sabato 7 gennaio 2012

San Mauro nel Tempo



San Mauro nel tempo
(Un’esplosione di fede, di colori e di grandi silenzi)

La fiera di San Mauro nell’Ottocento
Premessa
Al fine di ricostruire un quadro molto interessante delle visite effettuate al Santuario di San Mauro in territorio di Sorgono, da parte di autorevoli scrittori e corsivisti dell’Ottocento ho cercato di dare luogo al seguente ordine di presentazione che tiene conto dal punto di vista cronologico delle attenzioni di Vittorio Angius e Alberto Della Marmora per la prima Metà dell’Ottocento, di A.Falconi, A.Ballero, Gavino Scano, Gustavo Stafforello e Francesco Corona per la seconda metà del secolo e di un anonimo relatore per il primo quarto del Novecento.
La precedenza a detti servizi viene data al frammento di un manoscritto, di cui non si conosce l’autore, indirizzato al vescovo monsignor Tore intorno agli anni del suo episcopato alerese (1826-1836) e alla breve presentazione di alcuni eremiti di San Mauro.


Da una lettera a monsignor Tore

Ill.mo R.mo Sig. Sig. P.rone Col.mo.
[Illustrissimo Reverendissimo Signor Signor Padrone Colendissimo]
Il mio viaggio Monsignore alla fiera di San Maoro, sebbene sia stato breve per lo spazio del tempo racchiuso nel periodo di tre giorni, pure è stato molto esteso, e grande, atteso il piacere, che ho gustato nel vedere que’ luoghi. Ho sofferto qualche incommodo nella discesa di Ruinas, che tanto si piega, ed umilia quasi per ossequiare il famoso fiume Tirsi, che maestoso scorre a’ piedi di quella montagna, come anche nella successiva sinuosa salita, per cui si ascende a Samugheo, avendo dovuto fare a piedi l’una, e l’altra; ma questi disaggi sono stati a sufficienza compensati dal conforto, che ho avuto nel vedermi in quell’altra, ed amena pianura. In quel momento mi sovvenne la descrizione, che fa il Poeta Esiodo della strada della virtù, rappresentandola tanto ardua prima di giugnere alla sommità, quanto deliziosa dopo d’averla raggiunta, e mi parve, che alla vista avesse que’ luoghi, quando scrisse: Virtutis iter posuere remotum caelicolae, durumque prius, sed vertice summo dum fueris, planum se offert quaerentibus illud.
Verso il mezzo giorno del martedì giunsi a Samugheo, ed osservando la Chiesa aperta, per piacere di vederla smontai da cavallo, ed entratovi viddi bellissimo l’altare maggiore di marmo, il coro spazioso, e circondato d’una eccellente sellieria, e la Sagrestia sufficientemente grande, illuminata, e ben tenuta. Entro la medesima ebbi la consolazione di rivedere, e riconoscere un mio antico amico Prete Demurtas Vicep(arro)co di quella Parrochia, come anche ebbi il piacere di fare conoscenza di quello novello Rettore Teologo D(o)n Giuseppe Mura, il quale fù tanto obbligante, che ad ogni modo volle, che restassi in sua casa per prendere assieme la zuppa, e riposare qualche momento. Ben volentieri approffittai di quelle esibizioni, e perche abbisognava di qualche riposo, e perche voleva maggiormente conoscere quel Giovine, a cui in realtà dopo un’ora, che ci siamo trattenuti in varj discorsi professai tal’amicizia, ed affetto, che sempre ne avrò viva la memoria.
Verso le due ore continuai il corso del viaggio, e quanto più strada faceva, tanta s’aumentava la mia contentezza. Le strade quasi in ogni punto carrozzabili, e commode, quelle annose ombreggianti quercie, messe in tal’ordine, che migliore non ne trovarebbe l’arte – il terreno sgombro di quelle spine, e macchie, che funestano l’animo, e smaltato di tenere erbe dolcemente verdegianti sembrano di presentare agl’occhi del passeggiere piuttosto un giardino artefatto, che una pura montagna. Le stesse grandi pietre, che di tratto in tratto si veggono tutte della stessa globosa figura, e quasi ammantate d’un bianchissimo velo aggiungono tale quale dignitoso decoro al luogo.
Dopo alcune ore di strada finalmente arrivai alla gran valle, in cui s’innalza il gran tempio di San Maoro. Questa attorniata a buona distanza dalle montagne di Sorgono, d’Azzara e d’Ortueri presenta un punto di vista il più dilettevole – come anche è piacevole il prospetto del gran piazzale circondato da innumerevoli botteghe e chiuso da due grandi porte.
Mi fù favorito l’alloggio nella stanza che vi tiene il Rett(or)e di Sorgono, ed ivi  pernottai in compagnia del R(everen)do Mereu Vicep(arro)co del medesimo. Nel Mercoldì di buon mattino venne quel Sig(no)r Rett(or)e, e fù scambievole il piacere di rivederci dopo tanti e tanti anni che io l’ossequiai in Desulo
L’avere in quella congiuntura riveduto molti amici, e condiscepoli, l’aver acquistato nuove conoscenze, l’aver veduto un mondo di gente che vi concorre, come anche tante varie, e diverse foggie di vestire, e di parlare è servito per me d’una somma contentezza.
Non potei poi più allungare il tempo del mio viaggio – qualcuno di que’, che aveva in compagnia fecce acquisto di qualche polledro, e per tal motivo non mi fù possibile d’approffittare dell’invito del Rettore di Sorgono, che mi volea condurre a vedere quel paese, come ne anche di quello del Rett(or)e Devilla, e Vicario Manca,  che mi volevan chi in Meana, e chi in Azzara.
Il Giovedì di buon mattino ripresi la strada pel mio ritorno, e dopo aver ripassato quella famosa scala bensì a cavallo, e riposato nelle rive del detto fiume continuando il corso del mio itinerario giunsi a questa mia casa verso le sei ore di sera in prospero stato di salute, in cui presentemente mi trovo, parendomi d’aver riacquistato quelle forze [...]
Destinatario della missiva in oggetto è Antonio Raimondo Tore di Tonara (1781-1840), figura di notevole spessore sia per il suo Credo che per la valenza dimostrati nell’arco della sua vita ecclesiastica, mentre è anonima la figura del mittente. L’alto prelato ha retto le parrocchie di Atzara, Aritzo e Sorgono, ha avuto incarichi di prestigio come vicario generale e quindi come vicario generale capitolare nella Diocesi di Oristano, è stato consacrato vescovo a Bosa, ha governato per circa un decennio la Diocesi di Ales e quindi come arcivescovo ha retto, per un triennio sino alla sua morte, la Diocesi di Cagliari. Della vasta produzione ancora esistente negli archivi diocesani di Oristano, Ales e Cagliari mi auguro in prosieguo di poter offrire all’attento lettore un’attenta disamina di certi quadri di fede sabauda.
Del carteggio fa parte anche il contenuto della lettera inviata da Giuseppe Nieddu, rettore di Sorgono, ad Antonio Tore, vicario capitolare in Oristano.
Eseguendo l’ordine prescritto nella presente Circolare l’infrascritto Rettore parrocchiale di Sorgono è in obbligo d’informare, che nei territorj di quel Villaggio esiste una Fiera nella Chiesa rurale di san Maoro, a chi si celebra ogni anno sollenne festa nel primo Giugno con concorso considerevole di popolo delle varie parti della Sardegna, di Mercatanti di robbe di palmo, e di varie altre merci, qual concorso dura quasi tutta l’ultima settimana di maggio, e la Chiesa ne perceve ogni anno il reddito di cento scudi in circa tra il dritto delle Botteghe, e l’offertorio dei fedeli, di qual somma ne ha il procuratore della Chiesa i capisoldi, nove scudi sono destinati dall’Arcivescovo al Curato, che durante il concorso della festa è fermo sul posto, ed il rimanente è addicato alla Chiesa parrocchiale, che somministra quanto è necessario alla festa, come cera, oglio per la lampara e provvede agli accomodamenti necessarj per la conservazione di quella Chiesa, Botteghe, ed abbitazioni precise per alloggio del Curato, Romito (1), e divoti, che vi concorrono. E si fa noto, che presentemente la Chiesa abbisogna di riparo considerevole. [...]
Del che &
Sorgono li 30. Gennaio 1824
D(o)n Giuseppe Nieddu Rettore

