di alusac eleirbag
ho visto improvvisamente un telaio storico. Era lì, imponente e silenzioso, nell'ombra, e più in là, ho notato l'antico funnagu, dove anticamente alloggiavano i buoi del padrone di casa negli anni '40 e '50.
Vicino al telaio c’era Pinuccio. Ci
unisce un’amicizia antica, una conoscenza che si allarga anche a una lontana
parentela per via di sua nonna, tia Maria
Orru, che era prima cugina di mio nonno Pietro. L’ho salutato e, senza perdere
tempo, i miei occhi sono tornati a quell'oggetto meraviglioso.
“Gabriele, finalmente ti vedo da
queste parti!” mi ha
detto con un sorriso accogliente,
vedendomi attratto dal legno antico. “Stai ammirando il nostro pezzo di
storia.”
“È incredibile, Pinuccio. Un telaio
così antico, e ancora in uso? Mi sembra di tornare indietro di un secolo,” ho
risposto io, avvicinandomi.
Pinuccio ha cominciato a
raccontare, i suoi occhi che brillavano di un orgoglio contagioso. Mi ha
parlato subito del loro interesse per mantenere viva non solo la storia del
telaio stesso, ma l’intera tradizione della tessitura in un paese come Tonara.
Mi ha ricordato che negli anni '30 e '40, Tonara vantava da due a trecento
iscrizioni di tessitrici e tessitori alla Camera di Commercio, soprattutto di
tessitrici con telai a muro che occupavano poco spazio.
“Ma questo è diverso,” mi ha
spiegato Pinuccio, posando una mano sul legno. “Questo è un telaio orizzontale,
uno dei più antichi. Oggi, ci permettiamo ancora di tessere Sa fanuga con esso.”
Abbiamo discusso a lungo dello studio e della conservazione di questo telaio, che un tempo era appartenuto a Tia Maria, sua madre, e a Tia
Pinuccio poi, quasi come se volesse
svelare un segreto prezioso, mi ha indicato la targa che riassumeva l'epopea di
quell’attrezzo. Questa è la
storia del telaio:
ANTICO TELAIO ("TELARGIU
A SEZZERE") PER LA TESSITURA DI LANA, COTONE, LINO, CANAPA TELAIO OPERANTE
DAI PRIMI ANNI 800 E DONATO DAL CANONICO "PIETRO TODDE" (TONARA
1825-ORISTANO 1908) ALLA NIPOTE "MARIA TODDE", (CONIUGATA CON "GIOVANNI
DEARCA" NOTO Tiu NANNEL), LASCIATO IN EREDITA' ALLA FIGLIA "BONARIA
DEARCA" (CONIUGATA CON GUISEPPE PISTIS), DONATO COME REGALO DI CRESIMA NEL
1932 ALLA FIGLIOCCIA "PEPPINA CARBONI", TESSITRICE ULTRACENTENARIA
(1915-2018) TELAIO IN PERO SELVATICO COSTRUITO AD INCASTRI, CON PARTI IN
CASTAGNO, NOCCIOLO, ERICA, CANNE. RIPULITO E RESTAURATO NEL 2003 - 2005 CON
LEGNI ORIGINALI ANTICHI MARIA ORRU, PEPPINA E GINA CARBONI" PREPARANO
L'ORDITO ("S'ISTROBU") NEGLI ANNÌ 35/40 IN VIA "COAIGNA".
TELAIO FILMATO A TONARA DALL'ISTITUTO LUCE NEL 1940/1945, TESSITRICE "GINA
CARBONI" LE IMMAGINI SONO STATE UTILZZATE PER IL FILM "SONOS E
MEMORIA"
Ma la cosa interessante che ho
notato è che Pinuccio si è concentrato sui particolari, sugli strumenti e gli
accessori che fanno il telaio, che mi ha descritto con passione.
“Vedi, Gabriele,” mi disse
Pinuccio, accarezzando la superficie ruvida e calda del telaio, “la vera
bellezza sta nei dettagli, in come tutto si incastra. Non è solo il telargiu a sezzere, che è un
capolavoro di ingegneria in pero selvatico, ma ogni singolo strumento che gli
sta attorno, che lo rende vivo.”
