giovedì 30 ottobre 2025

 Le castagne: L'Oro Marrone del Gennargentu.

Di Alusac Eleirbag

Con l'arrivo di ottobre, sento il richiamo della montagna. Stamattina ho lasciato il paese per salire a "Ispadula", un punto panoramico di Tonara che veglia sulla sottostante area di "Granedda". È qui che si trova la mia campagna, l'eredità di famiglia, un angolo di storia di Tonara.

Appena entro nel mio appezzamento recintato, l'aria si fa fresca e profuma di terra umida e corteccia antica. Ho trascorso le ultime settimane a pulire e preparare il sottobosco, un lavoro essenziale per facilitare la raccolta delle castagne mature che iniziano già a cadere. Questo terreno, delimitato da muretti a secco e da siepi, non serviva solo alla castanicoltura; era una vera e propria risorsa polifunzionale, usata per rinchiudere il bestiame – le pecore che ancora negli anni sessanta avevamo in famiglia – e in passato alloggiava anche i cavalli.

Mi fermo un istante ad ammirare il mio tesoro: gli alberi sono maestosi, la maggior parte sono esemplari maturi, hanno settanta, forse ottant'anni. Sono testimoni silenti di un tempo in cui la montagna viveva al ritmo dell'albero del pane.



La Visione di Nonno Pitracca

E proprio guardando queste vecchie cortecce mi viene in mente mio nonno. Tutti lo conoscevano con il soprannome di "Pitracca". Ed è per merito suo se questi alberi sono ancora qui.

Ricordo quando
mi raccontava che negli anni Sessanta, la Regione Sardegna aveva implementato la forestazione, piantando massicciamente i pini per destinarli alla cartiera di Arbatax, una forestazione che per noi era "improduttiva", perché sostituiva il cibo col legname. Nonno Pitracca si oppose con tutte le sue forze. Fece una battaglia per la sua terra, una battaglia contro il modello che voleva cancellare la "Civiltà del Castagno". E per fortuna, ce la fece: quell’area, il nostro castagneto, rimase integro. Per questo motivo, oggi la nostra produzione, insieme a quella dei vicini di Desulo, Belvì e Aritzo, si basa ancora sui nostri ecotipi locali del Castanea sativa 
, i frutti più adatti ai nostri terreni e climi.

Nel mio campo, conservo gelosamente le varietà che hanno fatto la storia di Tonara, come la "Sa ‘e Mariantonia Zedde" e la "Sa ‘e Gina". Tra tutte, ne curo una in modo particolare: la "sa ona a corte"— letteralmente "pronta per cucinare". Sono le prime che raccogliamo, perfette da arrostire o lessare.

🥣 "Sa Minestra e Castagna cun Fa è Lardu": La Memoria

Il castagno fu la salvezza della nostra montagna. Ed è proprio il ricordo di questa sopravvivenza che mi riporta alla minestra. A Tonara ha un nome preciso, che è una poesia e una ricetta in sé: "Sa Minestra e Castagna cun Fa è Lardu" (la minestra di castagne con fava e lardo).

Questa non è una ricetta da libri, è la memoria liquida della mia famiglia. Le castagne secche sono state il "pane delle campagne" fino al dopoguerra. Ricordo ancora mia mamma che mi raccontava di quando, ragazzina, andava nei boschi con i suoi fratelli per seccare le castagne.

Nel 2006, in occasione di una delle edizioni di Autunno in Barbagia qui a Tonara, provammo a riprodurla. Fu un'emozione potentissima. Presentare un piatto con quel nome — "Sa Minestra e Castagna cun Fa è Lardu" — era presentare la vera storia della "Civiltà del Castagno" che mio nonno Pitracca difese con tenacia.

Spero che il lavoro che stiamo facendo oggi, lottando contro i parassiti e valorizzando i nostri ecotipi come la "Sa ‘e Mariantonia Zedde" e la "Sa ‘e Gina", serva a tramandare non solo il frutto, ma anche i nomi esatti delle nostre tradizioni. Finché potremo cucinare e nominare con orgoglio la "Sa Minestra e Castagna cun Fa è Lardu", la Barbagia non avrà perso la sua anima.

 Le castagne: L'Oro Marrone del Gennargentu.

Di Alusac Eleirbag Con l'arrivo di ottobre, sento il richiamo della montagna. Stamattina ho lasciato il paese per salire a  "Ispad...