(1) Vedi il commento dell’Angius nel paragrafo successivo.


Breve segnalazione di Vittorio Angius sugli eremiti della Barbagia centrale
nel dizionario del Casalis

   Al paragrafo Romiti dell’articolo Barbagia lo storico Vittorio Angius riferisce nella prima metà dell’Ottocento quanto segue:
   Romiti. Molte delle chiese rurali sono custodite da cotali, che stimansi dai semplici uomini di molta religione, e si appellano romiti o eremiti. Ai medesimi con permesso dell’ordinario è fatta facoltà di questuare, e vanno in giro per li paesi portando in una cassetta pendente dal collo un piccol simulacro del titolare della chiesa, ornato goffamente di nastri, e di alcune offerte e voti. Sono accompagnati da uno zampognatore, che avvisa il popolo, e fa una sonata ad onore dei divoti, che offrono qualche limosina. Per la maggior parte sono costoro persone oziose, che fuggono la fatica, ed amano di vivere a spese altrui, e nutrire i propri vizi con le obblazioni dei fedeli. Da ciò si intenderà quanto sia la loro fedeltà in convertire al bene della chiesa ciò che vien porto a questo fine. Molti di  questi pinzocheroni sparirono colle limosine e col simulacro.




Eremiti a San Mauro

a) Giovanni Mauro Fadda
Decesso
(18 giugno 1689)
   Alos dies, y ocho del mes de Junio del año mil seisientos ochenta, y nueve muriò Juan Mauro Fadda hermitano del glorioso San Mauro, haviendo recevido los santos sacramentos Penitencia, y Comunion,
Testamento
   hiso testamento en poder del lic(encia)do Pedro Paolo Todde cura dela dicha Villa de Sorgono,
   ordenò por su alma q(ue) se hisiessen las sinco missas ordinarias, los tres pausos noturnos, y laudes, las tres absoluciones cantadas en los pausos el dia de su obito, los tres clerigos revestidos y missa parada con sus absoluciones
   fue enterrado en la Iglesia de san Mauro dentro.
   El qual testamento se entregò al notario Antonio Corriga.

b) Antioco Cadello
Decesso
(8 novembre 1767)
   Alos ocho de 9(m)bre mil sietecientos sessanta, y siete muriò Antiogo Cadello Ermitano de San Mauro, recibiò los Sac(ramen)tos, e
Testamento
   hizo testam(en)to en poder del V(enera)ble Juan Baup(tis)ta Spissu y por este entregado al no(ario) Ant(onio) M(ari)a Pisanu de esta villa de Sorgono, y deja media pompa fun(era)l, y para pagar los gastos funerales deja la porçion q(ue) le cabe delas colmenas (alveari), y lo remanente en missas à decision de su mirador el R(everen)do R(ecto)r Fran(cis)co Paris
Baquis Loddo Cura
c) Giovanni Milia
Decesso
(17 novembre 1800)
   Juan Milia hermitan de S(an) Mauro marido de Josepha Antonia Donachu in s(ecun)dis nuptiis, de edad settenta años, moriò a dies, y siete Novembre mil ochocientos; recibiò todos los Sacramentos; no hizo testamento, y se hizo media pompa funeral con assistencia de ambas V(enera)bles Cof(radi)as
de que
Don Juan Estevan Sedda Cura



