lasciava lavorare bene. Una volta tolta dalla pianta, veniva messa nei sacchi e fatta a pezzetti. Il tannino serviva per conciare le pelli di cavallo e di vacca, anziché usare il talco. La corteccia si raccoglieva quando la pianta era adulta perché si staccava con più facilità.

Era un lavoro duro e faticoso, soprattutto per noi giovani che salivamo sulle piante. La corteccia iniziava a staccarsi dall’alto con attrezzi adatti. Giunto più in basso, l'operaio buttava la corteccia nel sacco e continuava il lavoro su un’altra pianta. Noi operai, per lo più giovani, eravamo assunti dall’impresa. La corteccia veniva pagata a peso.

Di sera, quando noi giovani operai tornavamo stanchi, ma cantando, noi altri ragazzi che incontravamo per strada chiedevamo loro: "Da dove state venendo?". E loro ci rispondevano, ridendo: "Stiamo venendo dal raccogliere la corteccia, lo vedete, siamo ben raschiati dalle piante!".


11 - Peppino Mereu, il Poeta di Tonara Arregodos de sa guerra e de Russia e de sa Vida - Benigno Casula



Di Peppino Mereu sentivo parlare dai grandi fin da quando ero giovane. Leggevo il libro del poeta e mi faceva molto piacere cantare quelle belle poesie in compagnia delle pecore; per me era un passatempo. Sentivo gli adulti parlare della sua provenienza e della sua vita. Lui era orfano di babbo e di mamma fin dalla prima gioventù e quasi per necessità dovette arruolarsi nell'Arma dei Carabinieri. Una volta congedato, si ammalò. A Tonara era conosciuto come un bravissimo poeta, perché si presentava anche a cantare nelle gare poetiche.

Un mio amico mi raccontava che suo padre, amico di Mereu, lo metteva sopra il cavallo e lo accompagnava alle gare poetiche, perché lui non poteva camminare. Nelle gare, gli altri poeti, vedendolo così come si era ridotto, dicevano: "Questo non può cantare, è quasi un uomo morto". Lui rispondeva in rima, con prontezza: "Anche se ti sembro un sacco di ossa, se ti pungo con lo sprone salti, fossi anche tu un fosso. Anche se ti sembra che sono malato, se ti pungo con lo sprone salti la porta".


Io ero sempre curioso di sapere come viveva e dove vivesse. La sua ultima abitazione è stata in una stanza del municipio, nel "comunale". Si era ritirato lì perché non poteva camminare e non usciva mai fuori di casa. Quando si affacciava alla porta, chiamava i ragazzini per qualche sua esigenza.

Mio suocero, Perdu Cappeddu, mi diceva che le mamme avvertivano i bambini di non avvicinarsi a quell'uomo perché li avrebbe contagiati con la malattia che aveva. Molti di noi, però, provavamo pena e andavamo comunque, almeno per portare qualche vaso d'acqua, e lui ci ricompensava con qualche soldo. Andavano anche altri per portargli un piatto di cose da mangiare. In quel posto, lui ha finito di vivere.



10 - Sotto il Fascismo - Arregodos de sa guerra e de Russia e de sa Vida - Benigno Casula



Quando ero un ragazzino, a scuola il maestro ci raccontava la storia del fascismo, come si era formato e il potere che aveva. Eravamo costretti a imparare canzoni del regime, come "Fischia il sasso" e l'inno del piccolo balilla, e a esaltare Mussolini con la canzone "Duce, Duce che non saprà mai morire".

I figli degli esponenti del partito fascista vestivano con la divisa del piccolo balilla. Erano ben sistemati, con pantaloncini bianchi fino al ginocchio, una camicetta con una cravattina nera e il berretto tipo fez. Le guardie vestivano con pantaloni grigio-verde e camicia nera, mentre i più grandi, i giovani fanatici e attaccabrighe, erano le camice nere.

 

 

Il Controllo e la Repressione

A quei tempi, il capo dell'amministrazione era il podestà, che agiva per conto proprio senza il consenso del consiglio comunale. A Tonara, le persone contrarie al regime erano sotto il controllo della milizia fascista. Non potevamo incontrarci per motivi politici e gli assembramenti erano proibiti nelle piazze senza permesso.

Anche i poeti nelle gare non potevano cantare temi che trattassero del regime. Ricordo cantanti come Raimondo Piras e altri improvvisatori che non si sono arresi alle condizioni repressive e hanno smesso di cantare nelle gare finché il fascismo non è finito.

Le Tasse e i Privilegi

Il regime aveva messo la tassa dei celibi per noi giovani, che dovevamo pagare una volta compiuti i 25 anni e finché non ci fossimo sposati. La tassa era di quasi 100 lire l'anno, che all'epoca era come un mese di lavoro.

I fascisti più sfegatati potevano arruolarsi nell'amministrazione, ottenendo privilegi e aiuti dai soldati dell’esercito ed erano i più pagati. La divisa dei soldati era grigio-verde con pantaloni a zuava e camicia nera. Il comandante federale della milizia corrispondeva al grado di generale dell’esercito.


