Ricordo ancora il giorno in cui partii, ai primi del 1941. Avevo ricevuto la cartolina di precetto, come tutti i ragazzi della mia classe, quella del '21. Partii per Bologna, dove mi assegnarono al Sesto Reggimento del Genio. La divisa che mi diedero era grande e grigio-verde, ma dovevo indossare solo quella.
Dopo pochi
giorni, mi trasferirono a San Giorgio di Piano, dove mi unii alla
seconda compagnia artieri. Lì faceva un freddo umido terribile, e dormivamo
tutti in un capannone senza riscaldamento. Dopo due mesi, mi spostarono a Cento,
in provincia di Ferrara. Qui, come genio artiere, iniziammo ad addestrarci per
la guerra. Imparammo a maneggiare mine e a costruire reticolati di protezione.
Andavamo al fiume Reno e costruivamo ponti provvisori, fatti
con barconi ancorati l'uno all'altro, sui quali montavamo impalcature per far
passare le macchine. Eravamo diventati una squadra veloce e in poco tempo il
ponte era pronto.
Dopo
quattro mesi, tornai a Bologna per un corso antincendio alla caserma dei vigili
del fuoco. Alla fine del corso, mi diedero una licenza di 10 giorni. Non mi
sembrava vero, potevo tornare a Tonara. Finita la licenza, andai
a Pavia, al Terzo Reggimento del Genio, per
un'istruzione prima di partire per il fronte russo. Era la fine del
1941, la guerra era già iniziata. Per noi soldati, era come una gita; ci
avevano convinto che i nemici dell'asse Roma-Berlino sarebbero
stati sconfitti in fretta e che
saremmo tornati a casa vittoriosi.