I servizi degli storici

Vittorio Angius
Vittorio Angius, nel Dizionario del Casalis, alla voce Sorgono, riferisce, per l’anno 1846, che“verso il ponente-libeccio del paese alla distanza di un’ora e un quarto trovasi la chiesa rurale di s.Mauro abate, forse la più grande e bella chiesa fra le rurali dell’isola. E’ di antica struttura e di una sola navata, a volta solida, con alcuni altari a’ lati. Vige la tradizione che fosse presso la medesima un monisterio di benedettini. Vi si festeggia per il titolare nel primo di giugno con gran concorso di gente ne’ cinque o sei giorni precedenti da tutte le parti. In quei giorni vi si tiene una gran fiera, massime di panni, ferrame, corame, terraglie, cavalli, ecc.” Le comunicazioni ed i trasporti tra il comune di Sorgono e i vari centri contermini sono comunque molto precari. L’Angius è alquanto preciso quando riferisce che “le condizioni miglioreranno quando si traccerà la gran via di levante, la quale dovrà passare a non molta distanza dal paese.” Intanto ci si deve accontentare di ” sentieri e non strade, perchè si cammina sulle roccie incurvando la direzione ad ogni tratto: quindi non si può carreggiare, e i trasporti si devon fare sul dorso de’ cavalli.”
Alla voce Busachi (provincia di), l’Angius, a proposito di fiere riferisce che “vari mercati sono celebrati nella provincia in occorrenza di certe feste. I più che si frequentino sono, quello di S.Mauro in territorio di Sorgono, [...] l’altro di s.Croce in Oristano nei 12.13.14 settembre. Minore è l’affluenza alla fiera di di s.Vero-Milis per la festa di s.Michele nei 27. 28. 29 dello stesso settembre.[...] “Ai suddetti mercati maggiori non si possono paragonare quei che si tengono nelle feste della Madonna d’Itria in Oristano per li tre giorni della Pentecoste; della Vergine del Rimedio[...]


Alberto Della Marmora
Alberto della Marmora nel suo Itinéraire de l’Ile de Sardaigne, pubblicato a Torino dai Fratelli Bocca nel 1860, riferisce che “il principale paese della regione granitica e montuosa del Mandrolisai è Sorgono”. “In quella zona sorge la chiesa di San Mauro, che si dice appartenuta ad un antico convento di Benedettini: La chiesa è conosciuta nel paese per la fiera annuale che vi si tiene. Questa comincia il 1 giugno e dura diversi giorni, è importante soprattutto perla vendita dei cavalli; per acquistarli, vengono anche da molto lontano abitanti di tutte le parti dell’isola; vi si smerciano anche utensili domestici e strumenti per l’agricoltura.
Il prolungamento della strada nazionale centrale deve passare per Sorgono. Mentre scrivo, è percorribile e aperta al traffico solo nel tratto da Monastir a Laconi, paese dopo il quale toccherà per Meana, Atzara e Sorgono, lasciando a sinistra i vicini paesi di Austis, Teti, Tiana e Ovodda”

A.Falconi
Sul numero 8 del periodico quindicinale di scienze, lettere ed arti Vita Sarda, A Falconi, a seguito di una serie di servizi sulle feste e fiere che si celebrano in Sardegna, con un articolo curato nel 1891 dalla Maddalena, così ci presenta la più grande fiera dell’isola.
“Tre anni fa [quindi nel 1888] io assistetti a una delle più antiche, e ritengo, alla più importante di esse: a quella di S.Mauro di Sorgono, su la quale posseggo alcune impressioni, che voglio augurarmi non saranno per riescire sgradite a’ leggitori della Vita…giornale.
Accedendo da Meana, per il vecchio sentiero, a S.Mauro, allorchè  si giunge ad un valloncello distante un par di chilometri dal tempio dedicato al santo, e d’onde si domina lo stesso altipiano su cui esso si innalza, uno spettacolo imponente, inatteso, graditissimo si offre alla vista dello spettatore; che mentre essa si allieta per l’amena circostante campagna, la grande distesa del piano-sul centro del quale, in su’l poggio, si scorge la chiesa, con attorno un considerevole gruppo di caseggiati- appare meravigliosamente ingombra da uno sterminato numero di uomini, donne, carri, carretti, carrettoni, carrozzelle, e bestiame di ogni specie. [...]
Della origine della fiera di S. Mauro è d’uopo dire, che essa non si perde nella solita “notte dei tempi”, è certo però, che rimonta a un’epoca assai lontana. E’ fra le sagre di tal genere in Sardegna, ripeto essa si può ritenere come la principale. [...]
La durata della sagra è dai 12 a’ 13 giorni; perché incomincia dopo il 19 di maggio e dura sino al 31, ma le giornate più culminanti per concorso di gente e le funzioni sacre e … profane sono quelle del 29,30 e 31. Può dirsi che i sorgonesi, specie le donne e i fanciulli, accorrono in massa a San Mauro e vi rimangono per tutta la durata della sagra. Vi è, quindi, una gran quantità di casupole, di camere abbastanza vaste che sono proprietà del Santo, amministrate da speciale commissione che affitta ai molti richiedenti, i quali, durante que’ giorni, vivono in una comunione…troppo religiosa. Le famiglie agiate dispongono di più stanze, vivendo così in una comunione…meno divota. Alcuni de’ paesi vicinali – come quei di Ortueri, Busachi ecc. – hanno le loro casette discoste, e indipendenti – credo – dall’amministrazione sorgonese. [...] Oltre le descritte abitazioni, vi ha pure tanto dietro la chiesa, quanto di faccia, una tettoia piuttosto bassa, sostenuta da rozzi pilastri, con scompartimenti simmetrici, nei quali si vende ogni genere di mercanzia, ma specialmente i manufatti. Questi negozi a “sistema ridotto” servono pure di alloggio a’ mercanti e alle mercantesse che da tutte le parti dell’isola accorrono alla fiera di San Mauro. [...]
Narrano i vecchi, che a’ dì nostri la fiera di San Mauro, “non è più quella di una volta”. E ciò deve essere vero. Una volta i mezzi di trasporto erano…anzi non erano. D’onde la necessità = non potendosi andare a centri più cospicui = di ritrovi a epoche stabilite dell’anno e nella bella stagione, dove con lo scopo della festa religiosa, si facevano le compre-vendite su larga scala .[...] Da ciò il concorso, invero straordinario, a questa sagra dove si trovavano rappresentati quasi tutti i comuni della Sardegna. [...]
E pure, comechè sian mutati i tempi, la festa di S. Mauro presenta ancor oggi un so che di caratteristico, di originale, di attraente. Ed è bello assistere a quel continuo movimento di uomini e d’animali, a quella confusione, a quel non mai interrotto vocio, in una parola a quella specie di caotico insieme onde par di far parte di un alveare…di proporzioni colossali. E quà tu scorgi dei gruppi intenti ad ammansire il desinare, sì che nei schidioni lunghi di legno [...] Là osservi un capanello in mezzo al qualesi trova, per lo più un menator d’organetto, un cantore che improvvisa [...] Altri uomini e donne, sono intenti a intrecciare la “danza nazionale”, su ballu sardu [...] E trovi il gavoese, e ne senti il vociare, che ti offre la sua merce, consistente ne’ celebrati sproni, morsi e cillonis [...] Il milese con le sue melarancie [...] l’oristanese col suo pisci ‘e iscatta [...] L’aritzese con le sue carapignas [...] Nè manca, in S.Mauro, lo spacciatore di torroni, specialità di Pattada. [...] Nè il desulese,, nè l’atzarese, nè lo stesso aritzese con una gran quantità di arnesi da cucina lavorati grossamente a mano [...]