9- Le "Giarrettiere": Un Mestiere di Altri Tempi - Arregodos de sa guerra e de Russia e de sa Vida - Benigno Casula



Ricordo di  aver visto queste donne, le "giarrettiere", che facevano la sabbia, un'immagine che viene richiamata anche in una poesia di Peppino Mereu. Il loro lavoro si svolgeva a bordo strada, vicino a grandi cumuli di pietre.

 

Queste donne, spesso giovani ragazze, si sedevano a terra e usavano una pietra piatta come base. Su di essa poggiavano le pietre più grandi, che venivano frantumate in pezzi più piccoli. Con l'aiuto di una forcella di legno, le tenevano ferme mentre le colpivano con una mazza. A volte lavoravano in coppia, una accanto all'altra, e mentre picchiavano, cantavano canzoni o "stornelli" per rendere il lavoro meno pesante.

Il loro lavoro veniva pagato "a cottimo", un tanto per ogni mucchietto di sabbia completato. Quando la sabbia era pronta, un "cantoniere" passava a spargerla sulle strade per la manutenzione.

Questo mestiere, fatto di fatica e manualità, scomparve quando a Tonara iniziarono a funzionare i frantoi meccanici, che resero il processo di produzione della sabbia più rapido ed efficiente.

 

 


8- Gioventù e Serenate: L'Inizio di una Passione - Arregodos de sa guerra e de Russia e de sa Vida - Benigno Casula


 


Ero giovane, e a mio padre che dovevo dire? Andare in paese, soprattutto la domenica, era la cosa più importante. Lì mi aspettavano i compagni per uscire di notte e fare le serenate. All'inizio seguivamo i più grandi, in lontananza sentivamo il suono dell'organetto. I suonatori erano quasi sempre gli stessi. Da lontano riconoscevo il ritmo di Costantino Piras, il suono di Giuseppe Sau e la voce del canto di De Murtas, quella di Sau Floris e le canzoni gentili di Beppe Pala. Lentamente ci avvicinavamo per ascoltare e piano piano imparavamo anche noi a fare i versi e "su Mutu", un canto tipico di Tonara e sardo per esprimere i propri sentimenti.

Quando siamo arrivati all’età di 18 anni, eravamo quasi pronti per il servizio di leva. Abbiamo fatto una colletta e ci siamo comprati i nostri organetti per uscire a cantare per fatti nostri. Scendevamo a cantare a Toneri e Teliseri. un'Avventura Notturna a Toneri

Una notte, mentre si canta  una serenata a una bella ragazza a Toneri, il gruppo di amici si ritrova in una situazione inaspettata. Diamo l'organetto a un ragazzo che si è unito a noi, ma improvvisamente, dalla cima di una casa, iniziano a piovere sassi. Spaventato, il ragazzo scappa via, ma la musica si sente ancora in lontananza.

Il ragazzo si era nascosto in un campo di fave, dove continuava a suonare e a mangiare. Un amico   lo trova, lo prende per il collo e lo tira fuori, dandogli "quattro pedate" per il gesto che, sebbene violento, il gruppo ritiene necessario.

Ritrovi e Tradizioni Musicali

Per le  riunioni,noi ragazzi si ritrovavamo nelle botteghe di vino e nei bar del paese.   da Peppino Orru a Santa Maria, da Tiu Larentu a Muragheri e da Tiu Michelino Zucca. A Toneri, vanno da Tiu Chicotu, e a Teliseri da Tiu Pera Peddes.

Ai tempi del fascismo, per evitare multe per disturbo della quiete pubblica, chiedevamo il permesso ai carabinieri per  loro serenate. Tuttavia, quando si partiva  per il servizio militare, non ne avevamo più bisogno.

  

Il Significato di una Serenata

 Riflettevo  sulla bellezza delle serenate, specialmente quando sono cantate con amore. Le donne del paese imparano a loro volta "Su Mutu" e lo cantano mentre lavorano, sia che stiano facendo il torrone, tessendo al telaio o raccogliendo castagne e nocciole nei campi.

La musica per una serenata nasce solitamente dall'idea di un uomo non sposato che desidera corteggiare una ragazza, parlandone con gli amici che sanno cantare. In queste serenate, si canta a ottave. L'uomo, che vuole fare la "sceneggiata musicale", porta vino e tutto il necessario. Ad esempio, "Voglio musicare a Mari Antiga perché la voglio in sposa".

La "commedia" si svolgeva davanti alla casa della ragazza. Il primo a cantare è "su paralimpu", che ha il compito di lodare il pretendente e la sua famiglia, cercando di convincere i genitori di lei. A turno, rispondevano in poesia il cantore dello sposo, il padre, la madre e, infine, la ragazza. La performance poteva durare quasi due ore, accompagnata da canti e vino.

Se il pretendente veniva accettato, la serenata continuava a casa della sposa con altri canti e poesie. A volte, queste "commedie scherzose" si trasformavano in matrimoni veri e propri.


18-La Russia. Arregodos de sa guerra e de Russia e de sa Vida - Benigno Casula

  Il  7 luglio del 1942 . Ricordo la data come fosse ieri. Quel giorno, partimmo per il fronte russo. Il mio reparto era l’Autosezione A...