Sono tornato a Funtana
Idda La chimo ancora così, anche
se il tempo ha provato a sbiadire tutto, a riempire di silenzi e crepe i
vicoli. Ma per me, questo odore di pietra antica, di terra bruciata dal sole,
di salsedine portata chissà da quale vento lontano, è l'unico vero profumo di
casa.
Salivo per la stradina che porta su, in alto, dove la casa diroccata, appoggiata a quello di
mio padre, si staglia contro un cielo
che non è mai cambiato. Non era solo una passeggiata, era un pellegrinaggio, un
riavvolgere il nastro di una vita lasciata in sospeso.
Poi l'ho vista. Incisa nella
roccia, quasi come una ferita guarita che ha lasciato una cicatrice d'oro. Una
lapide, semplice, sotto i ruderi che sembrano reggere il peso di secoli di
storia. L'ho riconosciuta subito. Quella grafia un po' ruvida, le lettere
dipinte di un giallo intenso, non sbiadite dal sole, ma al contrario, rese più
vive.
Mi sono avvicinato, il cuore che
batteva forte come un tamburo di festa e malinconia insieme. Il verso di Peppino Mereu, scolpito lì dal 1978, come mi avevi raccontato
tu.
"Senza distinziones curiales devimus
esser, fizzos de un'insigna liberos, rispettados, uguales"
E poi le tre parole, come pilastri
di un sogno non ancora compiuto: Liberos,
Rispettados, Uguales.
Mi sono fermato. Ho posato la mano
sulla pietra ruvida. Ho pensato a te, a tutti quelli che sono passati di qui e
hanno letto questo verso, a quelli che l'hanno voluto incidere, lasciando un
pezzo della loro anima. "Figli
di un simbolo", di un popolo che vuole dignità e unità.
Non è solo una poesia; è
un'eredità. È il sangue che scorre nelle vene di questa terra, la voce di chi
non vuole e non deve chinare la testa. Ho sorriso. Forse è per questo che torno
sempre, perché qui, tra le rovine e i sassi, trovo sempre la mia identità, il
mio posto sotto "un'insigna" che
non è bandiera né stemma, ma l'ideale di una libertà autentica.
La strada continuava a salire. Mi
sono incamminato, ma ora non ero più solo. Sentivo il passo di Peppino Mereu al
mio fianco, e il mio era più leggero. Liberos,
rispettados, uguales.
Cosa ti ha lasciato questa frase la
prima volta che l'hai letta qui a Funtana Idda?
La mano mi scivolò sulla pietra fredda, mentre le
parole del poeta vibravano ancora nella mia mente: "Senza
distinziones curiales devimus esser, fizzos de un'insigna, liberos,
rispettados, uguales". Non era solo un verso sardo, non era solo la
protesta di un'isola. Era un'eco, un sussurro potente che attraversava i secoli
e i mari.
Mi ritrovai a pensare ai grandi ideali che hanno
plasmato il mondo, e il richiamo mi colpì con la forza di una rivelazione:
Peppino Mereu, poeta di queste montagne, non faceva che urlare in sardo i
principi immortali della Rivoluzione Francese.
L'Eco della Libertà
La richiesta "liberos" non
era una semplice aspirazione; era la traduzione pura di Liberté.
Stavo leggendo, scolpito nella roccia di Funtana Idda, l'appello
universale a scrollarsi di dosso il giogo, a vivere senza l'arbitrio di un
potere imposto. Quella libertà che, nel 1789, aveva abbattuto le mura della
Bastiglia, qui prendeva la forma della dignità contadina contro il sopruso del
latifondo e delle caste.
Uguaglianza Senza Distinzioni
Ma fu soprattutto l'Uguaglianza a illuminare la frase. Il cuore del verso era tutto lì: "Senza distinziones curiales... uguales". Senza distinzioni di casta, uguali. Era il ripudio totale e assoluto dell'Ancien Régime, la stessa furia contro i privilegi che aveva guidato i rivoluzionari francesi ad abolire i diritti di nobiltà e clero
. La pietra mi parlava di una giustizia in cui ogni uomo e donna nasce e resta uguale nei diritti, un ideale talmente radicale, eppure così fondamentale, da non poter invecchiare mai.
La Fratellanza dell'Insigna
Infine, la Fratellanza. Mereu non usava il
termine, ma lo invocava con "devimus esser, fizzos de
un'insigna" e "rispettados". Non si può
essere davvero liberi e uguali senza riconoscersi come fratelli, figli dello
stesso destino e di un unico simbolo ideale. Essere "rispettati"
significa non solo ricevere onore, ma essere visti con la dignità dovuta a un
pari, in una solidarietà che è la vera essenza della Fraternité.
Quel mattone di pietra, sotto il sole della Sardegna,
non era un monumento locale. Era un manifesto universale, un filo
diretto teso tra la passione di un poeta sardo e gli ideali che hanno
ridisegnato la mappa politica del mondo.
Ho respirato a fondo. Non stavo solo visitando un
paese; stavo toccando con mano la storia delle idee. E in quel momento, mi sono
sentito parte di qualcosa di immenso, un figlio anch'io di quell'insigna,
come tutti quelli che hanno sognato e sognano un mondo più libero,
rispettato e uguale.
Ho lasciato la lapide e ho proseguito la mia salita. La
casa diroccata, lassù, non sembrava più solo un rudere, ma una sentinella che
vegliava su quegli ideali.