Antonio Ballero
Sul numero 17 del periodico Vita Sarda, Antonio Ballero, in un servizio da Nuoro, datato maggio 1891,  ci rilascia queste significative istantanee della fiera di San Mauro di Sorgono:
“Addossata al principiare del colle, che chiude la pianura sottostante, s’erge la chiesa campestre di San Mauro, nera e screpolata, quasi protetta dal campaniluccio di granito. Da lungi si direbbe un castello medievale. Il muro di cinta, solcato da grosse fenditure, coi suoi due ampi portoni massicci, e quella sessantina di casette nane accoccolate attorno alla chiesa, coi loro tetti neri, ove qua e là spuntano rigogliosi ciuffi d’erbe, contribuiscono a completare l’illusione dando a quei caseggiati l’aspetto di villaggio medievale.
Fuori del recinto chiuso dal muro, negli ultimi giorni di maggio di ogni anno, tempo in cui ricorre appunto la festa, sorge, per incanto, un nuovo paese! Centinaia di carri, coperti, in forma di cupola, da lenzuola, a guisa di barche a vele spiegate sciamano in quel mare di verzura. Quante tende, quante baracche di frasche, quante capanne di stuoie intessute con canne!
Nella pianura un formicolio irrequieto, uno spandersi, un ammassarsi compatto di folla vociante. Nugoli di rosso, di bianco, di verde, d’azzurro; un brillare, uno scintillare di colori svariati di quelle centinaia di costumi, tutti diversi, tutti variopinti, tutti più ricchi l’uno dell’altro.
Migliaia di cavalli, montati da arditi cavalieri, corrono a precipizio, in tutte le direzioni, scansandosi sempre l’uno con l’altro, saltando muri, varcando fossi, superando siepi. Armenti interi di bovi, rincorrentesi e cozzanti con le corna terribili, squilli di campane, fucilate, nitriti di cavalli, muggiti di bovi, canti allegri e voci di rivenditori, si confondono nell’aria formando un assieme che ha qualche cosa del brontolio del mare irato o del rombo lontano del tuono.
Dal cielo piovono i raggi caldi del sole, illuminando questa scena che si presenta a chiunque abbia desiderio di vedere la principale fiera campestre dell’isola, dall’alto di una collinetta, che guarda la chiesa da un chilometro di distanza. [...]
Era un’onda di colori vivaci, di broccati sfavillanti, di lini bianchissimi, di veli vaporosi, tutto tempestati d’oro e di gioielli tutti barbagli di pietre e di metalli preziosi. Era una colonna che s’avanzava continuamente, interminabile, di fanciulle di bellezze sorprendenti, di spose procaci, di vedove piene di tentazioni; e miste a loro vecchie dai profili adunchi, scarne, rugose, di un’orribile bruttezza, resa vieppiù ributtante dal confronto delle bellezze giovanili. Uomini fieri del Capo di sopra, con le lunghe barbe spioventi sui corpetti rossi, o turchini, o color mattone; facce tonde, lisce, accuratamente rasate, degli indigeni del campidano, dall’incedere quasi rispettoso e servile. [...]
Intorno alla chiesa, fabbricate contro il muro di cinta, erano le tettoie per i negozianti di telerie, seterie e chincaglierie accorsi alla festa. [...] In un angolo, sotto la tettoia, gli immancabili Aritzesi rivenditori di limonata gelata, (carapinna) [...] Più in là i chincaglieri girovaghi napoletani [...] Dopo i napoletani due lunghe righe di donne di Tonara, rivenditrici di turrones (mandorlato fatto col miele) – povere vittime, in tutte le feste della Sardegna, degli scherzi osceni degli ubbriachi, condannate a stare giorno e notte sempre sul chi vive, accanto al loro tavolino sciancato senza prendere un’ora di sonno, un minuto di riposo, pallide, sparute, bruciacchiate dal sole. [...] Qua e là le tende dei venditori di dolci che non accudivano ad accartocciare biscotti e confetture. Ad ogni passo un Gavoese che assordava i passanti col tintinnio dei campanacci delle greggi, imponendo a tutti gli speroni lucidi ed i morsi eterni delle rinomate fabbriche di Gavoi. [...] Colà avevano piantato le tende gli Isilesi, che con le centinaja di pajuoli che avevano portato per vendere, si avevano costruito una specie di cittadella. [...]
Scendendo giù verso la pianura, a destra e sinistra si innalzavano le capanne dei Milesi venditori d’arance e di vernaccia. [...]
Sparse per la pianura innumerevoli baracche costrutte con frasche: erano le trattorie del popolino![...]
Giù, negli ultimi limiti della pianura c’era la fiera del bestiame. Ma quella era una vera battaglia! Chi si poteva avventurare fra quelle migliaia di buoi? Fra quei cavalli bizzarri montati da cavalieri impazziti addirittura? [...] Questo frastuono non cessò neanche la notte: cambiò forma, ecco tutto. Allora cominciarono i canti degli improvvisatori, le gare poetiche [...] Così per tre giorni e per tre notti, senza tregua, senza riposo.
La processione doveva segnalare la chiusura della festa. [...] La processione era uscita dal portone d’Oriente detto di Sorgono, e dopo venti minuti rientrava per quello d’occidente, detto d’Ortueri [...] I cavalieri fecero ancora tre volte il giro della chiesa; però questa volta con una corsa quasi vertiginosa; poi si sparpagliarono giù per la pianura.
La festa era veramente finita. [...] Quel grande spazio ove s’erano passati tanti giorni di allegria schietta, e di festa generale, ora andava seppellendosi in un abbandono triste. Pareva un paese abbandonato da un popolo di emigranti. [...]
Nuoro (Maggio 1891)
Antonio Ballero”