Mentre mi spiegava, i miei occhi
seguivano la direzione della sua mano, posandosi su quegli accessori antichi,
ognuno con un nome sardo che evocava gesti secolari. I "PETTENES", quei
pettini in canna per i fili dell'ordito realizzati a mano prima del 1950, mi
colpirono particolarmente.
Poi c’era la BOBINATRICE
"FAECANNEDDOS", facente parte delle dotazioni originali. E l’ARCOLAIO
"TROBETRAMA", costruito dal celebre Tiu Nannei ai primi del
‘900 e in uso presso il quartiere di Funtanaidda, spesso prestato in un sistema
di mutuo aiuto chiamato manu
torradas. Mi ha fatto toccare i "CANNEDDOS" in
legno di sambuco, indispensabili per l'avvolgimento del filo destinato alla
navicella, l'"ISPOLA".
Ma la commozione più grande arrivò
quando mi mostrò i "FUSU",
i fusi per la filatura della lana, gli stessi utilizzati da Tia MARIA ORRU fino al
1970. Toccando quei fusi, sentii quasi il peso della storia familiare che ci
univa, il legame non solo tra me e Pinuccio, ma tra le nostre rispettive
famiglie e l'antica arte di Tonara. L’immagine di quella donna che camminava
per le vie del paese divenne improvvisamente vivida.
“Sa fanuga, Gabriele,”
riprese Pinuccio con un tono di orgoglio, “è il nostro pane. E con questo
telaio orizzontale, noi continuiamo a tesserla. Non è solo un prodotto, è il
filo ininterrotto della nostra identità.”
Proprio mentre stavo per
congedarmi, il fratello di Pinuccio, che era lì con noi, si è offerto di
accompagnarmi in una visita più approfondita.
“Gabriele, prima di andare, devi
vedere la casa. Il telaio è solo una parte,” mi ha detto.
Così, prima di uscire dalla loggia,
ho potuto visitare quella casa completamente restaurata. Non parlo di un
rifacimento moderno, ma di un recupero filologico eccezionale: i legni, gli
infissi, i tavolati... tutto era stato recuperato e consolidato esattamente
com'era stato costruito più di centocinquanta anni fa. Entrare era come fare un
salto indietro nel tempo.
Giorgio, il fratello di Pinuccio mi ha
guidato attraverso le stanze. Mi ha spiegato la fatica e la cura con cui
avevano trattato e riportato a nuova vita i materiali originali. Era chiaro che
questa non era solo una dimora, ma una vera e propria casa-museo, un pezzo
importante della storia locale.
La visita ha raggiunto il culmine
nella parte più alta della struttura. Affacciandomi da una delle finestre, ho
potuto ammirare una veduta incredibilmente suggestiva sulla vallata di Tonara.
Lì, in quel punto panoramico, ho capito appieno l'importanza di questo luogo.
Ho subito pensato, e l'ho detto a Giorgio, che si dovrebbe recuperare e riscrivere la storia di
questa casa, questo museo
importante di Tonara. Non si trattava solo di conservare oggetti, ma di
tramandare il contesto in cui l'arte della tessitura, e la vita stessa, si
erano svolte.
Uscii dalla loggia, dalla piccola
corte dove si nascondeva quel funnagu che
un tempo ospitava i buoi, con un senso di profonda gratitudine e la certezza
che avrei dovuto fare la mia parte, anche solo raccontando. La via Peppino
Mereu non era più una semplice strada; era diventata il confine tra il presente
e un passato incredibilmente vivo. Non avevo solo visto un telaio e una casa
antica, ma avevo toccato la storia di un paese, Tonara, e il cuore battente di
una tradizione che, grazie a persone come Pinuccio e suo fratello, si rifiutava
di morire. E in quel rifiuto, c'era la promessa che l’autunno in Barbagia, di quest'anno
avrebbecontinuato a tessere storie per le generazioni a venire.