Gavino Scano
Leggendo i capitoli VI e VII del lavoro del professor Gavino Scano dal titolo Dalla valle ai monti, edito nel 1891 dalla Tipografia del Corriere di Cagliari si ha la possibilità di verificare lo stato di salute della fiera di San Mauro, i contorni storiografici relativi all’abazia benedettina ed i vari aspetti legati al fattore paesaggistico. All’autore, che è originario di Austis, si deve riconoscere molto merito, bontà espositiva ed ottime capacità dialettiche. Non mancano i toni nostalgici i quali contribuiscono in maniera determinante a creare maggiore valore aggiunto alla descrizione Qui di seguito alcuni passi:
Corsero quarantanni da che io non visitai più cotesta festa o fiera. Ed ivi io rividi di nuovo i miei buoni austesi, festeggianti anch’essi, abbronzati sui volti, vivi nell’occhio intelligente, modesti nel loro stremato e impoverito peculio. […]
S.Mauro è forse la più antica delle chiese rurali della Sardegna, non si sa se basilica o santuario o monastero o cenobio. Della sua origine tace la storia, e pare risalga a tempi molto lontani, e fino a quelli che precedettero il seicento. […]
Solo a poca distanza dal suolo sul fianco della chiesa, e sullo spigolo attinente alla gran porta per cui si accede al sagrato sta una breve lastra fissa al muro dove leggesi la data del 1600, e vi sta scritto un nome, non si sa se del fondatore o riformatore o ristauratore, se fosse maniaco cenobita o abate; e più nulla.
Medievale e pisano pare lo stile, certo non dorico né ionio né corintio, col quale la chiesa fu costrutta, lunga spaziosa, con varie porte, alta e grande la principale su un pianerottolo a sedili di granito, e sopra una breve scalea parimenti granitica; e sulla fronte del sagrato è apprezzabile un grande rosone che ha sfidato i secoli, di pietra vulcanica, egregiamente lavorato. […]
L’altare prima di legno anch’esso bruno e affumicato dagli anni, oggi è di marmo tra il rosso il bianco e il nero, decentemente adornato. Il simulacro del santo s’innalza sopra una predella vicino all’altare, sparso di fettucce di vario colore, quasi fettici, di gigli di rose e di altri fiori. […] E attorno al simulacro frotte di devoti, quali in piedi, quali preganti coi dorsi curvi, quali strisciando colle ginocchia sul pavimento, a baciargli ora il piede, ora la tonaca, ora il cordone. […]
La basilica che si erge sul fianco di un colle  sta dentro un recinto, chiuso tutto a muro fabbricato con due porte, dette una di Sorgono all’oriente, e l’altra di Ortueri all’occidente. All’interno e d’intorno, sono casette ora imbiancate per la circostanza, ora screpolate o nere per l’abandono, dette muristenes (1), forse corruzione (sic) di monastero, quasi appendici e filiali al cenobio. In esse dal 20 fino al 31 maggio si raccolgono famiglie di devoti e festaioli; e vi passano il tempo allegramente tra preci spassi canti e danze. All’ingiro delle mura sonovi tettoie occupate da mercanti con una tassa devoluta al municipio di Sorgono; e vi spiegano gridando le loro mercanzie, e le loro derrate. In altri tempi forse meno spolpati, forse più lieti e prosperi, erano turbe affollate di accorrenti ai facili baratti, ai facili scambi, alle facili mercature. […]
Al di dentro parimenti del recinto sono baracche posticcie, composte di fronde e frasche con un architettura da pastore o da capraio, tutta montanara e rusticana. […] Dentro poi di codesti abituri, ambulanti, mal fermi, che come sorgono si disfanno, sono tavoli di ogni dolciume; e vinattieri, e vasi vinari grossi e piccoli che si vuotano e si rimpiazzano con una continuità sorprendente. […]
Questo al di dentro del recinto. Al di fuori un mescolarsi, strano di frastuoni, di voci umane e nitriti di cavalli, e anche bestemmie e imprecazioni smargiasse; un confondersi di ricchi e poveri, più che di spirito di moneta; un vociare di merciai clamanti alla bontà alla eccellenza delle merci esposte; e un batter di mani violento, e suono rabbioso di campanelli che stridono sulle orecchie spietamente percosse. E poi un libare continuo instancabile, e i volti arrossati dalle libazioni perenni […] un girovagare baccante, una confusione, un tumulto, quasi un baccanale, o la valle di Giosafat. […]
Il piano (Ghea) che scende al rivo, quasi campo ad una giostra, ad un torneo; e ivi polledri e destrieri focosi con baldi, e valenti cavalieri: è un correre e ricorrere spensierato frenetico, spesso temerario dall’alto  al basso, e dal basso in alto, dalla mattina alla sera, a mostrare il vigore la virtù dei polledri, mordenti il ferro sui freni agitati, fumanti di sudore sulle groppe, spumosi nella bocca, tra nitriti sonori e scalpitii. […]
Sono quadri tolti dal vivo e dalla realtà della vita di un popolo docile e proverbialmente tranquillo. Ogni paese, ogni costume, ogni dialetto vi è rappresentato, dalla Gallura a Nuoro al mare di Orosei, da Sassari ad Oristano all’Ogliastra a Cagliari. E vi è esposto ogni prodotto o lavorato o grezzo o rusticano; dalle noci di Aritzo e di Belvì, dalle castagne di Tonara e di Desulo alle ciliegie di Ardauli e di Sorridili, dai composti refrigeranti del belviese e dell’aritzese alle nocciole abbrustolite. Tutto vi è rappresentato; dai tessuti bianchi di Meana e di Samugheo al forese or nero or grigio o rossastro di Gavoi, alle stoffe ai brocati del mercante bosano: dalle falci, dalle ronche, dalle scuri di Ortueri e di Gergei ai freni alle morse agli speroni del  Gavoese e di quel di Ollollai, dalle scarpe punteggiate in acciaio, dai calzari e dai bolsachini di Isili e di Laconi alle ruote affilanti di Nurri, alle pietre nere e bucherellate di Fordongianus e di Nurallao, avanzi di Vulcani spenti, strumento avito a macinature di cereali e frumenti: dagli argenti lavorati di Gergei e di Escolca ai lavori in rame di Cagliari, composti con arte non grezza e costosi: dai bovi robusti di Sorgono di Atzara di Abbasanta e di Norbello alla bellissima razza equina di Macomer di Bortigali di Noragugume e di Sedilo ancora vergine e non inquinata da mescolanze ibride. […]
Nel 31 maggio è la grande solennità, la grande festa. Gli accorrenti si riversano ad ondate sulle porte di Sorgono ed Ortueri, fluttuanti fra carri, cavalli, cavalieri e pedoni; e si stringono si serrano si cozzano correndo ansanti al sagrato […]
E di là, reso a S.Mauro quel che era suo, ai pranzi ai desinari sospirati. Ed è un ecatombe di agnelli, di cui le carni gustevoli aromatiche dalle odorose pasture […] Indi il desinare pronto; il tagliere fornito al centro; gli appetenti in giro attenti a chi puiù o meno ne prenderà […]
Di sera la grande processione, atto ultimo del dramma della fiera e della festa. Migliaia di persone vi presero parte, diverse per sesso per età per costume. Quasi come un’avanguardia centinaia di cavalli aprivano la marcia scalpitando caracollando, briosamente saltando, mordendo i freni e vigorosamente rattenuti. Incedeva poi l’ovriere (oberaiu) col comitato promotore della festa anche esso a cavallo, e a bandiere spiegate; indi il clero salmeggiante con voce ora alta or fioca; poi i confratelli biancovestiti irsuti nelle barbe ispide e setolose, e coi capelli a scompiglio, cui non toccò il pettine né ammorbidì il calamistro. E finalmente un immenso codazzo di popolo otra devoto e pio, ora curioso e spettatore; e donne scalze colle chiome fluenti sugli omeri, e madri e padri coi bimbi sulle braccia, pregando e cantando con note e ritmi melanconici tristi. Era uno spettacolo attraente[…]
Tale la fiera e la festa di S.Mauro. In altri tempi ricca e florida per le mercature e per i baratti che vi si svolgeano tra traffici e profitti; e oggi scaduta e deperente per la pubblica e privata economia costretta tra paste di ferro, per il capitale deficiene, per il lavoro infecondo, per la mano d’opera avvilita […] In quei tempi, e nell’entusiasmo dei miei anni giovanili io la vedevo spesso quella festa; e nei quadri che mi descriveano davanti quasi intuivo e vaticinavo un avvenire più felice più lieto e più splendido ancora, pensando nella mente accesa a leggi più umane ad ordini più liberi, a costumi addolciti dalla pace, dall’armonia dell’intendere e del sentire, dalla concordia di tutti allo scopo di una vita soddisfacente altamente civile. E furono forse illusioni forse fantasie da poeta. I tempi vagheggiati vennero, e le leggi produssero altri frutti, e gli ordini livellatori che pareano presentare eldoradi e orizzonti nuovi condussero ad altre conseguenze.
Nota (1)
E’ da presumere che i muristenes, quasi un anagramma del termine monasteri, siano sorti nel territorio della diocesi arborense soltanto verso la fine del Cinquecento a seguito delle tassative disposizioni contenute nella pastorale di Monsignor Figo e riguardanti il comportamento da tenere all’interno delle chiese campestri.
In tale decreto, che è del 1582 e richiama i dettami del Concilio di Trento e dei papi Pio Quinto e Gregorio Decimo, è
a)                                imposto il divieto per gli uomini di età superiore ai dodici anni di dormire all’interno dei luoghi di culto durante i periodi dei festeggiamenti del santo patrono (quj nixunu homjnj de doxj anus jnsusu apusti sa posta de su solu (sic) fina asa exida (dal tramonto del sole sino all’alba) no apanta a jstarj njn dormjrj jn  cuddas cresias)
b)                                permesso il pernottamento solamente alle donne ed ai bambini (sino tantj solamentj is femjnas ejs pichinus ancora quj is ditus homjnis sianta pobidus /o/ fillus de ditas femjnas nj mancu jsaatrevanta (non si permettano) nj gusintj (né consiglino) quj apanta a mandarj dintru de ditas cresias si ja no essirjdj po necesidadj urgentj (se non in caso di estrema necessità).
Ben motivata ed opportuna quindi la scelta da parte della chiesa o di diverse famiglie di provvedere alla bisogna con la costruzione di appositi alloggi comodi e sicuri. Questa la mia tesi sui muristenes.

Gustavo Stafforello
Gustavo Strafforello, nel lavoro del 1895 Geografia dell’Italia-Sardegna, edito dall’Unione Tipografico-Editrice Torino, riferisce che “A ovest del paese [Sorgono], e alla distanza di circa 5 chilometri, trovasi la chiesa rurale di San Mauro abate, la più grande e bella chiesa campestre di tutta l’isola: E’ di antica costruzione, di stile pisano, ad una sola navata, con volta solida ed alcuni altari ai lati. Gran fiera nella ricorrenza della festa del santo, che si celebra tra gli ultimi di maggio ed i primi di giugno in un’amena vallata, circondata da stupende colline, e che è ritenuta per la prima festa rurale dell’isola. La vista di quella valle, nelle sere della fiera, è d’un incanto estasiante, poichè da una folla variopinta, pei pittoreschi costumi di tutta l’isola, si sprigionano armonie di canti e di suoni, che rapiscono. In questa festa si vendono specialmente cavalli, della cui bontà e pregio non occorre dire, strumenti agricoli, tele stoffe, foresi, rami e utensili domestici. Da alcuni anni il Comizio agrario di Lanusei stabilisce annualmente premi per i migliori espositori di bestiame, specie ovino ed equino, dando così maggior interesse alla fiera e sviluppo dell’economia paesana…”

Francesco Corona
Ancora a fine Ottocento, Francesco Corona, nella Guida storico-Artistica-Commerciale dell’Isola di Sardegna, edita nel 1896 a cura dell’Istituto Italiano d’Arti Grafiche di Bergamo, così riferisce del centro di Sorgono al paragrafo Feste: “Nel maggio S. Mauro, nella chiesa omonima di stile pisano e antichissima, ora dichiarata monumento nazionale, posta a 5 Km. dal paese in amena valle alberata, cinta da colline, con fiera, che dura tre giorni e premi agli allevatori di bestiame cavallino e ovino, istituiti dal comizio Agrario di Lanusei, e ritenuta fra le prime feste rurali sarde.”

Anonimo
Nel settimanale letterario n.30 del 1928, denominato Rassegna Poetica Dialettale, compare, a firma dello pseudonimo (a. b. c.), il seguente servizio sul santuario di Sorgono:
Sopra il leggero pendio d’una collina verdeggiante, cinta da colline sorelle che la separano dai paesi di Sorgono e d’Ortueri sta la chiesa campestre di Santu Mauru ‘e Sorgono. […]
Domina, sul frontone della chiesa il rosone di pietra, guardato da due leoni accovacciati sulla gradinata, come due fedeli guardiani che attendano al loro compito, fieri della propria missione. Intorno una folla variopinta in cui spiccano i costumi di Desulo e di Tonara, di Sorgono e di Atzara e di altri paesi circonvicini, i cui abitanti vengono a frotte con qualunque mezzo, per godervi una o due giornate di sana allegria e di fede sincera. Tra il movimento febbrile della folla, tra il fumo grato degli arrosti, senti la voce del tonarese che ti porta alle stella la qualità del suo torrone, quella del milese che vanta la profumata arancia della sua fertile contrada, quella dell’aritzese che ti lacera i timpani per la sua carapigna del Gennargentu, quella delle donne di Samugheo e di Meana che offrono l’orbace e la tela di lino, ed infine quella delle donne d’Isili che vendono certe loro bisacce a fiorami.
Nella “chea” e cioè in uno spiazzo piuttosto vasto, sito ai piedi della vallata, ferve frattanto la febbre degli affari. Un paia di migliaia di capi bovini e tutti i negozianti di bestiame dell’Isola, (non chè parecchi siciliani pur loro commercianti in tal ramo) vi convengono ogni anno per la fiera, che è una delle più importanti della Sardegna.
La festa dura dal ventisette maggio al primo giugno d’ogni anno ed è senza dubbio una delle più caratteristiche della Sardegna, sia perché ha luogo in aperta campagna, sia per la quantità dei costumi che vi si possono ammirare.
Le cerimonie religiose hanno però con le “nuinas” (le novene), che vengono osservate rigorosamente da tutti quei fedeli che avevano già ottenuto qualche grazia dal Santo. Talvolta quindici giorni prima della data ufficiale della festa, “is muristenes” e cioè certe casette in muratura costruite attorno alla Chiesa, vengono occupate dai “noveranti” che attendono alle pratiche religiose, riuniti per lo più in famiglie.
Il primo Giugno ultimo giorno della festa, ha luogo la processione, “s’arressinnu” e la corsa dei cavalli, anticamente detta “sa cursa ‘e su pannu”, poiché il vincitore aveva in premio una pezza di broccato.
Questa cerimonia, senza dubbio, è la più caratteristica fra tutte quelle che vi si svolgono. In fatti al suono delle campane che ne annunziano l’inizio, tutte le donne si radunano, ciascuna con le compagne del proprio villaggio, e, appena il Santo esce dalla chiesa, tutte lo seguono cantando il rosario secondo il modo del proprio paese.
La processione segna la fine delle cerimonie religiose. I festanti a gruppi, si riuniscono nei “muristenes” per mangiare il piatto tradizionale della festa.
Le fiamme di cento fuochi mandano bagliori d’oro ed illuminano le facce sudate ed allegre, che si segnano quando l’eco ripete le note dell’Angelus, che dall’alto campanile di Ortueri si diffondono per le profonde valli piene di misteriosi silenzi.











Sosta a San Mauro agli inizi del terzo millennio

Agli inizi del terzo millennio il tempio di San Mauro si presenta ancora, nonostante gli acciacchi del tempo, come un valido baluardo medievale a difesa delle ricche testimonianze del suo passato.
Situato nella parte alta della vallata, quasi a meno di una cinquantina di metri da quella sede stradale che oggi, con un andamento scorrevole ma irregolare va a guadagnare dopo circa ottocento metri le estremità dell’ampio scenario, si presenta, in tutta la sua severa imponenza con il grande rosone della facciata, appena dopo una delle ultime curve che portano al grande pianoro, tra il centro di Ortueri e quello di Sorgono.
Sembra quasi fungere da sicura sentinella al passaggio dei rarissimi pastori che attraversano il territorio e dei pochi mezzi di comunicazione che con andatura da montagna collegano il Campidano ed il Marghine con la Barbagia centrale. Del portone d’Oriente non si intravede oggi che un pittoresco inseguirsi di resti di piccole casette che vanno a ripescare e a rimontare l’abside del tempio.
A breve distanza dal tempio e dalle sue pertinenze la mano dell’uomo sta cercando di ricomporre i cocci del perimetro esterno, curandone con eleganza certi passaggi edilizi con pietra a vista. Sulla strada una cantoniera di fine Ottocento, disabitata chissà da quanto tempo, crea un accostamento quasi irriverente con la chiesa che la sovrasta in quota di circa una ventina di metri.
Della grande fiera del passato nessuna avvisaglia ed i festeggiamenti civili e religiosi di fine maggio si esauriscono nell’arco di una giornata. Gli ignari viaggiatori che capitano da queste parti nel giorno della festa non fanno altro che rallentare la loro corsa per non intralciare il traffico dei partecipanti ai riti religiosi e civili. Qualcuno si incuriosisce, parcheggia lungo strada e coglie l’occasione per far visita agli angoli più caratteristici della zona recintata. Poi riparte. Molti neanche si fermano e continuano il loro viaggio. Le solite feste di campagna, pensano!
Sono in pochi a sapere che la festa di San Mauro è stata in passato punto di riferimento per migliaia di operatori economici. Oggi non restano che i ricordi degli anziani dei primi decenni del Novecento, qualche rara fotografia del passato e le testimonianze di cui abbiamo dato ampi resoconti nei paragrafi precedenti.
Accanto alla chiesa alcuni alberi secolari di quercia e di olivo segnalano con i loro vetusti tronchi il tempo della costruzione del tempio, delle combessias e delle vecchie case in rovina.
Con molta curiosità, in tempi non ricorrenti con i festeggiamenti, ho cercato talvolta di compulsare nel silenzio dello scenario dell’abbazia benedettina motivi e ricordi del tempo andato ma il silenzio non ha potuto far altro che farmi rivivere con un tocco di magia e di fantasia lo scenario dell’impossibile, lo scenario che nessun comitato ai festeggiamenti riuscirebbe a ripresentare ai giorni nostri. Sarebbe come far convergere nel grande spazio tutti i figuranti che ogni anno, in contrade ed in tempi diversi, vanno a rappresentare in processione, a piedi o con cavalli o con accoppiate di buoi e di traccas, le manifestazioni clou di S.Efisio di Cagliari, della Cavalcata di Sassari, del Redentore di Nuoro e dell’Ardia di Sedilo e della Sartiglia di Oristano.
Furtivamente, inseguendo qualche debole fascio di luce in penetrazione lungo le numerose fessure delle sgangherate finestre laterali del tempio, ho cercato una volta di spiare all’interno della struttura ma la mia invadente curiosità si è spenta subito attorno alla nudità delle pareti della navata centrale.
Dei fasti di un tempo, della spensieratezza dei più, dell’andirivieni di chi mira ed è mirato ed in cor s’allegra, dei lamenti degli acciaccati imploranti la grazia al Santo, della fantasmagoria dei costumi di ogni angolo di Sardegna, dello scampanio dei cillonaris di Gavoi invitante all’acquisto di imboccature e sproni per cavalli, della consumata compostezza dei rivenditori d’arance di Milis, del diffuso pallore delle torronaie di Tonara (1), della estrema cortesia dei gelataiaritzesi, della abile attesa dei rivenditori di utensili domestici di Desulo, Aritzo e di Atzara, del continuo ed assordante ritmare sui paioli dei ramai di Isili, dell’indefesso lavoro dei tanti operatori economici, ed ancora, del continuo intrecciarsi di musiche, danze, canti e dialetti, del pungente odore di stallatico delle mandrie e degli armenti al pascolo, delle accese contrattazioni tra acquirenti e venditori, non resta che una grande quiete. La natura, col sorprendente e variegato gioco dei suoi colori, dei suoi profumi e dei suoi quadri in continuo mutamento sembra essersi beffata della presenza massiccia ed invadente dell’uomo per riguadagnare nel tempo i grandi silenzi barbaricini e per restituire una volta all’anno ai sorgonesi ed ai forestieri dei centri contermini un semplice appuntamento di festeggiamenti religiosi e civili.

(1) Il pallore delle torronaie di Tonara è solennizzato dall’autorevole imprimatur di Grazia Deledda nel n.20 di Vita sarda con l’articolo dedicato alla Madonna di Gonare nel novembre del 1892 con il seguente passo: “[...] e le donne di Tonara, fiere nel loro costume stravagante, orribilmente stretto alle anche, pallide e mute, segavano con coltelli affilati i torroni, fatti dalle loro stesse mani. o misuravano le nocciuole colte nei loro boschi inesplorati”
Con ciò vengono confermati anche l’importanza e il peso assunti dalle donne tonaresi in questa tipica lavorazione dolciaria, quasi tutta al femminile.